2 Settembre 2025

Il debito verso il fallito non può essere compensato con il credito da rimborso di finanziamenti soci

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2025, n. 1865 – Pres. Terrusi – Rel. Amatore

Parole chiave: Fallimento – Debiti pecuniari – Compensazione – Credito da rimborso di finanziamenti soci – Postergazione ex art. 2467 c.c. – Compensazione ex art. 56 l.fall. – Ammissibilità – Esclusione

[1] Massima: “In tema di fallimento, il rapporto tra l’istituto della postergazione dei crediti da rimborso dei finanziamenti dei soci regolato dall’art. 2467 c.c. e quello della compensazione in sede fallimentare di cui all’art. 56 l.fall. si pone in termini di ontologica incompatibilità, nel senso che il creditore postergato non può compensare nella predetta sede i crediti ai quali si riferisce il menzionato art. 2467 c.c. con gli eventuali debiti verso il fallito, dovendosi ritenere inderogabile la finalità di protezione dei creditori sociali anche rispetto alle ragioni poste a fondamento della possibilità per il creditore in bonis di compensare il proprio diritto con quello del debitore assoggettato alla procedura concorsuale.”

Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, art. 56; cod. civ., artt. 1241, 1242, 1243, 2467

CASO

Dichiarato il fallimento di una società, i soci proponevano domanda di insinuazione al passivo, deducendo, da un lato, la compensazione del loro debito nei confronti dell’ente con i maggiori crediti – a titolo di compensi, di retribuzioni e di rimborso di finanziamenti soci – da loro vantati e chiedendo, dall’altro lato, l’ammissione della differenza.

Avendo il giudice delegato respinto la domanda, il decreto di esecutività dello stato passivo era impugnato con ricorso ex art. 98 l.fall.

L’opposizione era parzialmente accolta, ma, con specifico riguardo ai crediti postergati aventi titolo nel rimborso di finanziamenti soci, ne veniva ritenuta la non compensabilità con il debito nei confronti della società.

I soci, contestando la dichiarata impossibilità di opporre in compensazione detti crediti, pur essendo sorti in data anteriore al fallimento, proponevano quindi ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando che la compensazione prevista dall’art. 56 l.fall., che consente – in via eccezionale – a chi è, nello stesso tempo, creditore e debitore della società fallita di sottrarsi all’obbligo di effettuare la propria prestazione facendo valere una situazione soggettiva attiva che andrebbe ordinariamente assoggettata alle regole del concorso, non può essere invocata allorquando si tratti di un credito da rimborso di finanziamenti soci, giacché neutralizzerebbe la regola dettata dall’art. 2467 c.c., che, essendo diretta a evitare la riduzione dell’attivo destinato alla soddisfazione degli altri creditori, non può non trovare applicazione proprio nel momento in cui la crisi dell’impresa si manifesta in modo conclamato e irreversibile.

QUESTIONI

[1] Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione è intervenuta su un tema – il rapporto tra l’istituto della postergazione dei crediti da rimborso di finanziamenti soci, disciplinato dall’art. 2467 c.c. e quello della compensazione in sede fallimentare, di cui all’art. 56 l.fall. – che ha formato oggetto di ampio dibattito, soprattutto in dottrina.

I giudici di legittimità hanno impostato il loro percorso argomentativo valutando, innanzitutto, se vi sia o meno incompatibilità tra le regole dettate, rispettivamente, dall’art. 2467 c.c. (norma dettata precipuamente per le società a responsabilità limitata, ma, in quanto diretta a contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione delle società chiuse, estensibile anche alle società per azioni connotate da una base azionaria familiare o comunque ristretta, nelle quali il socio versa in una posizione sostanzialmente analoga a quella di un socio di una società a responsabilità limitata) e dall’art. 56 l.fall.

Come noto, l’art. 56 l.fall. dispone, al comma 1, che i creditori hanno diritto di compensare con i loro debiti verso il fallito i crediti che essi vantano verso lo stesso, ancorché divengano esigili dopo la dichiarazione di fallimento, mentre il comma 2 esclude la compensazione se il creditore ha acquistato il credito per atto tra vivi dopo la dichiarazione di fallimento o nell’anno anteriore.

La disposizione rappresenta una deroga al concorso a favore dei soggetti che si trovano a essere, allo stesso tempo, creditori e debitori del fallito, purché il fatto genetico della situazione giuridica estintiva delle obbligazioni contrapposte sia anteriore alla dichiarazione di fallimento, mentre non affronta il fenomeno della compensazione dal punto di vista del fallito, perché l’interesse alla compensazione – che si traduce nella sottrazione di determinate posizioni al concorso formale e sostanziale – è del creditore in bonis e non già del curatore, che non deve sottoporsi al concorso e può riscuotere integralmente i propri crediti (Cass. civ., sez. I, 18 dicembre 2023, n. 35305).

