9 Giugno 2015

“Eutanasia” del rito specifico accelerato per l’impugnativa dei licenziamenti individuali

di Angelo Danilo De Santis Scarica in PDF

Uno dei risultati dell’impatto della riforma del lavoro del 2014/2015 sulla disciplina processuale è costituito dalla riduzione dell’ambito di applicazione – cui seguirà il suo graduale abbandono – del rito specifico accelerato per l’impugnativa dei licenziamenti individuali (c.d. rito Fornero). In particolare, dal decreto legislativo 23/2015 emerge un doppio binario per la tutela giurisdizionale nei confronti dei licenziamenti illegittimi, rispetto al quale gli svantaggi derivanti da un ulteriore elemento di incertezza paiono compensati dalla progressiva dismissione di un procedimento che, in meno di tre anni di applicazione, ha dato pessima prova di sé.

A meno di tre anni dalla sua entrata in vigore, il «procedimento giudiziario specifico per accelerare la definizione delle controversie» (art. 1, comma 1°, lett. c) l. 28 giugno 2012, n. 92) in materia di impugnativa del licenziamento individuale ha imboccato il viale del tramonto, il cui percorso, di incerta durata, è stato segnato dal d. leg. 4 marzo 2015, n. 23, recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della l. 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. Jobs Act).

Le esigenze di differenziazione della tutela, che avevano indotto il legislatore del 2012 ad adottare forme processuali destinate a regolare conflitti segnati ontologicamente da squilibrio e diseguaglianza tra le parti con la finalità del più celere “smaltimento” delle controversie, sembrano essere venute meno.

Lo schizofrenico andirivieni da una forma di processo ad un’altra è segnato dall’art. 11 d. leg. 23/2015, ai sensi del quale «ai licenziamenti di cui al presente decreto non si applicano le disposizioni dei commi da 48 a 68 dell’art. 1 della l. 28 giugno 2012, n. 92», cioè quelle che disciplinano il procedimento specifico accelerato. La scelta può essere valutata sotto diversi punti di osservazione.

Sotto un primo profilo, occorre prendere atto della volontà di far coesistere, per un periodo di tempo indefinito, due differenti forme di processo per l’impugnativa del licenziamento individuale.

Con riferimento ai recessi datoriali posti in essere rispetto a contratti di operai, quadri e impiegati (si tratta delle categorie alle quali si applica l’istituto delle c.d. tutele crescenti), stipulati dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del d. leg. 23/2015), non troverà applicazione il rito specifico c.d. Fornero, ma l’impugnativa del licenziamento seguirà le regole ordinarie del processo del lavoro di cui agli art. 414 e ss. c.p.c.

A mente dell’art. 1 d. leg. 23/2015, la medesima regola vale anche:
– per i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori assunti con contratti a tempo determinato o di apprendistato, stipulati precedentemente al 7 marzo 2015, ma convertiti, dopo il 7 marzo 2015, in contratti a tempo indeterminato;
– per i licenziamenti intimati nei confronti di lavoratori il cui contratto è stato stipulato prima del 7 marzo 2015, ma che siano impiegati presso un datore di lavoro che, dopo il 7 marzo 2015, ponendo in essere nuove assunzioni, abbia raggiunto il requisito occupazionale di cui all’art. 18, commi 8° e 9°, St. lav.

Il rito di cui all’art. 1, commi 47 e ss., l. 92/2012 continua dunque ad applicarsi, in via residuale, rispetto alle impugnative di licenziamenti instaurate dopo il 18 luglio 2012 nei confronti di lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, purché sia invocata una delle forme di tutela dell’art. 18 St. lav.

