9 Dicembre 2025

Revoca giudiziale dell’amministratore di condominio e convocazione dell’assemblea oltre i termini dell’art. 1130, comma 1, n.10 c.c.

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte d’Appello di Bologna, sez. I civile, Decreto del 06.11.2025 n. 3250, Pres. rel. A. Allegra (inedita)

Rimane ancora dibattuta e controversa all’interno delle Corti di merito, la questione se la tardiva convocazione dell’assemblea condominiale per l’approvazione del rendiconto oltre il termine di 180 giorni stabilito dall’art. 1130, comma 1, n. 10, c.c., costituisca o meno valutazione discrezionale dell’autorità giudicante ovvero la ridetta omissione comporti tout court una grave irregolarità e quindi la conseguente automatica pronuncia della revoca giudiziale in sede di volontaria giurisdizione.

La fonte del commento è una sentenza inedita della Corte civile d’Appello di Bologna che tratta diffusamente l’argomento prevendo al rigetto della domanda di revoca giudiziale e confermando in sede di reclamo il provvedimento emesso dal Collegio del Tribunale.

CASO

Tizio proponeva ricorso avanti al Tribunale di Bologna domandando la revoca dell’amministratore del condominio di cui egli era condomino, e, in via subordinata, l’accertamento della mancata valida nomina del medesimo amministratore per omesso raggiungimento del quorum deliberativo previsto dalla legge, deducendo peraltro altre minori irregolarità riconducibili alla condotta dell’amministratore.

A fondamento delle proprie domande, il ricorrente deduceva che l’amministratore, oltre ad essersi reso responsabile di plurime irregolarità gestionali, aveva convocato l’assemblea ordinaria per l’approvazione del rendiconto annuale, con un ritardo di sei mesi rispetto al termine utile individuato, ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 10, c.c.

Si costituiva in giudizio l’amministratore Caio, il quale chiedeva il rigetto del ricorso, eccependo l’assenza di gravi irregolarità nella propria gestione, tali da giustificare la revoca giudiziale ai sensi dell’art. 1129 c.c. ed adducendo alcune giustificazioni comportanti il ridetto ritardo; in particolare deduceva che la complessità della contabilità costituita anche dall’esecuzione di lavori straordinari, fosse il motivo per il quale non si sarebbe attenuto al rispetto dei termini di legge. Peraltro deduceva che dal ridetto ritardo non era derivato alcun danno a Tizio.

Il Tribunale di Bologna, con la decisione impugnata, riteneva che il ritardo di sei mesi nella convocazione dell’assemblea ordinaria, pur costituendo formalmente un inadempimento agli obblighi di legge, non integrasse una grave irregolarità idonea a fondare la revoca dell’amministratore.

Il Giudice di merito osservava, infatti, che il ritardo risultava giustificato dall’esigenza di redigere il bilancio consuntivo comprensivo anche dei lavori straordinari previamente deliberati dall’assemblea condominiale, lavori la cui esecuzione risultava pacifica tra le parti. Inoltre, il Tribunale valorizzava la natura episodica dell’inadempimento, rilevando come, nei precedenti esercizi, le assemblee per l’approvazione dei rendiconti fossero state convocate tempestivamente.

Quanto agli ulteriori profili di doglianza dedotti dal ricorrente, il Tribunale ne escludeva la rilevanza ai fini della revoca, evidenziando la perdurante sussistenza del rapporto fiduciario tra il condominio e l’amministratore.

Con riferimento, infine, alla domanda subordinata, il Tribunale escludeva la dedotta invalidità della nomina dell’amministratore per mancato raggiungimento del quorum deliberativo, rilevando che nella specie si trattava non di una nomina ex novo, bensì di una conferma dell’incarico, valorizzando la tesi – non unanime nella giurisprudenza di merito – secondo la quale è sufficiente la maggioranza semplice, ai sensi dell’art. 1136, commi 2 e 3, c.c., e non quella qualificata di cui al comma 4) prevista per la nomina ex novo, in ragione della continuità/prosecuzione del rapporto fiduciario già in essere.

