24 Giugno 2025

Espropriazione forzata di immobile in comunione legale

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 1 maggio 2025, n. 11481 – Pres. De Stefano – Rel. Rossi

Espropriazione immobiliare – Bene in comunione legale – Notifica dell’atto di pignoramento a entrambi i coniugi – Necessità – Effetti nei confronti del coniuge non debitore – Mera denuntiatio – Configurazione dell’atto come pignoramento anche nei confronti del coniuge non debitore – Effetti – Assunzione della veste di soggetto passivo dell’esecuzione anche da parte del coniuge non debitore – Sussistenza – Intervento dei suoi creditori personali – Ammissibilità

Massima: “Nell’espropriazione forzata di beni in comunione legale promossa dal creditore particolare di uno dei coniugi, la notifica dell’atto di pignoramento al coniuge non debitore ha natura di mera denuntiatio (equiparabile, quanto agli effetti, all’avviso ex art. 599 c.p.c.) dell’avvenuta sottoposizione a vincolo del bene in sua contitolarità; qualora, tuttavia, detto atto sia in concreto strutturato come un pignoramento anche nei suoi confronti (recando l’ingiunzione ad astenersi, nonché gli avvisi e gli avvertimenti previsti dall’art. 492 c.p.c.), il coniuge non debitore assume le vesti di esecutato, sicché i suoi creditori personali possono intervenire nella procedura e concorrere nella distribuzione della quota del ricavato di spettanza di tale coniuge.”

CASO

Nel 2005 veniva pignorata la quota di proprietà di un immobile in comunione legale spettante al marito; successivamente interveniva nell’esecuzione un istituto bancario che andava creditore sia verso l’esecutato, sia verso la moglie, alla quale era stato nel frattempo esteso il pignoramento.

Nel progetto di distribuzione, a detto istituto era assegnata una parte della quota del ricavato dalla vendita dell’immobile spettante alla moglie dell’esecutato, la quale si opponeva, sostenendo che tale importo andasse attribuito a lei, quale coniuge non debitore del creditore procedente.

Il giudice dell’esecuzione, accogliendo l’opposizione, ordinava al professionista delegato di modificare il progetto di distribuzione, avverso la cui approvazione reagiva, questa volta, l’istituto di credito intervenuto.

Poiché i rilievi mossi venivano reputati fondati ed era nuovamente disposta la modifica del piano di riparto, la moglie dell’esecutato introduceva la fase di merito dell’opposizione.

La sentenza conclusiva del giudizio, che confermava il progetto di distribuzione da ultimo approvato, veniva gravata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione, nel dichiarare inammissibile il motivo di ricorso volto a censurare l’affermazione per cui la moglie dell’esecutato aveva assunto la veste di soggetto passivo dell’espropriazione forzata, ha enunciato il principio di diritto in virtù del quale la notifica dell’atto di pignoramento avente per oggetto un immobile in regime di comunione legale al coniuge non debitore ha funzione di mera denuntiatio, salvo che sia strutturato in modo tale da determinare l’estensione del pignoramento anche nei suoi confronti, nel quale caso il processo esecutivo deve, a tutti gli effetti, considerarsi promosso contro entrambi i coniugi.

QUESTIONI

[1] Sono trascorsi poco più di dieci anni da quando la Corte di cassazione, con la sentenza n. 6575 del 14 marzo 2013, ha – diciamo così – sistematizzato la disciplina dell’espropriazione forzata di beni in regime di comunione legale tra coniugi.

Detta pronuncia ha dettato linee guida che, da allora, sono da considerarsi diritto vivente (in assenza di una disciplina specifica in tema di esecuzione sui beni in comunione legale, non reputandosi applicabile quella dettata dagli artt. 599 e seguenti c.p.c. o dagli artt. 602 e seguenti c.p.c.), dal momento che, nonostante le critiche mosse dalla dottrina, non sono più state messe in discussione dalla giurisprudenza, tanto di legittimità quanto di merito.

