Invio della fattura e interruzione della prescrizione
di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., Sez. II, sent. 27/09/2025, n. 26286, Rel. Dott. M. Criscuolo
Prescrizione – Interruzione della prescrizione (art. 2943 c.c.)
Massima: “Affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo), essendo sufficiente a tal fine la mera comunicazione del fatto costitutivo della pretesa”.
CASO
L’avv. Tizio conveniva in giudizio Caio, chiedendone la condanna al pagamento dell’importo di cui alla fattura prodotta in causa a titolo di compenso professionale relativo a prestazioni giudiziali in materia penale, quale saldo dell’attività dedotto l’acconto già versato.
Si costituiva in giudizio Caio, che, nel chiedere il rigetto della domanda, eccepiva la prescrizione presuntiva di pagamento ex art. 2956 c.c. e, in via riconvenzionale, chiedeva la condanna del professionista al pagamento di una somma per lite temeraria.
Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea, condannando il convenuto al pagamento del compenso professionale in favore dell’avvocato e delle spese di lite. In particolare, il giudice di prime cure, nel disattendere l’eccezione di prescrizione presuntiva, precisava che il termine triennale di prescrizione di pagamento era stato tempestivamente interrotto, dapprima con l’invio della richiesta di pagamento di cui alla suddetta fattura, successivamente con il pagamento parziale dell’acconto, quindi con lettera raccomandata a.r. e infine con l’atto di citazione introduttivo del giudizio.
Avverso la sentenza, Caio proponeva appello, chiedendo il rigetto della domanda e la condanna del professionista al pagamento di una somma per lite temeraria. Tizio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d’Appello, in accoglimento parziale del gravame, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, compensando tra le parti le spese di lite. La Corte territoriale, nel rilevare la produzione in atti della sola fattura, evidenziava, innanzitutto che il solo invio della fattura non può costituire elemento interruttivo della prescrizione in quanto questa costituisce un mero documento fiscale inidoneo a far desumere una specifica richiesta di pagamento a far data dalla quale è possibile poi calcolare il lasso temporale utile alla prescrizione del diritto vantato. Il giudice di merito escludeva, poi, che il pagamento parziale del compenso professionale da parte di Caio, ove non accompagnato dalla precisazione della sua esecuzione in acconto del maggior debito, potesse valere come riconoscimento e, quindi, avere valore di atto interruttivo della prescrizione.
La Corte rigettava anche la richiesta di risarcimento dei danni per lite temeraria, non essendo la stessa ancorata alla ricorrenza del dolo o della colpa grave della parte soccombente e mancando anche l’allegazione di argomentazioni a sostegno della stessa.
Per la cassazione di tale sentenza l’avv. Tizio ha proposto ricorso.
Caio ha resistito con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, respinge il ricorso.
QUESTIONI
Per quanto di interesse, Tizio denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1219 e 2943, co. 4, c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per non aver la Corte territoriale ritenuto che la fattura, contenente un chiaro invito al pagamento nei confronti del debitore, fosse idonea ad interrompere il decorso del termine prescrizionale. In particolare, secondo il ricorrente, la fattura trasmessa al suo cliente – con la quale si portava a conoscenza dello stesso debitore la volontà del creditore, attraverso l’esortazione di pagamento in calce al documento, di ottenere il pagamento del proprio credito professionale – avrebbe tutti gli elementi richiesti dalla giurisprudenza di legittimità per garantire l’effetto interruttivo della prescrizione.
Dopo l’insorgenza del credito, a parere del professionista, la prescrizione sarebbe stata interrotta con l’emissione della suddetta fattura e nuovamente interrotta anche dopo con il pagamento di un acconto.
Per la S.C. il motivo è infondato.
Ricorda anzitutto il Collegio che l’atto di costituzione in mora, come delineato dall’art. 1219 c.c., consiste nella manifestazione di volontà del creditore rivolta al debitore di pretendere subito l’adempimento o, più in generale, di non voler tollerare ulteriore ritardo o indugio da parte dell’obbligato.