Su questo argomento opinabilmente, il Tribunale valorizza la recente opinione dottrinale e giurisprudenziale riguardante la fattispecie della conferma, ossia quando il condominio alla cessazione del termine biennale dell’incarico dell’amministratore ex art. 1129, comma 10 c.c. proceda con la conferma dell’amministratore in carica, dando così vita ad una continuità del rapporto fiduciario, in presenza del quale non occorre la maggioranza qualificata (maggioranza intervenuti e metà valore edificio) risultando sufficiente la maggioranza semplice.

Inoltre, il Tribunale nell’ambito della condanna alle spese ex art. 92 cpc valorizzava la natura contenziosa del procedimento e quindi in applicazione di tale criterio e non di quello ratione materiae della volontaria giurisdizione, liquidava le spese in applicazione della tabella dei parametri forensi ex DM 147/22 secondo i giudizi ordinari tabella n.2 (in misura maggiore) e non secondo i procedimenti di volontaria (ex tabella n.7)

Stante il provvedimento di rigetto da parte del giudice di prime cure, Tizio proponeva reclamo ex art. 64 disp. att. c.c. innanzi alla Corte d’Appello di Bologna, principalmente sulla base di due motivi.

Con il primo motivo di impugnazione, il reclamante deduceva l’erronea interpretazione degli artt. 1129 e 1130, n. 10, c.c., nonché dell’art. 64 disp. att. c.c., con conseguente mancata valorizzazione degli elementi integranti la revoca giudiziale ipso iure dell’amministratore.

In particolare, Tizio osservava come il ritardo nella convocazione dell’assemblea condominiale integri una causa di revoca dell’amministratore legalmente predeterminata e, pertanto, non rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, in forza di una necessaria lettura coordinata delle disposizioni di cui agli artt. 1129, commi 11 e 12, n. 1), e 1130, n. 10), c.c.

Con il medesimo motivo di impugnazione, Tizio censurava altresì il rigetto della domanda proposta in via subordinata, volta all’accertamento della mancata nomina di Caio quale amministratore per omesso raggiungimento del quorum deliberativo prescritto dalla legge, anch’esso in violazione di legge in ragione dell’integrale scadenza del biennio e quindi dovendosi trattare di nuova nomina e con di conferma !

Con il secondo motivo di impugnazione, il reclamante lamentava invece l’erroneità della decisione, nella parte in cui era stata riconosciuta la sua integrale soccombenza, nonostante l’accertamento di una condotta irregolare da parte dell’amministratore, nonché la violazione dei criteri legali di ripartizione delle spese processuali di cui all’art. 92 c.p.c..

Tizio rilevava, in particolare, come la condanna integrale alle spese a suo carico risultasse contraria al principio di causalità, posto che egli aveva agito in giudizio non in modo pretestuoso o ingiustificato, bensì per reagire a un inadempimento oggettivo dell’amministratore, riconosciuto dallo stesso giudice di prime cure, sebbene da questi ritenuto non sufficiente a fondare la revoca dell’incarico, adducendo nella fattispecie in esame l’applicazione della corretta tabella sui giudizi non contenziosi ma di natura volontaria, in cui peraltro com’è noto la parte può anche difendersi personalmente senza l’assistenza tecnica del difensore, residuo baluardo di istituti divenuti desueti a seguito delle riforme processuali.

In base ai motivi sopra esposti, il reclamante chiedeva:

– la revoca giudiziale di Caio dall’incarico di amministratore condominiale e la riforma del capo del provvedimento relativo alla condanna alle spese di lite, con conseguente eventuale compensazione delle stesse e/o applicazione dei corretti parametri di legge;

– in via subordinata, l’accertamento della mancata nomina assembleare dell’amministratore per mancato raggiungimento del quorum deliberativo previsto dalla legge.

Si costituiva in giudizio Caio, il quale, in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità del reclamo, in quanto meramente ripetitivo di questioni già affrontate e decise dal Tribunale di Bologna.