Con il precedente sopra citato, è stato affermato che:

  • quando il creditore di un coniuge intende soddisfare un credito su beni allo stesso appartenenti, ma ricadenti nella comunione legale con l’altro coniuge, l’atteggiarsi di questa come comunione senza quote (nel senso che entrambi i coniugi sono solidalmente comproprietari dell’intero bene e non ciascuno contitolare di una quota di esso) comporta che il bene dev’essere assoggettato a pignoramento per l’intero;
  • un tanto determina la necessità di notificare anche al coniuge non debitore l’atto di pignoramento;
  • il bene andrà messo in vendita o assegnato per l’intero (non tollerando l’ordinamento che un terzo estraneo alla famiglia faccia ingresso nella comunione tra coniugi, per effetto dell’acquisto di una – peraltro inesistente – quota del bene) e, a seguito della pronuncia del decreto di trasferimento, si determinerà lo scioglimento della comunione limitatamente al bene pignorato;
  • in sede di distribuzione del ricavato, la metà andrà distribuita tra i creditori del coniuge esecutato, mentre l’altra metà andrà attribuita al coniuge non debitore (che ha dovuto subire, obtorto collo, l’espropriazione del bene in comunione), così come avverrebbe in caso di fisiologico scioglimento della comunione nel suo complesso, visto che ciascuno dei due coniugi avrebbe diritto al controvalore della metà dei beni che vi appartenevano.

Muovendo da questi assunti, la sentenza che si annota rileva, in continuità con quanto affermato dal precedente sopra menzionato, che il coniuge non debitore si configura come soggetto passivo dell’espropriazione, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato, ma precisa che tale assimilazione è la conseguenza della necessità di assoggettare a espropriazione l’intero bene, in ragione della contitolarità solidale che ne caratterizza lo statuto proprietario, tant’è vero che ciò vale a prescindere dal fatto che il creditore pignorante vanti un credito nei confronti di entrambi i coniugi.

In altre parole, il fatto che il pignoramento sia esteso all’intero bene – e non limitato ovvero circoscritto a una inesistente quota di esso di proprietà del (solo) coniuge debitore – non significa che le ragioni di credito per il soddisfacimento delle quali viene promossa l’espropriazione forzata debbano riguardare, dal lato passivo, entrambi i coniugi; di converso, quello dei due che non è debitore non può subire l’aggressione esecutiva per soddisfare i creditori dell’altro, essendo questo il motivo per cui la Corte di cassazione ha affermato che la metà del ricavato dalla vendita del bene pignorato dev’essergli attribuita (non potendosene predicare il reingresso nella comunione, per essere poi suscettibile di ulteriori aggressioni da parte dei creditori del coniuge debitore rimasti in tutto o in parte insoddisfatti).

I giudici di legittimità precisano, dunque, che il coniuge non debitore non assume le vesti tipiche di esecutato, cioè di vero e proprio soggetto passivo dell’esecuzione, sicché la notifica anche a lui dell’atto di pignoramento svolge la funzione di mera denuntiatio della sottoposizione a espropriazione forzata del bene (anche) di sua proprietà, pur in assenza di una sua responsabilità patrimoniale nei confronti del creditore procedente, in modo sostanzialmente analogo a quanto avviene nel caso dell’avviso prescritto dall’art. 599 c.p.c., diretto ai comproprietari nei confronti dei quali il creditore non vanta alcun diritto ma che debbono, in certa misura, subire l’espropriazione della quota del bene in comunione appartenente al debitore; fermo restando che, a differenza dei comproprietari ai quali fa riferimento la norma da ultimo citata, che restano liberi di disporre della loro quota, il coniuge non debitore non sarà legittimato a farlo, proprio in considerazione dell’atteggiarsi della comunione legale come comunione senza quote.