In questo senso la giurisprudenza della stessa S.C., in cui si afferma che, anche se non è necessaria una particolare formula solenne, affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo) (cfr. Cass. n. 18546/2020; Cass. n. 15714/2018; Cass. n. 16465/2017; Cass. n. 3371/2010; Cass. n. 24656/2010).
Per il Collegio, l’atto di interruzione della prescrizione non deve necessariamente consistere “in una richiesta o intimazione” (essendo questa una caratteristica riconducibile all’istituto della costituzione in mora), ma può anche emergere da una dichiarazione che, esplicitamente o per implicito, manifesti, puramente e semplicemente, l’intenzione di esercitare il diritto spettante al dichiarante, in tal guisa dovendosi interpretare estensivamente il disposto dell’art. 2943, co. 4, c.c., in sinergia con la più generale norma dettata, in tema di prescrizione, dall’art. 2934 c.c. (cfr. Cass. n. 15766/2006). In altri termini, perché sia interruttivo, basta che l’atto sia uno strumento di esercizio del diritto e, al contempo, un percepibile richiamo all’adempimento.
L’accertamento in ordine alla sussistenza dei predetti presupposti, onde identificare e qualificare l’atto interruttivo e quindi l’attività interpretativa dell’atto di costituzione in mora nel suo complesso, finalizzata non alla ricerca dell’intento perseguito dal suo autore, bensì all’oggettiva riconoscibilità dell’atto medesimo da parte del destinatario (cfr. Cass. n. 3380/1983), si traduce in un’indagine di fatto istituzionalmente riservata all’apprezzamento del giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei soli casi di inadeguatezza della motivazione – tale cioè, da non consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito dal giudice per giungere all’attribuzione di un certo contenuto e significato all’atto – ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto (cfr. Cass. n. 11579/2014; Cass. n. 7524/2006). Anche Cass. n. 12070/2006 (citata proprio dal ricorrente) ribadisce che la fattura può costituire atto di costituzione in mora se il creditore manifesti chiaramente con l’invio della stessa (essendo sempre necessario che sia portata a conoscenza del debitore) la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto, essendo però stato ribadito che si tratta di un accertamento che costituisce indagine di fatto ed è, perciò, incensurabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici. Può perciò ritenersi che l’invio di una fattura può risultare idoneo a tale scopo solo allorché risulti corredata dall’indicazione di un termine per il pagamento e dall’avviso che, se lo stesso non interverrà prima della scadenza, il debitore dovrà ritenersi costituito in mora (Cass. n. 6549/2016; Cass. n. 806/2009; Cass. n. 10434/2002).
La sentenza impugnata, con accertamento in fatto, e come tale non censurabile in Cassazione, ha sottolineato che la fattura prodotta dal ricorrente non consentiva di rinvenire una specifica richiesta di adempimento, con la fissazione, come appunto prescritto dalla citata giurisprudenza, anche di un termine entro il quale adempiere.
La difesa dell’avv. Tizio si sofferma sulla presenza nel documento dell’espressione “pagate”, assumendo che la medesima avrebbe una portata evidentemente sollecitatoria dell’adempimento, in quanto corrispondente alla formula imperativa del verbo pagare. Ma per la S.C. trattasi di conclusione che non appare necessitata in via interpretativa, per la collocazione della detta indicazione in corrispondenza della somma finale riportata in fattura, così che la sua presenza ben potrebbe leggersi in chiave alternativa, come quanto meno implicitamente ritenuto dalla Corte d’Appello e, cioè, nel senso che la stessa confermerebbe che l’importo de quo sarebbe stato già pagato, assumendo quindi un contenuto di sostanziale quietanza che si aggiunge a quello tipico della fattura.