Nel merito, chiedeva il rigetto del medesimo per insussistenza dei presupposti legittimanti la revoca dell’amministratore di condominio.

Con riguardo a tale profilo, Caio contestava l’automatismo prospettato dal ricorrente tra il mancato rispetto del termine di centottanta giorni di cui all’art. 1130, n. 10), c.c. e la ricorrenza della causa di revoca giudiziale ex art. 1129, comma 12, n. 1), c.c., rilevando la necessità di distinguere tra omessa e ritardata convocazione dell’assemblea e demandando in ogni caso e comunque al Tribunale la discrezionalità sul pregiudizio subito dall’irregolarità in capo al reclamante.

Nel caso di specie, il ritardo non potrebbe comunque qualificarsi come grave irregolarità “atipica” ex art. 1129, comma 11, c.c., trattandosi di episodio isolato rispetto alla complessiva gestione dell’amministratore e in presenza di un perdurante rapporto fiduciario con il condominio, comprovato dall’approvazione del bilancio e dalla conferma dell’incarico da parte della maggioranza dell’assemblea.

Quanto alla nomina dell’amministratore, Caio osservava che il reclamo si limitava a un generico riferimento al decreto impugnato, senza indicare specifici motivi di doglianza, riproponendo così questioni già disattese in primo grado; aggiungeva che eventuali vizi della delibera assembleare di nomina avrebbero dovuto essere fatti valere mediante impugnazione ex art. 1137 c.c.

Ribadiva, infine, la correttezza del decreto impugnato, il quale aveva correttamente distinto tra nomina e conferma dell’amministratore, qualificando il caso concreto come conferma e applicando i quorum deliberativi ordinari di cui all’art. 1136, commi 2 e 3, c.c.

In relazione alla censura sulle spese di lite, Caio domandava il rigetto del reclamo, stante la totale soccombenza di controparte nel giudizio di primo grado e l’applicazione dei corretti parametri, stante la natura contenziosa, chiedendo altresì l’accertamento incidentale della propria conferma nella carica di amministratore del condominio deliberata dall’assemblea del 9 dicembre 2024.

SOLUZIONE

In via preliminare la Corte territoriale rigettava l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso, tuttavia nel merito confermava il provvedimento reclamato, condannando il reclamante a rifondere le spese di lite alla controparte.

QUESTIONI

In via preliminare la Corte, nonostante l’eccezione sollevata da Caio, dichiarava ammissibile il ricorso, in quanto il reclamo non si esauriva nella mera riproposizione delle questioni già oggetto di disamina da parte del giudice di prime cure bensì articolava puntuali doglianze in ordine alla motivazione e alle statuizioni del provvedimento impugnato.

Nel merito, secondo i giudici del gravame, il reclamo era tuttavia infondato.

Con riferimento al motivo principale del reclamo, la Corte esaminava la questione concernente la sussistenza o meno di un automatismo tra la mancata convocazione dell’assemblea ordinaria entro il termine di cui all’art. 1130, n. 10), c.c. – vale a dire entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio – e la configurabilità della causa di revoca giudiziale dell’amministratore prevista dall’art. 1129, comma 12, n. 1), c.c.

Ebbene, come noto, ai sensi dell’art. 1130 n. 10 c.c., il rendiconto condominiale deve essere redatto annualmente dall’amministratore il quale ha l’obbligo di convocare l’assemblea per la sua approvazione entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Ove, infatti, l’amministratore ometta di convocare la medesima si appaleserebbe una violazione ex art. 1129, comma 12, n. 1 c.c..

Posto che, ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 3 c.c. all’assemblea condominiale è riconosciuto, tra gli altri, il potere di controllo sull’attività dell’amministratore, che è tenuto a rendere il conto della sua gestione alla fine di ogni esercizio, l’obbligo di convocazione si fonda sull’onere dell’amministratore di rendere conto del proprio mandato, rendendo periodicamente edotta la compagine condominiale in merito alla propria gestione, e di chiedere in via diretta spiegazioni e chiarimenti all’amministratore, oltre che di presentare obiezioni e osservazioni.

