2 Settembre 2025

Danno da perdita dei bonus edilizi per inadempimento dell’appaltatore

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale Pavia, Sez. III, 17/03/2025, n. 340 – dott. G. Rocchetti

Contratto d’appalto – inadempimento contrattuale – risoluzione del contratto e risarcimento del danno – danno da perdita di chance – onere della prova

Massima: “In materia di bonus edilizi in genere e di risarcimento del danno al committente, la mera scadenza del termine utile ad accedere al beneficio fiscale non determina in automatico un danno patrimoniale, ossia una perdita effettiva nella sfera patrimoniale del committente-creditore della prestazione rimasta inadempiuta per fatto e colpa dell’appaltatore. Non ammettendo il nostro ordinamento il risarcimento di danni in re ipsa, il committente è, quindi, onerato di provare non solo l’osservanza degli adempimenti e la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e tecnici richiesti dalla normativa per accedere al beneficio fiscale – in tesi – perduto in conseguenza dell’altrui inadempimento, ma anche il nesso di causalità tra l’inadempimento dell’appaltatore e il danno patrimoniale subito, consistente nella impossibilità di ottenere (o conservare) il risparmio di spesa finale, sottoforma di agevolazione fiscale, in quanto ormai definitivamente perduto, totalmente o anche in misura parziale.”

CASO

Tizio cita in giudizio la società appaltatrice Alfa per sentirla condannare, previo accertamento del suo grave inadempimento e della conseguente pronuncia di risoluzione del contratto d’appalto stipulato tra le parti, alla restituzione dell’acconto versato, oltre al risarcimento dei danni subiti a causa e in conseguenza dell’inadempimento contrattuale, consistenti nella perdita definitiva dell’agevolazione fiscale del c.d. “superbonus 110%”.

A sostegno delle sue domande, l’attore espone, tra l’altro, di avere deciso di effettuare importanti interventi di ristrutturazione dell’immobile di sua proprietà, per poter usufruire dei benefici fiscali previsti dal c.d. superbonus 110%. Rileva che nonostante le diffide e le sollecitazioni ad adempiere alla prestazione pattuita al fine di poter accedere ai benefici fiscali connessi al bonus 110% mediante “sconto in fattura”, ha ricevuto dalla società appaltatrice soltanto promesse e appuntamenti, con la Direzione Lavori, andati poi deserti.

La convenuta, pur ritualmente citata in giudizio, non si costituisce e in sede di verifiche preliminari viene dichiarata contumace.

SOLUZIONE

Il Tribunale accoglie le domande attoree solo parzialmente e cioè limitatamente alla parte inerente alla risoluzione del contratto e alla restituzione dell’acconto versato, mentre respinge quella inerente al risarcimento del danno.

QUESTIONI                 

Il ragionamento del Tribunale si snoda attraverso un percorso logico che ci apprestiamo a evidenziare.

Anzitutto, il Tribunale ricorda che, quando viene proposta una domanda di risoluzione per inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive (qual è senz’altro quello d’appalto), il creditore che agisce deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte; è invece il debitore convenuto ad essere gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.

Nel caso di specie, Tizio ha allegato l’inadempimento di Alfa alle obbligazioni assunte con il contratto di appalto, che prevedeva in maniera determinata un inizio e una fine dei lavori, con una consegna dell’opera entro una certa data (salvo “cause di forza maggiore” ovvero “casi di sospensione comunicati dal D.L.”, non rinvenibili però nel caso oggetto di giudizio), affermando in particolare che l’appaltatrice, dopo i preliminari accessi per l’allestimento del cantiere, non aveva mai effettivamente eseguito le opere, nonostante avesse ricevuto l’acconto pari al 10% del prezzo complessivo, senza fornire al committente e al D.L. nominato alcuna seria giustificazione.

A fronte di tale specifica allegazione e produzione documentale, gravava quindi sulla convenuta l’onere di provare di avere esattamente adempiuto alle obbligazioni derivanti dal contratto di appalto ovvero che l’inadempimento fosse dipeso da circostanze alla stessa non imputabili. Onere mai assolto dall’appaltatrice.

In conseguenza di ciò, il Tribunale accoglie la domanda di risoluzione del contratto di appalto ai sensi dell’art. 1453 c.c., per grave inadempimento dell’appaltatrice, che viene condannata altresì alla restituzione dell’acconto ricevuto. Non c’è dubbio, infatti, che il contratto d’appalto non è un contratto di durata e quindi non si sottrae alla regola generale di retroattività degli effetto risolutori di cui all’art. 1458, co. 1°, c.c.; l’acconto versato deve quindi essere restituito secondo le norme sull’indebito perché, risolto il contratto d’appalto, il pagamento si trova ad essere privo di giustificazione causale.