Ma reputa la Corte che sia risolutivo al fine di escludere che la fattura de qua possa fungere da valido atto interruttivo della prescrizione il rilievo operato dal giudice d’appello, e non specificamente confutato dalla difesa del ricorrente, per il quale la fattura sarebbe stata inviata all’ente comunale del quale Caio era assessore, e dal quale l’avv. Tizio intendeva percepire il pagamento, e cioè ad un soggetto per il quale non emerge un vincolo di solidarietà con il reale obbligato. Si trattava di un atto portato a conoscenza del solo Comune e, pertanto, non recettizio nei confronti del debitore, con conseguente inidoneità a produrre effetti sul decorso della prescrizione (cfr. Cass. n. 10058/2010; Cass. n. 13651/2006). Trattandosi quindi di fattura espressamente indirizzata al solo Comune, ed in assenza di prova del fatto che nel termine triennale sia stata portata anche a conoscenza del controricorrente (che in controricorso nega esplicitamente che ciò sia avvenuto), alla stessa non può annettersi la pretesa efficacia interruttiva.
Tizio denuncia invero anche la violazione dell’art. 2944 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per aver il giudice di merito erroneamente escluso l’idoneità del pagamento parziale, effettuato dal controricorrente, ad interrompere la prescrizione, in quanto non accompagnato dalla precisazione della sua esecuzione in acconto, e conseguentemente il suo valore di prova del presunto maggior debito. In particolare, a parere del ricorrente, il giudice avrebbe dovuto considerare il riconoscimento del debito attuabile anche attraverso il pagamento parziale privo della esplicita indicazione della sua esecuzione a titolo di acconto, laddove il suddetto pagamento parziale sia stato, come nel caso di specie, spontaneo e volontario, a seguito di una richiesta di pagamento di una più ampia somma indicata nella fattura non contestata.
Per la S.C. il motivo è destituito di fondamento.
La sentenza impugnata ha fatto puntuale richiamo alla giurisprudenza della S.C. che ha affermato che il pagamento parziale, ove non accompagnato dalla precisazione della sua effettuazione in acconto, non può valere come riconoscimento del debito, rimanendo comunque rimessa al giudice di merito la relativa valutazione di fatto, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata (Cass. n. 7820/2017). In termini analoghi è stato altresì ribadito che il pagamento in acconto di un debito non implica necessariamente, di per sé, rinuncia alla prescrizione, ove maturata, sebbene possa essere interpretato dal giudice di merito, insieme agli altri elementi istruttori, alla stregua di un atto incompatibile con la volontà di avvalersene (Cass. n. 41489/2021; Cass. n. 3371/2010). Nella fattispecie viene invocato come atto interruttivo il pagamento di una somma inferiore rispetto a quella asseritamente maturata per l’incarico cui si riferisce il presente giudizio, ma manca la specifica indicazione che si tratti di pagamento in acconto, occorrendo a tal fine anche tenere conto della circostanza che il debitore ha eccepito la prescrizione presuntiva, e cioè la previsione legale che annette al decorso del tempo la presunzione che l’intera obbligazione sia stata estinta. Manca, quindi, nella condotta di Caio la possibilità di poter univocamente inferire una volontà ricognitiva del maggior credito ancora non estinto.
Ma ancor più risolutivo a favore del rigetto del motivo è il rilievo che in tutto il corso del giudizio la difesa di Caio ha negato la riferibilità del pagamento de quo alla specifica obbligazione per cui è causa, assumendone invece l’imputazione ad una diversa obbligazione derivante da un altro incarico professionale del quale l’avv. Tizio era stato officiato nell’interesse del convenuto. La diversa imputazione operata dal controricorrente, in assenza di elementi che invece permettano di riferire univocamente l’adempimento al credito per cui è causa conforta il giudizio del giudice di merito che ha escluso che a tale comportamento potesse annettersi l’efficacia di cui all’art. 2944 c.c.
La S.C. rigetta pertanto il ricorso.
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