L’inadempimento di questo obbligo impedisce, quindi, all’assemblea di esercitare i suoi poteri di controllo e di verifica, pregiudicando il diritto dei singoli partecipanti al condominio a una gestione corretta e trasparente della cosa comune.

Secondo il ragionamento della Corte, qualora si ritenesse che l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale coincida, sul piano giuridico, con il mancato rispetto del suddetto termine, ne deriverebbe la necessità di accogliere il reclamo, atteso l’oggettivo e non contestato inadempimento dell’amministratore Caio rispetto all’obbligo di convocazione nei termini di legge.

Diversamente, nell’ipotesi in cui si escluda tale identità concettuale, la condotta dell’amministratore dovrà essere valutata nel più ampio contesto fattuale, al fine di accertare se la ritardata convocazione dell’assemblea possa integrare una grave irregolarità atipica ai sensi dell’art. 1129, comma 11, c.c., tale da giustificare comunque la revoca giudiziale dell’incarico.

Sul tema la giurisprudenza risulta divisa.

Partendo dalle pronunce più risalenti, il Tribunale di Taranto affermava che la condotta dell’amministratore di condominio che sottoponga all’assemblea condominiale, oltre i termini stabiliti dalla legge, i rendiconti di gestione relativi a due annualità, integri un’ipotesi tipica di grave irregolarità nella gestione, idonea a giustificare la revoca giudiziale dell’incarico, ai sensi dell’art. 1129 c.c..

Secondo il giudice pugliese, l’eventuale approvazione tardiva dei rendiconti da parte dell’assemblea non assumeva alcuna rilevanza ai fini dell’esclusione della gravità della violazione, sulla scorta del principio per cui il ricorso per la revoca può essere proposto da ciascun condomino, indipendentemente dall’esito dell’approvazione assembleare, la quale non elide la rilevanza dell’inadempimento concernente la tempestiva presentazione del rendiconto.

In definitiva, per il Tribunale, la mera violazione del termine previsto per la presentazione del rendiconto – pari a centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio di riferimento, come stabilito dal combinato disposto degli artt. 1129 e 1130 c.c. costituiva, di per sé sola, circostanza sufficiente a fondare la revoca giudiziale dell’amministratore[1].

Dello stesso avviso anche il Tribunale di Napoli Nord che con recentissima pronuncia, richiamando anche il suddetto decreto, revocava un amministratore di condominio che, sottoponeva rendiconti condominiali relativi alla gestione degli anni 2018-2019-2020 e 2021 solamente nel luglio 2023.

In questo caso il giudice riteneva tale fattispecie sufficiente ad integrare i presupposti di accoglimento della domanda, poiché la qualificazione legislativa di tale condotta in termini di grave irregolarità, implica una valutazione in termini di grave inadempimento della condotta del mandatario ai sensi e per gli effetti di cui all’art.1129 c.c., presunzione che è onere dell’interessato giustificare fornendo al Tribunale concreti elementi contrari[2].

Rimanendo all’interno del panorama giurisprudenziale campano, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere sottolineava come il procedimento di revoca di cui all’art. 1129 c.c. si sostanzia in un giudizio di risoluzione anticipata e definitiva del rapporto di mandato esistente tra tutti i condomini e l’amministratore sicché, in tema di prova, trova applicazione il principio generale operante in materia di inadempimento di una obbligazione, in virtù del quale il condomino che agisca per la risoluzione del mandato deve provare la fonte del suo diritto e limitarsi alla mera allegazione dell’inadempimento, mentre l’amministratore convenuto rimane gravato dell’onere della prova del fatto estintivo della pretesa di revoca, costituito dall’avvenuto adempimento ai suoi obblighi di gestione.

Ciò premesso, il Tribunale, atteso che i rendiconti per gli anni 2016, 2017, 2018 e 2019 erano stati presentati all’assemblea condominiale del 2021, valutava tale modus operandi determinante una violazione che, a norma dell’art. 1129, comma 12, n. 1 c.c., integra un’irregolarità presuntivamente valutata come grave dal legislatore agli effetti della revoca dell’organo gestionale[3].

