18 Novembre 2025

Caparra confirmatoria o acconto prezzo? La “duplice funzione alternativa”

di Donatella Marino, AvvocatoFrancesca Del Duca, Avvocato Scarica in PDF

Parole chiave

Caparra confirmatoria – acconto prezzo – principio di pagamento – pagamento del duplum – duplice funzione alternativa – inadempimento contrattuale – contratto preliminare – recesso dell’acquirente – obblighi del venditore – condono edilizio – sanatoria edilizia – Cassazione civile – Sentenza 23592/2025 – responsabilità precontrattuale – art. 1385 c.c. – art. 1176 c.c. – diligenza del debitore – restituzione del doppio – commerciabilità del bene

Sintesi

L’importo versato, a fronte di un contratto preliminare di compravendita, dal promissario acquirente “a titolo di caparra confirmatoria e principio di pagamento” va interpretato come volto ad assolvere ad una duplice funzione alternativa: si qualificherà come caparra confirmatoria (preventiva liquidazione del danno) per il caso di inadempimento di una delle parti, oppure come anticipo parziale di pagamento, nel caso di adempimento e conclusione del definitivo. Nella fattispecie esaminata, il promissario acquirente recedeva dal contratto, assumendo l’inadempimento del promittente venditore per mancato completamento di una pratica di sanatoria edilizia sull’immobile compravenduto. In primo grado, il Tribunale riconosceva la legittimità del recesso, ma limitava la restituzione alla sola somma versata dal promissario acquirente. La Corte d’Appello di Roma, riformando la sentenza, condannava invece il promittente venditore alla restituzione del doppio dell’importo versato, qualificando la somma come caparra confirmatoria. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 23592/2025, confermava integralmente la decisione della Corte d’Appello, ribadendo due principi di diritto: in primo luogo, la mancata regolarizzazione edilizia di un immobile oggetto di compravendita costituisce grave inadempimento del promittente venditore; in secondo luogo, la clausola “caparra confirmatoria e acconto prezzo” esprime una duplice funzione alternativa, conforme alla costante giurisprudenza di legittimità.

La vicenda

La controversia trae origine da un contratto preliminare di compravendita stipulato tra promissario acquirente e promittente venditore, avente ad oggetto un immobile gravato da problematiche urbanistico–edilizie. Al momento della stipula del preliminare, la promissaria acquirente versava la somma di Euro 12.000, a titolo di caparra confirmatoria e acconto prezzo. Tuttavia, le parti non giungevano alla conclusione del contratto di compravendita, poiché l’immobile risultava interessato da una pratica di condono edilizio non perfezionata, in quanto mancavano documenti essenziali richiesti dal Comune, tra cui il nulla osta paesaggistico e la documentazione sull’affrancazione da usi civici. In tale contesto, la promissaria acquirente esercitava il recesso dal contratto, adducendo l’inadempimento del promittente venditore. La questione principale del giudizio riguardava, dunque, due aspetti: i) l’inadempimento del promittente venditore e la conseguente legittimità del recesso ii) la qualificazione dell’importo versato come “caparra o anticipo di pagamento”, al fine di valutare, riconosciuto l’inadempimento del promittente venditore, l’obbligo di restituzione del doppio della caparra.

Il Tribunale di Roma (Sent. n. 4598/2013) accoglieva parzialmente la domanda dell’attore (promissario acquirente), riconoscendo la legittimità del recesso per inadempimento ma limitando il rimedio alla sola restituzione della somma versata (Euro 12.000), escludendo il pagamento del duplum. Non accoglieva, tuttavia, nemmeno la tesi del promittente venditore, secondo cui l’immobile, in quanto costruito prima del 1967, sarebbe stato comunque commerciabile.

La Corte d’Appello di Roma (Sent. n. 6658/2019) riformava parzialmente la decisione, accogliendo l’appello incidentale della promissaria acquirente e condannando la promittente venditrice alla restituzione del doppio della caparra (Euro 24.000). La Corte evidenziava che la somma versata aveva natura inequivocabile di caparra confirmatoria, espressamente richiamata nel contratto, e ribadiva che la vetustà dell’immobile non esonerava dalla necessità di completare la sanatoria edilizia, tanto più in presenza di vincolo paesaggistico e di usi civici. La mancata produzione dei documenti richiesti dal Comune costituiva pertanto grave inadempimento, idoneo a giustificare il recesso del promissario acquirente.

La decisione della Corte di Cassazione

Con il ricorso per cassazione, la promittente venditrice articolava dieci motivi di impugnazione, volti a ottenere la riforma della sentenza d’appello. Tuttavia, nessuno di essi veniva accolto. Con Sentenza n. 23592 del 20 agosto 2025, la Corte di Cassazione rigettava integralmente il ricorso della promittente venditrice, confermando la condanna al pagamento del duplum della caparra e la correttezza delle decisioni di merito.

La Suprema Corte:

  • ribadisce che la mancanza della documentazione amministrativa costituisce un inadempimento imputabile al venditore, che impedisce la stipula del definitivo;
  • conferma la qualificazione della somma versata come caparra confirmatoria con funzione risarcitoria ex art. 1385 c.c.

L’inadempimento del promittente venditore

Il venditore sosteneva che l’immobile, essendo stato costruito prima del 1967, fosse commerciabile anche senza sanatoria edilizia: di conseguenza, non sarebbe stato tenuto ad affrancare il bene entro la data fissata per il rogito, ma solo “nei tempi di legge”. Inoltre, lamentava che la controparte non avesse eccepito l’assenza del certificato di agibilità in primo grado. La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto infondate tali censure.

In particolare, ha evidenziato che l’oggetto del giudizio non era la commerciabilità astratta del bene, bensì l’inadempimento specifico agli obblighi contrattuali assunti dal promittente venditore con la clausola dell’art. 2 del preliminare, in base alla quale egli si era impegnato ad assicurare la totale libertà dell’immobile da “pesi, debiti, liti, vincoli, oneri reali e fiscali in genere, privilegi tributari, ipoteche e trascrizioni pregiudizievoli in genere ad eccezione degli usi civici se esistenti ed ulteriore affrancazione entro i tempi previsti dalla legge a cura e spese della parte promittente venditrice” (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). Su queste basi, la Corte ha ritenuto che il venditore non si fosse “tempestivamente adoperato per ottenere il rilascio del provvedimento in sanatoria, non avendo provveduto ad assolvere le incombenze mancanti, quali il pagamento dei diritti di segreteria e istruttoria, affrancazione usi civici e nulla osta paesistico, entro la data fissata per la stipula del rogito, così come promesso nel contratto preliminare”.

Sia la Corte d’Appello, sia la Cassazione, accertano, dunque, che la promittente venditrice non aveva tempestivamente adempiuto agli obblighi di regolarizzazione del cespite: non aveva completato la sanatoria edilizia, né ottenuto l’affrancazione degli usi civici e il nulla osta paesaggistico entro i termini fissati per il rogito e ribaditi nella diffida ad adempiere. Tale condotta inerte e negligente configura un inadempimento grave, che legittima il recesso esercitato dal promissario acquirente.

La Cassazione richiama il principio secondo cui il promittente venditore, obbligato contrattualmente a trasferire un bene “libero da pesi e vincoli”, deve dimostrare di essersi diligentemente attivato per ottenere le necessarie autorizzazioni, secondo la diligenza professionale richiesta dall’art. 1176 c.c. Tale obbligo si estende anche alla regolarità urbanistica e al rilascio del certificato di abitabilità, salvo espressa rinuncia dell’acquirente.

Pur non escludendo in astratto la commerciabilità del bene gravato da uso civico, la Corte sottolinea che tale vincolo rappresenta comunque un limite giuridico rilevante, incompatibile con l’impegno contrattuale a trasferire un bene pienamente libero. L’invocazione dei “tempi di legge” non può giustificare il ritardo, poiché la diligenza contrattuale imponeva il completamento degli adempimenti entro la data del rogito o della diffida ad adempiere. La Suprema Corte, inoltre, rileva che il ricorso del venditore si risolveva in una richiesta di rivalutazione delle prove, estranea alla funzione del giudizio di legittimità, e dunque inammissibile.

 Acconto o caparra?

La promittente venditrice sosteneva, inoltre, che la somma versata dall’acquirente costituisse un semplice acconto. Con l’ultimo motivo di ricorso, lamentava la violazione degli artt. 1346 e 1418 c.c., sostenendo che il contratto preliminare dovesse essere dichiarato nullo per la presunta carenza documentale dell’immobile e che la somma di Euro 12.000 non potesse qualificarsi come caparra confirmatoria, ma solo come acconto prezzo.

La Cassazione dichiara il motivo inammissibile nella parte relativa alla nullità — mai dedotta nei precedenti gradi di giudizio — e infondata nella parte residua, confermando che la volontà negoziale delle parti era chiaramente quella di attribuire alla somma la duplice funzione di caparra confirmatoria e acconto prezzo.

La Corte richiama la motivazione della sentenza d’appello: “Chiara era la volontà delle parti di assegnare alla somma di euro 12.000 versata al momento della stipula del compromesso la qualifica giuridica di caparra confirmatoria ex art. 1385 c.c., oltre che di acconto prezzo… L’uso di espressioni con cui le parti negoziali attribuiscono una doppia qualificazione alla somma eventualmente versata va inteso come richiamo alla duplice funzione alternativa della caparra confirmatoria…

In conformità alla giurisprudenza consolidata, la Corte ribadisce che quando nel contratto la somma è indicata come versata “a titolo di caparra confirmatoria e principio di pagamento”, essa assolve entrambe le funzioni in via alternativa:

  • di liquidazione preventiva del danno in caso di inadempimento;
  • di acconto sul prezzo in caso di adempimento.

Conclusioni e principio di diritto

La Corte di Cassazione rigetta integralmente il ricorso del promittente venditore, confermando la decisione della Corte d’Appello di Roma. In linea con il proprio orientamento prevalente, enuncia inoltre il seguente principio di diritto: “La somma di denaro che, all’atto della conclusione di un contratto di compravendita, una parte consegna all’altra “a titolo di caparra confirmatoria e principio di pagamento” va intesa – alla stregua di un diretto procedimento ermeneutico della cennata espressione contrattuale – impiegata per la sua intera entità per assolvere alla duplice funzione, alternativa, della caparra confirmatoria, di preventiva liquidazione del danno, per il caso di inadempimento, ovvero di anticipato parziale pagamento, per l’ipotesi di adempimento; salvo che da elementi intrinseci ed estrinseci al contratto, possa desumersi che i contraenti abbiano voluto limitare ad una parte soltanto della somma versata la funzione di caparra, attribuendo all’altra parte della somma la qualifica di mero acconto del prezzo dovuto.”

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