Cessione di azienda, trasferimento dei contratti e recesso del contraente ceduto
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 4 febbraio 2025, n. 2739 – Pres. Di Marzio – Rel. Catallozzi
Parole chiave: Cessione di azienda – Successione nei contratti – Recesso del contraente ceduto – Termine per l’esercizio del diritto di recesso – Decorrenza – Momento in cui il contraente ceduto ha notizia del verificarsi dell’effetto traslativo – Conseguenze
[1] Massima: “L’art. 2558 c.c. stabilisce che, se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale, fatto salvo il diritto del terzo contraente di recedere nel termine decadenziale di tre mesi dalla notizia del trasferimento, che inizia a decorrere, quando venga pattuito il differimento dell’effetto traslativo della cessione, dal momento in cui il contraente ceduto ha conoscenza del fatto che tale effetto si è verificato e non della mera conclusione del contratto da cui promana.”
Disposizioni applicate: cod. civ., art. 2558
CASO
La cessionaria di un ramo di azienda agiva in giudizio nei confronti di un istituto di credito affinché venisse accertata l’insussistenza di debiti nei suoi confronti: a fondamento della domanda, la società attrice deduceva di avere acquisito, per effetto di conferimento, il ramo di azienda della cedente che comprendeva, tra gli altri, il contratto di conto corrente in essere con detto istituto bancario, che aveva comunicato il recesso e chiesto il rientro dall’esposizione debitoria una volta decorso il termine di tre mesi previsto dall’art. 2558, comma 2, c.c.
La domanda veniva accolta in primo grado.
All’esito del giudizio di appello, tuttavia, la sentenza era riformata, poiché si dava rilievo al fatto che la comunicazione del recesso era avvenuta prima della data di efficacia della cessione del ramo d’azienda (pattiziamente differita al momento dell’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese) e, dunque, senz’altro tempestivamente.
La pronuncia della Corte d’appello di Roma veniva gravata con ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, confermando la tempestività della comunicazione di recesso inviata dalla banca (contraente ceduto) alla società cessionaria del ramo di azienda ai sensi dell’art. 2558, comma 2, c.c.: secondo i giudici di legittimità, infatti, il momento da cui inizia a decorrere il termine di tre mesi stabilito dalla norma dev’essere fatto coincidere con la data in cui il terzo ha notizia dell’efficacia della cessione, non essendo sufficiente la comunicazione della mera conclusione del contratto avente per oggetto il trasferimento dell’azienda cui non sia immediatamente collegato l’effetto traslativo proprio dell’operazione negoziale posta in essere dalle parti.
QUESTIONI
[1] L’art. 2558 c.c. stabilisce che, in caso di cessione di azienda (o di ramo d’azienda) l’acquirente (o cessionario), salvo che non sia diversamente previsto, subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale.
La cessione di azienda, dunque, comporta la successione del cessionario in tutti i contratti stipulati dal cedente per l’esercizio della stessa, con la sola eccezione di quelli aventi carattere personale, di quelli aventi per oggetto prestazioni già concluse o esaurite (nel quale caso le norme di riferimento si identificano negli artt. 2559 e 2560 c.c., che si occupano del subentro, rispettivamente, nei crediti e nei debiti afferenti all’azienda ceduta) e di quelli rispetto ai quali le parti abbiano, con espressa pattuizione, escluso che si verifichi il subentro.
La disciplina apprestata dal legislatore con riguardo alla successione nei contratti dell’azienda ceduta differisce parzialmente da quella dettata in materia di cessione del contratto: gli effetti contemplati dall’art. 2558 c.c., infatti, si producono di diritto, come conseguenza naturale della fattispecie traslativa dell’azienda e, dunque, indipendentemente sia da un’espressa manifestazione della volontà delle parti in tale senso, sia dal consenso del contraente ceduto, che l’art. 1406 c.c. erge invece a condizione, nel superiore interesse all’intangibilità – anche sotto il profilo soggettivo – del vincolo contrattuale, affinché i contraenti non siano costretti a subire forzatamente la sostituzione della controparte contrattuale.
In questo senso, il legislatore, nel caso di cessione d’azienda (o di ramo d’azienda), ha inteso privilegiare l’aspetto del mantenimento della funzionalità economica dell’azienda, onde evitare la dispersione della sua attitudine produttiva, tutelando l’interesse tanto dell’acquirente a potersi giovare di un complesso aziendale corredato dei rapporti contrattuali che lo riguardano (in funzione della continuità dell’attività dell’impresa), quanto dell’alienante al conseguimento di una maggiore valorizzazione del medesimo complesso aziendale in ragione dei beni che lo compongono sotto il profilo funzionale.
Si è voluto così favorire l’interesse generale a una più agevole circolazione di complessi aziendali completi ed efficienti, che rischierebbe di rimanere frustrato se fosse prescritta – affinché si produca l’effetto successorio nei contratti che li riguardano – un’accettazione espressa del soggetto che non è parte del negozio di cessione, ferma restando la libertà delle parti di escludere, con riguardo ad alcuni dei contratti in corso di esecuzione (o al limite, con riferimento a tutti), il subentro dell’acquirente.
Per non pregiudicare in modo eccessivo la posizione del terzo contraente, il legislatore gli ha dunque attribuito la facoltà di recedere dal contratto, in conseguenza della sostituzione verificatasi a seguito della cessione.