Quanto invece alla domanda di risarcimento del danno, l’attore aveva dedotto che la mancata esecuzione dei lavori nei termini previsti dalla legge per poter usufruire del superbonus 110%, avrebbe avuto, quale ulteriore conseguenza, la perdita definitiva dell’agevolazione fiscale. In particolare, ha affermato che tale perdita avrebbe configurato senz’altro un danno patrimoniale nel far eseguire, nell’anno in corso, le opere di cui all’appalto, non potendo più beneficiare del superbonus 110% valevole fino al 31/12/2023; l’attore precisava che secondo la stima effettuata dal suo geometra in base ai costi preventivati per gli interventi di ristrutturazione di cui al contratto d’appalto, il beneficio fiscale che avrebbe potuto conseguire se i lavori fossero stati completati nel 2023, sarebbe stato pari a una certa somma. Invece, il diverso bonus ristrutturazione previsto dalla legge di bilancio 2024 di cui l’attore avrebbe potuto usufruire per l’anno in corso, sarebbe stato pari al 50% su un tetto massimo di spesa e quindi sarebbe stato ben inferiore. Da qui la domanda di condanna dell’appaltatrice al risarcimento del danno patrimoniale subito dal committente, quantificato nella quota percentuale non più detraibile e che con l’esecuzione dei lavori sarebbe rimasta irrimediabilmente a carico dell’attore.

Per affrontare la questione, il Tribunale richiama preliminarmente un principio generale, in forza del quale, in tema di riparto degli oneri probatori in materia di responsabilità contrattuale, il creditore-danneggiato ha l’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto asseritamente inadempiente-debitore e il danno di cui chiede il risarcimento, con la conseguenza che se, al termine dell’istruttoria, non risulti provato il nesso di causa del danno lamentato anche solo perché rimasto incerto, la domanda deve essere rigettata (cfr., Cass. 20707/2023; Cass. 4009/2020; Cass. n. 29315/2017).

Il Tribunale osserva poi che, in materia di bonus edilizi in genere e di risarcimento del danno al committente delle opere, per pacifica giurisprudenza la mera scadenza del termine utile ad accedere al beneficio fiscale non determina in automatico un danno patrimoniale, ossia una perdita effettiva nella sfera patrimoniale del committente, creditore della prestazione rimasta inadempiuta per fatto e colpa dell’appaltatore.

Non ammettendo il nostro ordinamento il risarcimento di danni in re ipsa, il committente è quindi onerato di provare non solo l’osservanza degli adempimenti e la sussistenza di tutti i requisiti soggettivi e tecnici richiesti dalla normativa per accedere al beneficio fiscale che si assume essere stato perduto in conseguenza dell’altrui inadempimento, ma anche il nesso di causalità tra l’inadempimento dell’appaltatore e il danno patrimoniale subito, consistente nell’impossibilità di ottenere (o conservare) il risparmio di spesa finale, sottoforma di agevolazione fiscale, in quanto ormai definitivamente perduto, totalmente o anche in misura parziale. Il committente deve quindi fornire, ad esempio, la prova dell’impossibilità di reperire, in tempo utile allo scopo, altra impresa cui affidare l’esecuzione dei lavori originariamente appaltati al debitore inadempiente, perdendo con ciò la possibilità di usufruire del bonus edilizio; oppure la prova che, pur avendo affidato ad altra impresa l’esecuzione dei lavori ha effettivamente sostenuto o dovrà certamente sostenere (essendosi assunto la relativa obbligazione), per la medesima opera, spese a titolo di corrispettivo in misura superiore a quelle che avrebbe sostenuto se, concorrendo l’agevolazione fiscale mediante cessione del credito d’imposta o lo sconto in fattura in luogo delle detrazioni fiscali, il primo appaltatore avesse puntualmente adempiuto l’obbligazione assunta.

Nel caso in esame, invece, Tizio non ha mai provato di essersi trovato nell’impossibilità di reperire altre imprese costruttrici in tempo utile a salvaguardare, in tutto o in parte, l’agevolazione fiscale prevista e prorogata nel tempo dalla legislazione sopravvenuta, né ha allegato e provato di essere (stato) nel possesso di tutti i requisiti (oggettivi, soggettivi e tecnici) richiesti dalla legge ratione temporis vigente per l’effettiva conseguibilità dello “sconto in fattura” che si lamenta essere stato perso.