Parimenti, il Tribunale di Foggia, con una recentissima pronuncia, accoglieva il ricorso presentato da un condomino per ottenere la revoca giudiziale dell’amministratore, ritenendo sussistente una grave irregolarità nella gestione dovuta alla mancata presentazione del rendiconto nei termini previsti. L’amministratore giustificava il ritardo con problemi familiari e di salute ed evidenziava di aver successivamente convocato l’assemblea per l’approvazione di due rendiconti. Il collegio, tuttavia, riteneva fondata la richiesta di revoca, affermando che la presentazione tardiva del rendiconto — oltre il limite di 180 giorni — integrava di per sé una grave irregolarità ai sensi dell’art. 1129, commi 11 e 12, c.c., indipendentemente dalle giustificazioni addotte o dalla successiva approvazione assembleare[4].

Sul punto, la pronuncia più esaustiva di questo orientamento è senz’altro quella del Tribunale di Bari, secondo il quale “l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto è individuata per due volte nell’art. 1129 cod. civ. come grave irregolarità idonea alla revoca dell’amministratore di condominio, al comma 11 e al comma 12, e in quest’ultimo è espressamente elencata, non a caso al primo posto, tra le gravi irregolarità: si tratta di un elenco che -sebbene non sia tassativo- indica le ipotesi che costituiscono, per individuazione tipica ed astratta fatta dal legislatore, quelle in cui la revoca dell’amministratore può essere disposta dall’Autorità Giudiziaria su ricorso di ciascun condomino senza che, una volta che si sia formalmente configurata la violazione, possa esservi una valutazione in ordine alla sua gravità da parte del giudice, nonché alla sussistenza o meno di un concreto pregiudizio effettivamente subito dall’ente, essendo la volontà del legislatore, espressa con siffatta tecnica legislativa, proprio quella di escludere una qualche discrezionalità[5].

Se una parte della giurisprudenza ravvisa un certo automatismo tra il superamento del termine di centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio e la conseguente revoca dell’amministratore inadempiente, altra parte della giurisprudenza, invece, si attesta su un orientamento diametralmente opposto, escludendo che il ritardo nella convocazione dell’assemblea possa, di per sé solo, integrare una causa automatica di revoca, in assenza di ulteriori elementi sintomatici di una gestione irregolare o pregiudizievole per i condomini.

Di questo avviso è stata proprio la Corte bolognese, la quale, nella pronuncia in commento, riconosceva che il ritardo nella convocazione dell’assemblea, pur raffigurando una irregolarità, deve essere soggetto a valutazione da parte del giudice, al fine di verificare se essa possa effettivamente comportare la revoca giudiziale dell’amministratore.

Dello stesso avviso è il recente provvedimento del Tribunale di Pescara, secondo il quale l’intervento giudiziale in materia condominiale deve essere residuale e rigorosamente ancorato a fatti gravi, certi e documentati, per cui si impone al Tribunale di verificare se, pur ricorrendo in astratto una delle ipotesi rientrante nell’ambito della previsione normativa, sussista, nel caso concreto, un comportamento contrario ai doveri imposti dalla legge, con esclusione di ogni automatismo[6].

Nella fattispecie in commento, i giudici felsinei rilevavano in primo luogo il carattere episodico e isolato della violazione oggetto di reclamo rispetto alla complessiva attività svolta da Caio nell’esercizio del proprio mandato di amministratore condominiale.

Risultava, infatti, che lo stesso – tanto nel periodo antecedente quanto in quello successivo alla contestazione attuale – avesse sempre provveduto a convocare le assemblee condominiali per l’approvazione dei rendiconti annuali di gestione nel pieno rispetto dei termini di legge.

In secondo luogo, la circostanza che l’assemblea tenutasi nel dicembre 2024 fosse finalizzata all’approvazione non solo del rendiconto relativo alla gestione ordinaria dell’anno 2023, ma anche di quello inerente ai lavori straordinari resisi necessari all’interno del condominio, pur non risultando idonea a escludere l’irregolarità della condotta dell’amministratore, appare tuttavia idonea a attenuare la gravità dell’inadempimento contestato, alla luce del significativo incremento degli oneri amministrativi derivanti dall’esecuzione di tali lavori.