Anche quando entrambi i coniugi siano debitori del medesimo creditore, il bene andrà pignorato nella sua interezza, ma questa volta per consentire la soddisfazione sull’intero prezzo di aggiudicazione o di assegnazione, ossia sulle porzioni del ricavato dalla vendita spettanti ad ambedue i coniugi, i quali, in questo caso, avranno entrambi la veste non solo formale, ma pure sostanziale, di esecutati, ossia di soggetti passivi dell’esecuzione.

Ma lo stesso accadrà – ed in questo risiede la peculiarità della ricostruzione operata con la sentenza annotata, da cui è ricavato il principio di diritto affermato – pure quando il creditore, pur non vantando alcun diritto nei confronti del coniuge non debitore, strutturi nondimeno l’atto come un pignoramento diretto anche nei suoi confronti, indirizzandogli l’intimazione, gli inviti e gli avvisi prescritti dall’art. 492 c.p.c., alla stessa stregua del coniuge debitore: in buona sostanza, quando l’atto di pignoramento non lo veda menzionato quale mero destinatario della denuntiatio che gli va rivolta, ma parificato in tutto e per tutto al coniuge debitore, vero destinatario dell’azione esecutiva.

In questo caso – e solo in questo caso – il coniuge non debitore assume la veste di esecutato (rectius: di coesecutato), legittimando l’intervento dei suoi creditori personali, che avranno, dunque, diritto di soddisfarsi sulla parte di ricavato dalla vendita del bene pignorato di sua spettanza, impedendo che gli venga attribuito quale controvalore della sua quota del bene fuoriuscito dalla comunione.

È evidente che una tale iniziativa del creditore pignorante (che si pone, in verità, come necessaria, dal momento che, diversamente, non si vede come potrebbe trascriversi il pignoramento anche contro il coniuge non debitore e assicurarne così l’opponibilità nel caso in cui questi dovesse compiere atti dispositivi del bene, tenuto conto di quanto stabilito dall’art. 184 c.c.) presta il fianco a possibili reazioni oppositive da parte del coniuge costretto a subire l’espropriazione forzata per debiti dell’altro e che vede aprirsi le porte della soddisfazione esecutiva anche a beneficio dei suoi creditori per effetto dell’azione di chi non vanta alcun diritto nei suoi confronti.

D’altra parte, immaginando che il creditore pignorante, per non esporsi a un simile rischio, confezioni l’atto di pignoramento in modo tale che assolva alla funzione di mera denuntiatio, cioè lo notifichi a entrambi, ma individui come soggetto passivo dell’esecuzione il solo coniuge debitore (e, quindi, rivolga solo a lui l’intimazione, gli inviti e gli avvisi), riesce difficile giustificare l’applicazione anche al coniuge non debitore delle prescrizioni dettate dagli artt. 498 e 567 c.p.c., visto che tali disposizioni presuppongono che il destinatario del pignoramento sia soggetto passivo dell’esecuzione (come, in effetti, lo qualifica la Corte di cassazione).

Ben diversa, del resto, è la funzione delle notifiche prescritte dalle citate disposizioni rispetto a quella effettuata agli interessati ex art. 180, comma 2, disp. att. c.p.c. nel caso di pignoramento eseguito ai sensi dell’art. 599 c.p.c., che è diretta non già a provocare l’intervento nell’esecuzione dei creditori personali dei comproprietari non esecutati, bensì a fare in modo che la divisione del bene in comunione che fosse disposta ai sensi dell’art. 600 c.p.c. risulti loro opponibile (questo essendo lo scopo del loro coinvolgimento nell’espropriazione della quota di soggetto nei confronti del quale non vantano alcuna ragione di credito).

Viste le criticità insite nei principi affermati dalla Corte di cassazione nel tentativo di coerenziare le regole dell’espropriazione forzata con quelle della comunione legale, non va sottovalutato l’invito rivolto da numerosi studiosi a riconsiderare un’impostazione che, per quanto divenuta granitica, resta esposta a contraddizioni che rischiano di inficiarne la stabilità e l’efficacia.

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