Per il Tribunale, inoltre, non sarebbe ravvisabile nemmeno un danno patrimoniale propriamente inteso, quale differenza tra il patrimonio attuale del committente ed il valore che tale patrimonio avrebbe avuto in assenza dell’inadempimento dell’appaltatrice, non essendo peraltro noto se l’attore ha poi dato corso alle medesime opere originariamente appaltate e se lo stesso ha sostenuto spese ulteriori in conseguenza del ritardo.

Non è, dunque, possibile sostenere che l’attore, a causa dell’inadempimento della società convenuta, ha subito una diminuzione della propria sfera patrimoniale, che risulta essere la medesima tanto prima quanto dopo l’illecito compiuto dall’appaltatrice.

Per il Tribunale quindi è impossibile riconoscere il risarcimento del danno patrimoniale per la “perdita” asseritamente subita (danno emergente e lucro cessante), così come configurato e richiesto da Tizio.

Il Tribunale ha, poi, escluso la configurabilità anche del danno da perdita di “chance” a contenuto patrimoniale, per l’assorbente considerazione che l’attore ha allegato tale tipo di danno solo – e per la prima volta – nella propria comparsa conclusionale, dunque tardivamente. Per orientamento consolidato della Suprema Corte, infatti, la domanda risarcitoria del danno per la “perdita di chance” è, per oggetto, ontologicamente diversa dalla pretesa di risarcimento del pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato sperato e, come tale, deve essere tempestivamente proposta a pena di inammissibilità.

Qualche osservazione di interesse può cionondimeno essere svolta.

È noto che il cosiddetto “Superbonus” costituisce l’agevolazione fiscale disciplinata dall’articolo 119 del decreto-legge n. 34 del 2020 (decreto Rilancio). Tale beneficio si traduce in una detrazione pari al 110% delle spese sostenute a partire dal 1° luglio 2020, concernenti specifici interventi volti al miglioramento dell’efficienza energetica, al consolidamento statico, nonché alla mitigazione del rischio sismico degli edifici.

Detta agevolazione si inserisce nell’ambito di un più ampio sistema di detrazioni fiscali, già vigenti da numerosi anni, relative tanto agli interventi di riqualificazione energetica degli immobili, noti come ecobonus, quanto a quelli finalizzati al recupero e alla manutenzione straordinaria del patrimonio edilizio, comprensivi delle misure antisismiche, definiti sismabonus. Tali detrazioni sono attualmente disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 14 e 16 del decreto-legge n. 63 del 2013.

La sentenza in esame, laddove riconduce il danno derivante dalla perdita del superbonus alla fattispecie del danno da perdita di chance, appare perfettamente in linea con la giurisprudenza di merito formatasi sull’argomento. Quest’ultima, infatti, ha chiarito come il risarcimento, in tali circostanze, non riguardi la lesione di un diritto soggettivo già acquisito, bensì la compromissione di un’aspettativa legittima alla futura acquisizione di detto diritto, pur determinata dall’inadempimento contrattuale dell’appaltatore.

È evidente che, per configurare tale “chance” in termini giuridicamente rilevanti, essa debba consistere nella seria e concreta possibilità di ottenere il risultato auspicato – nel caso specifico, l’agevolazione fiscale del superbonus – e che la sua perdita sia suscettibile di risarcimento solo a fronte di una rigorosa prova della sua effettiva sussistenza. Nella quantificazione del danno, inoltre, dovrà tenersi debito conto di un eventuale concorso colposo da parte del beneficiario, laddove quest’ultimo avesse avuto la concreta opportunità di sostituire tempestivamente l’appaltatore inadempiente, assicurandosi così il conseguimento del beneficio fiscale.

Nel caso specifico sottoposto al vaglio giudiziale, tuttavia, data la tardività della domanda risarcitoria proposta, il Tribunale si è astenuto dall’approfondire tali aspetti, limitandosi esclusivamente a dichiarare la risoluzione del contratto di appalto e imponendo la restituzione, da parte dell’appaltatrice, delle somme ricevute in acconto. Ha invece respinto la richiesta di risarcimento del danno patrimoniale relativo alla perdita dell’agevolazione fiscale.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Bonus edilizi, superbonus e contenzioso legale