E’ ovvio che la scelta legislativa susciterà dubbi interpretativi circa la forma di processo con cui esercitare l’azione volta ad accertare l’illegittimità del recesso datoriale (Gestaltungrecht), il che potrebbe costituire un’ulteriore complicazione nell’impervio percorso ad ostacoli della tutela dei diritti; è noto infatti che l’errore sul rito, nel contesto del procedimento specifico per l’impugnativa dei licenziamenti, determina, secondo l’interpretazione fornita da alcuni uffici giudiziari, l’inammissibilità della domanda ed il rischio del consolidamento dell’effetto del recesso datoriale (sul punto, v. le divergenti linee guida delle sezioni lavoro dei Tribunali di Firenze (http://bit.ly/1vpXEgQ), Rieti (http://bit.ly/1CsoEhI), Bari (http://bit.ly/1uTxMEc), Monza (RIDL, 2012, II, 1113) e Venezia (http://bit.ly/1CVt13F), nonché AA.VV., Nuove regole dopo la l. n. 92 del 2012 di riforma del mercato del lavoro, Torino, 2013, 305 ss.; da ultima, v. Trib. Firenze 7 ottobre 2014, in Riv. it. dir. lav., 2015, in corso di pubblicazione, secondo cui la tempestiva proposizione dell’impugnativa del licenziamento impedisce definitivamente la decadenza di cui all’art. 6, comma 2°, l. 604/1966, anche qualora il ricorso sia dichiarato inammissibile per errore sul rito).

Il problema della inesistenza di una disciplina ad hoc per il mutamento di rito e per la sua conversione binaria dal rito del lavoro a quello specifico per l’impugnativa del licenziamento, ampiamente segnalato e in parte superato, in via interpretativa, in virtù dell’applicazione analogica degli art. 426 e 427 c.p.c., potrebbe, alla luce delle nuove e complicate regole di convivenza tra i due procedimenti, essere destinato a porsi con maggior frequenza.

Sotto un diverso profilo, il graduale abbandono del rito c.d. Fornero è il sintomo evidente della presa di coscienza dell’inefficienza dello strumento, dovuta alla sciatteria tecnica del legislatore del 2012: basti pensare alle divergenze interpretative sorte sull’ambito di applicazione, anche rispetto al pubblico impiego, con riguardo alla sua obbligatorietà, all’errore sul rito, al cumulo di domande, alla proponibilità del regolamento di giurisdizione nella fase sommaria, ai rapporti con la tutela cautelare, alla fruibilità del rito da parte del datore di lavoro, alla compatibilità tra giudice della fase sommaria e dell’opposizione (su cui si è già espressa Corte cost. 16 luglio 2014, n. 205, in Giusto proc. civ., 2014, 811, nel senso della possibilità di letture costituzionalmente orientate, nonché, nel senso della non fondatezza, Corte cost. 29 aprile 2015, n. 78, http://bit.ly/1E5WFQk, e che è stata oggetto di nuove ordinanze di rimessione tra cui v. Trib. Sondrio 23 gennaio 2015, http://bit.ly/1cMvd4H) alla nozione di sommarietà della prima fase, alla natura e alla funzione del reclamo, all’integrazione con le norme processuali del rito del lavoro (per approfondimenti, v. Barbieri – Dalfino, Il licenziamento individuale nell’interpretazione della legge Fornero, aggiornato al d.l. 28 giugno 2013 n. 76 c.d. «pacchetto lavoro», Bari, 2013).

E’ ragionevole prevedere dunque che la tendenziale riduzione dell’applicazione del rito specifico accelerato nelle aule di giustizia consentirà agli operatori di tirare un sospiro di sollievo.
Tra le molte ombre, una delle poche – se non l’unica – luce della l. 92/2012 è data dalla previsione dei commi 63, 65, 66 e 68 dell’art. 1, in applicazione dei quali, gli uffici giudiziari (compresa la Cassazione) hanno dovuto predisporre una corsia preferenziale per le controversie attinenti l’impugnativa dei licenziamenti individuali, al fine di garantire l’auspicata celerità nella loro definizione.

Sembra davvero irragionevole che, in costanza del doppio binario di cui all’art. 11 d. leg. 23/2015, che pure esclude testualmente l’applicazione dei commi da 48 a 68 dell’art. 1 l. 92/2012 ai licenziamenti riferiti a contratti a tutele crescenti, le sezioni lavoro applichino alla lettera tale esclusione, sottraendo le nuove impugnative regolate dalle forme del rito del lavoro ex art. 414 c.p.c. ai vantaggi del fast track applicabile alle azioni soggette al rito specifico accelerato.