25 Novembre 2025

Contratto di appalto e clausola risolutiva espressa per il caso di ritardo nell’inizio dei lavori

di Valerio Sangiovanni, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Lecco, Sez. I, 6 luglio 2025, Giudice Colasanti

Parole chiave

Contratto di appalto – Termine inizio dei lavori – Ritardo – Clausola risolutiva espressa – Rimborso delle spese

Massima: “In tema di contratto di appalto, laddove vi sia una clausola risolutiva espressa per il caso di mancato inizio dei lavori nel rispetto del termine previsto, l’attivazione della clausola da parte del committente configura una risoluzione del contratto e non un recesso dal medesimo, con la conseguenza che l’appaltatore non ha diritto al mancato guadagno spettante solo nel diverso caso di recesso del committente”.

Disposizioni applicate

Art. 1671 c.c. (recesso unilaterale del contratto), art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa

CASO

Tra due proprietari di casa, da un lato, e un’impresa appaltatrice, dall’altro lato, viene concluso un contratto di appalto il 19 maggio 2022. A distanza di circa tre mesi, il 13 agosto 2022, i committenti comunicano all’impresa edile di rinunciare all’esecuzione dei lavori. L’impresa edile chiede il rimborso delle spese sostenute in vista dell’appalto e il pagamento del mancato guadagno.

L’art. 12 del contratto di appalto contiene una clausola che prevede che i lavori debbano essere iniziati entro il 15 giugno 2022; altrimenti i committenti hanno la facoltà di risolvere il contratto. La clausola specifica che, se viene esercitata la facoltà dei committenti di risoluzione del contratto, i proprietari devono tenere indenni l’appaltatore dei costi per i materiali acquistati.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Lecco distingue tra l’ipotesi di recesso dal contratto di appalto e quella di risoluzione del contratto. Il giudice lecchese ritiene che i proprietari si siano avvalsi di una clausola risolutiva espressa, e non di un diritto di recesso. Dal punto di vista pratico, l’esito è diverso: in caso di risoluzione non spetta all’appaltatore il mancato guadagno.

QUESTIONI

Una volta che un contratto di appalto è stato firmato, quali sono i meccanismi che consentono di privarlo di effetti? Il sistema più lineare è quello del consenso delle parti: ambedue i contraenti non sono più interessati all’esecuzione dell’appalto e, di comune accordo, risolvono il contratto.

Qualche volta però può essere il solo committente a non essere più interessato alla prosecuzione del rapporto. L’art. 1671 c.c. consente al committente di recedere liberamente dal contratto. Più precisamente, la disposizione statuisce che “il committente può recedere dal contratto … purché tenga indenne l’appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del mancato guadagno”. Il recesso prescinde dall’inadempimento dell’appaltatore: è una libera scelta del committente.

Il recesso va però tenuto distinto dall’istituto della risoluzione: la risoluzione implica un inadempimento della controparte. Il caso affrontato dal Tribunale di Lecco è inusuale, in quanto – in conseguenza dell’inadempimento dell’appaltatore (mancato inizio dei lavori nel termine indicato in contratto) – viene condannato il committente a risarcire i danni, sotto forma di spese per i materiali acquistati, all’appaltatore. Normalmente, nel contesto della risoluzione, avviene il contrario: è la parte inadempiente a dover risarcire i danni. Ma nella vicenda trattata dal giudice lecchese questa conseguenza era prevista espressamente dal testo del contratto di appalto.

L’impresa appaltatrice, una volta che i committenti hanno manifestato l’intenzione di non procedere con i lavori, chiede di essere ristorata ai sensi dell’art. 1671 c.c. Questa disposizione prevede tre voci risarcibili: le spese sostenute, i lavori eseguiti e il mancato guadagno.

Per quanto concerne i lavori eseguiti, la questione non si pone nel caso di specie, in quanto i lavori non sono nemmeno stati iniziati. In altri casi trattati dalla giurisprudenza, il recesso del committente è avvenuto quando parte dei lavori erano già stati effettuati: in questo caso detti lavori vanno pagati. A questo riguardo può essere menzionata una sentenza del Tribunale di Verona (Trib. Verona, 19 febbraio 2024, in condominioweb.com). In questo caso il committente è un condominio, che a un certo punto cambia impresa appaltatrice. Il giudice veronese interpreta il cambio di impresa come recesso dal primo contratto di appalto, con conseguente applicazione dell’art. 1671 c.c. Non c’è alcun inadempimento dell’impresa, ma semplicemente una diversa scelta da parte del committente. I lavori fatti devono però essere pagati e il condominio viene pertanto condannato a pagarli.

L’art. 1671 c.c. prevede anche il rimborso delle spese sostenute dall’appaltatore. Nel caso di specie, l’impresa appaltatrice dimostra di aver sostenuto delle spese in vista del cantiere. Il Tribunale di Lecco condanna i committenti al relativo pagamento, anche se fonda la sua decisione sulla clausola del contratto, e non sull’art. 1671 c.c.

Infine, l’appaltatore chiede anche 20.802 euro a titolo di mancato guadagno, sempre sulla base dell’art. 1671 c.c. Questa domanda viene rigettata, in quanto il Tribunale di Lecco ritiene non applicabile al caso di specie l’art. 1671 c.c., in quanto vi è stato inadempimento dell’appaltatore (e non mero recesso del committente).

Il Tribunale di Lecco deve capire se la richiesta dell’appaltatore è effettivamente basata sull’art. 1671 c.c. Secondo il giudice lecchese prevale la clausola del contratto di appalto, che disciplina in modo specifico cosa succeda laddove i lavori non vengano iniziati entro il 15 giugno 2022. La clausola consente al committente di risolvere il contratto, ma – d’altro lato – impone al committente di tenere indenne l’appaltatore dei costi per i materiali acquistati. Dal momento che prevale la clausola contrattuale, non si applica l’art. 1671 c.c. e l’appaltatore non ha diritto al mancato guadagno.

Il Tribunale di Lecco entra infine nei dettagli di quali costi debbano essere rimborsati, in base alla clausola del contratto di appalto. L’appaltatore aveva acquistato alcuni pannelli in vista del cantiere. Alcuni di essi non si erano potuti rivendere e il danno consiste nel prezzo di acquisto degli stessi. Altri pannelli erano stati rivenduti, ma a un prezzo inferiore: il danno consiste nella differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di rivendita.

In conclusione, la domanda della società appaltatrice viene accolta in parte, anche se la base della decisione del giudice non è l’art. 1671 c.c., bensì la clausola del contratto di appalto che prevede la risoluzione.

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