Tale facoltà, tuttavia, è subordinata a una duplice condizione:
- in primo luogo, deve sussistere una giusta causa che legittimi il recesso;
- in secondo luogo, il recesso deve avvenire entro il termine di decadenza di tre mesi dalla notizia del trasferimento d’azienda.
Il recesso opera ex nunc, sicché, fino a quando non intervenga, il contratto continua a produrre i propri effetti tra il terzo contraente (estraneo al negozio di cessione) e il cessionario dell’azienda (subentrato al cedente per effetto di quanto stabilito dall’art. 2558 c.c.); una volta intervenuto il recesso, si determina lo scioglimento del vincolo contrattuale.
Nella fattispecie sottoposta al vaglio della Corte di cassazione, si trattava di stabilire se la comunicazione con cui la banca aveva formalizzato nei confronti della società cessionaria (rectius: conferitaria) del ramo d’azienda la volontà di recedere dal contratto di conto corrente fosse stata inviata o meno tempestivamente, ossia nel termine di tre mesi fissato dal comma 2 dell’art. 2558 c.c.
A questo proposito, i giudici di legittimità hanno osservato che la norma attribuisce rilevanza al momento in cui il contraente ceduto ha avuto notizia del trasferimento dell’azienda, qualunque sia la fonte da cui l’abbia appresa e, dunque, indipendentemente dal fatto che l’alienante, anche al fine di pervenire a una sollecita definizione della propria posizione nei rapporti aziendali pendenti, abbia dato comunicazione del trasferimento dell’azienda allo scopo di fare decorrere il termine in questione.
L’attenzione, dunque, si è spostata sul contenuto di tale notizia: se, cioè, per produrre gli effetti che la disposizione vi ricollega, sia sufficiente dare conto della vicenda negoziale che ha riguardato l’azienda, oppure se debba aversi riguardo all’effetto traslativo che da essa è conseguito.
La Corte di cassazione ha sposato questa seconda linea interpretativa, evidenziando che l’art. 2558, comma 2, c.c., riferendosi al trasferimento quale oggetto della notizia rilevante ai fini della decorrenza del termine di tre mesi per l’esercizio della facoltà di recesso, mostra di prendere in considerazione la produzione dell’effetto traslativo, piuttosto che il mero perfezionamento dell’atto dispositivo da cui è destinato a derivare.
La formulazione della norma si spiega in ragione del fatto che tali momenti, in linea generale, coincidono (data la riconducibilità della cessione di azienda alla compravendita): fatta salva una diversa volontà delle parti, infatti, l’effetto traslativo si determina con la conclusione del contratto, ai sensi dell’art. 1376 c.c., cosicché il trasferimento menzionato dall’art. 2558 c.c. deve intendersi riferito all’operazione di cessione dell’azienda produttiva degli effetti al momento del perfezionamento del relativo atto negoziale, secondo ciò che accade di regola.
D’altra parte, come osservato dai giudici di legittimità, l’anticipazione del dies a quo di decorrenza del termine per esercitare il recesso rispetto al momento in cui si producono gli effetti della cessione potrebbe porsi in contrasto con la ratio dell’istituto, imponendo al contraente ceduto che non intenda proseguire i rapporti contrattuali inerenti all’azienda ceduta di sciogliersene immediatamente, pregiudicando fin da subito l’interesse al mantenimento della funzionalità economica dell’azienda e precludendo l’ordinaria prosecuzione dell’attività d’impresa nel senso desiderato dai contraenti anche nel periodo antecedente al subentro del cessionario, che costituisce l’evento sgradito al contraente ceduto e in relazione al quale l’ordinamento accorda a quest’ultimo la facoltà di recedere in presenza di una giusta causa.
In effetti, costringere il terzo a manifestare la volontà di recedere da un rapporto per il fatto che vi è subentrato il cessionario prima che il subentro di questi nel contratto sia avvenuto rischia di rivelarsi un nonsenso giuridico.
Inoltre, nel caso in cui la cessione fosse stata sospensivamente condizionata a un evento futuro che non si è successivamente verificato, si assisterebbe a una distorsione ancora maggiore della finalità avuta di mira dalla norma: il contraente ceduto, infatti, se dovesse osservare il termine di tre mesi dalla notizia della cessione (e non dalla notizia del prodursi dei suoi effetti traslativi), dovrebbe recedere dal contratto in previsione del temuto subentro nel rapporto contrattuale di un nuovo soggetto che, tuttavia, non avrà luogo, a tutto discapito dell’unità funzionale del complesso aziendale e della sua attitudine produttiva.
Da ultimo, la Corte di cassazione ha pure precisato che, qualora tra il momento della conclusione del contratto di cessione e quello della sua efficacia trascorra un significativo lasso temporale, potrebbero verificarsi modificazioni nelle qualità soggettive e patrimoniali del cessionario idonee a incidere sulla valutazione del contraente ceduto di continuare nel rapporto contrattuale o di recedere dallo stesso, sicché, anche da questo punto di vista, appare illogico ancorare tale valutazione a una situazione fattuale diversa da quella che sarà esistente quando il cessionario subentrerà effettivamente nel rapporto contrattuale interessato dalla cessione di azienda.
In conclusione, il dies a quo del termine di tre mesi di cui all’art. 2558, comma 2, c.c., nel caso in cui il trasferimento d’azienda non produca effetti immediati, ma differiti, deve individuarsi nel momento in cui il contraente ceduto ha notizia del fatto che l’effetto traslativo si è verificato, anziché della mera conclusione del contratto di cessione.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia