Affitto di azienda: danni per ritardata restituzione ex art. 1591 c.c.
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFMassima: “In tema di danni per ritardata restituzione di un immobile locato, la norma dell’art. 1591 c.c. – applicabile anche al contratto di affitto d’azienda in mancanza di una disposizione specifica – stabilisce che il conduttore in mora è tenuto a dare al locatore il corrispettivo dovuto fino alla riconsegna, ma non conferisce alcun rilievo alla restituzione parziale del bene oggetto del contratto, di talché in siffatta ipotesi il conduttore continua ad essere in mora e permane a suo carico l’obbligo di pagamento previsto dalla citata disposizione.”
Interessante ed originale interpretazione estensiva dell’art. 1591 c.c., danni da ritardata restituzione dell’immobile, anche al contratto di affitto d’azienda, attesa la compatibilità di norme ed in rapporto tra norma generale e speciale e l’assenza di una norma di tal guisa, in caso di mancata restituzione dell’azienda.
CASO
Con ricorso ai sensi dell’art. 810 c.p.c. la Società Alfa, chiedeva al Presidente del Tribunale di Imperia di nominare l’arbitro unico al fine di decidere la controversia, dalla stessa introdotta nei confronti della Società Beta, per la qualificazione giuridica del contratto stipulato nel 2001 tra la ricorrente e il dante causa di Beta, avente ad oggetto “la gestione” di un supermercato.
Alfa, in particolare, sosteneva che quel contratto doveva essere qualificato come affitto di azienda e che la convenuta, avendo ricevuto regolare disdetta per cessazione del contratto, era tenuta alla restituzione dell’azienda e al risarcimento del danno per il ritardo nella consegna.
Beta, costituendosi nel giudizio arbitrale, chiedeva invece che il contratto stipulato venisse qualificato come locazione o sublocazione, che Alfa venisse condannata, in caso di accoglimento della domanda, al pagamento dell’indennità di cui agli artt. 2561 e 2562 c.c. e che, in ogni caso, fosse respinta la domanda di risarcimento dei danni.
L’arbitro unico qualificava il contratto per cui era lite come affitto di azienda, accoglieva le domande di Alfa, condannando quest’ultima a pagare a Beta, ai sensi degli artt. 2561 e 2562 c.c., la somma di Euro 53.522,86 e condannava Beta alla restituzione dell’azienda e al risarcimento dei danni per il protrarsi dell’abusiva occupazione, stabilita in una somma pari al canone mensile di affitto.
Beta impugnava il lodo arbitrale avanti la Corte d’Appello di Genova, la quale con sentenza del 14 luglio 2022, rigettava il gravame e condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio di appello.
La Corte riteneva non consentita l’impugnazione del lodo per questioni relative alla valutazione delle risultanze probatorie da parte degli arbitri e che comunque riguardano direttamente il merito della controversia, sicché le censure rivolte contro il lodo non potevano comprendere anche lacune di indagine o di motivazione o non corretto apprezzamento delle risultanze istruttorie.
La società Beta in secondo grado sosteneva di essere stata costretta ad abbandonare i locali sede del supermercato in data 1 agosto 2014, avendo subìto un ordine di rilascio da parte del proprietario (che non era la società Alfa); ragione per cui la stessa aveva eccepito che il danno doveva ritenersi limitato alla quantificazione del mancato utilizzo dei beni strumentali all’azienda, poiché la mancata restituzione aveva riguardato solo i beni mobili strumentali e fungibili dell’azienda stessa, ovvero il loro mancato godimento.
La Corte genovese, inquadrando anch’essa il rapporto contrattuale come affitto d’azienda, dichiarava infondate le ragioni del gravame poiché l’azienda, secondo i giudici di seconde cure, è un’unità che deve essere riconsegnata nella sua integrità, per cui il canone di affitto costituisce il danno emergente provocato dalla mancata disponibilità dell’attività. La responsabilità del conduttore per il ritardo nella restituzione della cosa locata, regolata dall’art. 1591 c.c., ha dunque natura contrattuale perché deriva dalla violazione dell’obbligo di restituzione ed è predeterminata dalla legge.
Beta, pertanto, proponeva ricorso per cassazione sulla base di due motivi contro la sentenza della Corte d’Appello di Genova.
Alfa resisteva con controricorso.
SOLUZIONE
La Corte di cassazione rigettava il ricorso e condannava la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.
QUESTIONI
Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamentava la violazione o falsa applicazione dell’art. 1591 c.c. in relazione alla violazione degli artt. 1218 e 1223 c.c. e dell’art. 112 c.p.c..
Beta affermava di aver riconsegnato il bene immobile alla proprietaria, che era la società Gamma, alla data del 1° agosto 2014, circostanza che sarebbe stata accertata anche dall’arbitro. Gamma, infatti, si era attivata per il rilascio forzato dell’immobile, il che non sarebbe stato valutato dalla sentenza impugnata.
La Corte d’Appello, secondo la ricorrente, si sarebbe soffermata solo sull’applicazione dell’art. 1591 c.c., senza considerare che a Beta poteva essere imputata solo la mancata consegna dei beni mobili strumentali, con conseguente violazione anche dell’art. 112 c.p.c..
Beta riteneva come i giudici del gravame avrebbero dovuto valutare come l’art. 1591 c.c. ponga una presunzione semplice di danno, superabile grazie alla prova contraria; invece, la società Alfa, non avendo più dovuto corrispondere alla società Gamma, a decorrere dal 1° agosto 2014, l’indennità di occupazione senza titolo, avrebbe finito per ottenere un’ingiusta locupletazione. Sarebbe dunque errato il rilievo della sentenza secondo cui il complesso aziendale doveva essere restituito nella sua integrità.
La Corte di legittimità anzitutto premetteva come la qualificazione giuridica del contratto intercorso tra le parti in termini di affitto di azienda non fosse più oggetto di lite, giacché sul tema la Corte di merito si era pronunciata e non vi era ad ogni modo alcuna censura da parte della società ricorrente.
L’azienda, secondo la definizione codicistica dettata dall’art. 2555 c.c., è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa.
Orbene, l’elemento distintivo tra locazione di un immobile destinato a uso commerciale e l’affitto d’azienda sta nella preesistenza dell’organizzazione in forma imprenditoriale.
Qualora al momento della stipula del contratto l’azienda è già avviata si è in presenza di un affitto di azienda; ove, invece, la parte che prende in godimento l’immobile crei solo successivamente l’impresa si avrà allora un rapporto di locazione[1].
Il giudice, pertanto, nel valutare se un contratto debba essere qualificato come locazione di immobile o affitto di azienda (o di un ramo di essa), deve, in primo luogo, verificare se i beni oggetto di tale contratto fossero già organizzati in forma di azienda; in caso positivo, egli è tenuto, quindi, ad accertare se le parti abbiano inteso trasferire o concedere il godimento del complesso organizzato o semplicemente quello di un immobile, al cui godimento risultino strumentali altri beni e servizi, restando poi libero l’avente causa di costituire “ex novo” un’azienda propria[2].
Invero, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto come “la differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto d’azienda consiste nel fatto che nella prima ipotesi l’immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell’economia del contratto, come l’oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente e assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all’immobile) assumono carattere di accessorietà e rimangono collegati all’immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e coordinazione. Nell’affitto d’azienda, invece, l’immobile non viene considerato nella sua individualità giuridica, ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili e immobili, legati tra di loro da un vincolo di interdipendenza e complementarietà per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicché’ l’oggetto del contratto è costituito dall’anzidetto complesso unitario”[3].
Ciò posto, gli Ermellini davano continuità alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale, poiché nel codice civile tra le norme sulla locazione e quelle sull’affitto, compreso l’affitto di azienda, corre il rapporto tipico tra norme generali e norme speciali, se la fattispecie non è regolata da una norma specificamente prevista per l’affitto dovrà farsi ricorso alla disciplina generale sulla locazione di cose, salva l’incompatibilità con la relativa normazione speciale.
Sulla scorta di tale soluzione, la violazione da parte dell’affittuario dell’obbligo di restituzione dell’azienda all’affittante per scadenza del termine darà luogo a responsabilità in capo all’affittuario a norma dell’art. 1591 c.c. dettato in tema di locazione, mancando, in primis, nella disciplina dell’affitto una norma che regoli i danni per ritardata restituzione e, in secondo luogo, poiché tale istituto non risulta incompatibile con la regolamentazione speciale sull’affitto[4].
Confermata l’applicabilità dell’art. 1591 c.c. al contratto d’affitto d’azienda, l’ulteriore questione era quella della rilevanza o meno, ai fini della corresponsione della somma, di una restituzione parziale della cosa locata, giacché parte ricorrente sosteneva che la domanda di condanna al risarcimento fosse meritevole di rigetto data la restituzione anche parziale dei beni.
Anche in questo senso la Corte di legittimità dava risposta negativa alla società ricorrente, poiché il contratto di affitto di azienda avendo ad oggetto il godimento dell’immobile e dei beni strumentali, una volta cessato per qualsiasi causa tale affitto, l’obbligazione di rilascio dei cespiti conferiti, cioè del godimento dell’immobile e dei beni, è un’obbligazione che si può dire adempiuta solo con la riconsegna di tutto l’oggetto dell’affitto, e non solo di una parte, quindi con l’integrale restituzione: beni ed immobile.
In sostanza, poiché non era stato adempiuto l’obbligo di rilascio per una parte del bene oggetto del contratto e, quindi, non è avvenuta la riconsegna dell’intero complesso, l’art. 1591 c.c. comportava l’obbligo di corrispondere l’intero canone pattuito, senza che fosse possibile – come correttamente stabilito dalla Corte d’Appello – procedere a una riduzione proporzionale del corrispettivo in base alla parte dell’oggetto dell’affitto restituita.
Tale conclusione, secondo i giudici di Piazza Cavour, discendeva chiaramente non solo dal disposto dell’art. 1591, che non contempla la possibilità di rilasci parziali, ma anche dalla logica complessiva del sistema, in quanto l’obbligazione di pagamento trova fondamento nella natura della locazione (e dell’affitto di azienda), che presuppone il godimento dell’intero bene e, dunque, può venir meno solo con la cessazione totale di tale godimento.
Diversamente, si legittimerebbe un adempimento parziale dell’obbligo di rilascio, nonostante l’intervenuta cessazione del rapporto, purché proporzionalmente retribuito, consentendo così una modifica unilaterale del contenuto contrattuale da parte dell’affittuario, il quale – con restituzioni parziali o progressive – potrebbe di fatto prolungare il godimento, seppure limitato, del bene, in contrasto con la struttura e la logica del contratto stesso e della sua risoluzione.
Con la seconda censura Beta lamentava vizio di motivazione.
Secondo la ricorrente, invero, la sentenza si sarebbe soffermata esclusivamente sull’applicabilità, in via analogica, delle norme sulla locazione all’affitto di azienda senza, tuttavia, trattare ai fini del risarcimento del danno, sulla riconsegna del bene immobile alla proprietaria società, anche perché quel profilo era stato trattato anche dalla difesa avversaria, la quale non aveva negato la consegna del bene.
Il motivo secondo gli Ermellini non era fondato, giacché la Corte d’Appello si era occupata del problema, per cui non si ravvisava nessun omesso esame, con il che il ricorso veniva, pertanto, rigettato.
[1] Sul punto la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., Sent. n. 5657/2025) ha infatti escluso l’applicazione dell’istituto dell’affitto d’azienda “che presuppone l’organizzazione -antecedente al contratto ed imputabile al locatore- di tutti gli elementi necessari per l’esercizio dell’impresa” poiché “l’avviamento commerciale non preesisteva alla locazione dell’immobile”.
[2] Cass. civ., Sent. n. 3888/2020.
[3] Cass. civ., Sez. TRI, Sent. n. 23851/2019.
[4] Ex multis Cass. civ., Ord. n. 26529/2019 secondo la quale “il comportamento inadempiente dell’affittuario concernente la mancata restituzione dei beni aziendali alla cessazione del rapporto di affitto non incide sul trasferimento della titolarità dell’azienda… ma produce solo effetti di natura risarcitoria alla stregua dell’articolo 1591 c.c. che, dettato in tema di locazione, si estende all’affitto, mancando, nella disciplina speciale di questo, una norma che regoli i danni per ritardata restituzione”.
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