Mentre la compensazione disciplinata dal codice civile – che è quella cosiddetta propria, postulante l’autonomia dei rapporti dai quali nascono i contrapposti crediti delle parti e che si distingue da quella impropria, sussistente invece quando i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, sicché si tratta di accertare semplicemente le reciproche partite di dare e avere – risponde a esigenze di rapidità e certezza dei rapporti giuridici, quella fallimentare è diretta a soddisfare istanze di tipo equitativo o di garanzia, integrando in questo senso una deroga al principio del concorso sostanziale tra i creditori, tanto da operare bilateralmente, ossia a prescindere da chi la invochi: più precisamente, la compensazione fallimentare, estinguendo reciprocamente le obbligazioni gravanti sulle parti del rapporto, consente al creditore in bonis di evitare il pregiudizio che gli deriverebbe dal fatto di dovere adempiere la prestazione nei confronti del fallito, ricevendo una controprestazione in moneta fallimentare, ovvero condizionata e subordinata alle regole del concorso.

L’art. 2467, comma 1, c.c., invece, stabilisce che il rimborso di un finanziamento concesso dai soci alla società in una situazione di squilibrio finanziario o in un contesto che avrebbe richiesto un aumento di capitale, è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e dev’essere restituito alla massa qualora effettuato nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento.

Come rilevato dai giudici di legittimità, la norma fa espresso riferimento al rimborso postergato rispetto agli altri creditori per indicare che il diritto del socio è posposto a quelli altrui, sicché non allude solo al momento dell’effettivo concorso procedimentalizzato delle pretese creditorie: la postergazione prevista dall’art. 2467 c.c., infatti, opera anche durante la vita della società e non solo nel momento in cui si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, integrando una condizione di inesigibilità legale e temporanea del diritto del socio alla restituzione del finanziamento, sino a quando non sia superata la situazione prevista dalla norma stessa.

La società, pertanto, è tenuta a rifiutare al socio il rimborso del finanziamento, in presenza della situazione di difficoltà economico-finanziaria indicata dalla legge e ove la stessa ricorra sia al momento della concessione del finanziamento, sia al momento della richiesta di rimborso; d’altra parte, in caso di azione giudiziale di restituzione proposta dal socio, il giudice è chiamato a verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c. (stato di eccessivo squilibrio nell’indebitamento o situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento), sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, anche al momento della decisione, trattandosi di fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento operato dal socio in favore della società, rilevabile anche d’ufficio.

Alla luce di queste coordinate, la Corte di cassazione ha ravvisato una sostanziale incompatibilità tra le due disposizioni, nel senso che il credito postergato dev’essere preso in considerazione, in ottica satisfattiva, solo dopo che tutti gli altri crediti concorrenti siano stati soddisfatti; di qui l’impossibilità di ritenere tale credito comparabile (ovvero compensabile) con altro controcredito, ai fini dell’applicazione della regola di cui all’art. 56 l.fall.

In caso contrario, il precetto normativo contenuto nell’art. 2467 c.c. ne uscirebbe sostanzialmente neutralizzato proprio nel momento in cui si manifestano gli effetti della crisi d’impresa, vale a dire in corrispondenza del suo ambito di elezione e di applicazione prevalente: ammettere la possibilità di opporre in compensazione nei confronti del debitore dichiarato fallito o che abbia presentato domanda di concordato il credito postergato, infatti, comporterebbe una riduzione dell’attivo destinato alla soddisfazione degli altri creditori, che è proprio ciò che la disciplina della postergazione intende scongiurare.

Poiché la postergazione impone un vincolo di destinazione sulle somme oggetto del finanziamento a vantaggio dei creditori non subordinati, l’inesigibilità del credito postergato è espressione di un divieto legale di effettuare il rimborso finché la società è a rischio di insolvenza, annoverabile tra quelli ai quali fa riferimento l’art. 1246, n. 5), c.c.

Del resto, come osservato nella sentenza che si annota, non è ravvisabile alcun affidamento incolpevole e degno di tutela, circa l’operatività della compensazione, in capo al socio, vista la posizione privilegiata di cui egli gode, in termini di potenziale conoscenza approfondita delle dinamiche societarie, che agli altri creditori manca; nel contempo, escludendo l’operatività della regola dettata dall’art. 2467 c.c. in ambito fallimentare, si produrrebbe il paradossale effetto di salvaguardare il socio finanziatore che sia, al contempo, debitore della società la cui crisi è stata accentuata da lui stesso, mediante il finanziamento eseguito al posto del conferimento nonostante la situazione di squilibrio finanziario o patrimoniale poi sfociata nel fallimento.

In definitiva e riprendendo le parole usate dalla Corte di cassazione, sono la stessa funzione satisfattoria della compensazione e l’effetto di antergazione del creditore della procedura che ne deriva a porsi in rapporto di insanabile e ontologica incompatibilità – logica e giuridica – con la ratio della postergazione di cui all’art. 2467 c.c., norma diretta a evitare la sottrazione di risorse da destinare alla soddisfazione dei creditori concorsuali e, come tale, inderogabile, essendo posta a presidio della solidità della struttura societaria e dell’affidamento che i creditori sociali ripongono nella possibilità di soddisfare i loro interessi.

I giudici di legittimità hanno, quindi, affermato l’inammissibilità per il creditore postergato di avvalersi della compensazione di cui all’art. 56 l.fall., quale unica soluzione possibile per non infrangere lo scopo perseguito dall’art. 2467 c.c.

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