Da ultimo, la non gravità dell’irregolarità poteva ulteriormente desumersi secondo la Corte, dal fatto che l’assemblea condominiale del dicembre 2024 a maggioranza, non solo aveva approvato sia il rendiconto della gestione ordinaria sia quello afferente ai lavori straordinari, ma aveva altresì confermato Caio nella carica di amministratore.

Su quest’ultimo punto, secondo la Corte territoriale, la censura concernente il mancato raggiungimento del quorum deliberativo avrebbe dovuto essere fatta valere mediante tempestiva impugnazione della deliberazione assembleare nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c..

Nel caso di specie, infatti, il vizio dedotto dal reclamante integra un’ipotesi di annullabilità della delibera, e non di nullità, potendo quest’ultima ravvisarsi esclusivamente nelle fattispecie di originaria assenza degli elementi essenziali dell’atto, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico ovvero ancora nel caso di contenuto illecito, in quanto contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

Parimenti infondato risultava il secondo motivo di impugnazione.

Il principio di soccombenza, cui è informato il regime delle spese processuali, è stato infatti correttamente applicato dal giudice di prime cure, considerata, da un lato, l’integrale soccombenza di Tizio all’esito del giudizio e, dall’altro, l’insussistenza dei presupposti per qualificare come assolutamente nuove le questioni trattate ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c..

Pertanto, anche in tale grado di giudizio le spese di lite seguivano il criterio della soccombenza, come già disposto in primo grado e sempre in applicazione dei giudizi ordinari di natura contenziosa e non quelli di volontaria giurisdizione.

Riassumendo, la Corte bolognese si distacca dall’orientamento citato dal primo gruppo di sentenze, affermando che in questi casi il ritardo nella convocazione dell’assemblea è stato costantemente valutato all’interno di un contesto più ampio di irregolarità imputate all’amministratore nella gestione del condominio, contesto che ha reso giustificata la revoca giudiziale.

L’orientamento dei giudici d’appello risulta dunque fondato sul riconoscimento della necessità di un certo margine di discrezionalità in capo all’Autorità giudiziaria.

Pur apprezzando le argomentazioni della Corte felsinea, a parere di chi scrive, l’interpretazione del testo normativo comporta un rigore applicativo differente, in quanto in sede di riforma del condominio L.212/12 il legislatore ha valutato ex ante le irregolarità, tipizzandole senza margini di applicazione discrezionale da parte dell’autorità giudicante ed attraverso quell’automatismo, sposato dal primo gruppo delle sentenze citate, ed attraverso il quale non sussistono per il giudice margini di discrezionalità, astrattamente ipotizzando un esercizio giurisdizionale applicativo di una  clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c..

Invero, dal tenore letterale dell’art. 1129, commi 11 e 12, c.c. nonché dell’art. 1130, n. 10 c.c., emerge che il legislatore non ha richiesto, ai fini della revoca, la necessaria sussistenza di plurimi inadempimenti da parte dell’amministratore, né ha previsto margini di tolleranza rispetto al termine dei 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio.

È evidente, piuttosto, che lo stesso abbia considerato l’omessa convocazione dell’assemblea – ossia la mancata convocazione entro il termine dei 180 giorni – come grave irregolarità ex se, SIC.

Ne consegue che il ritardo, anche minimo, non può essere oggetto di valutazioni discrezionali, poiché altrimenti la previsione temporale fissata dal legislatore risulterebbe svuotata di significato, a parere di chi scrive, una volta superato il limite dei 180 giorni, la revoca dell’amministratore dovrebbe derivare ipso iure ai sensi del combinato disposto delle due norme.

D’altra parte, differentemente dalle questioni riguardanti il contenzioso ordinario, vertendosi specificamente nell’ambito della volontaria giurisdizione, gli ondivaghi atteggiamenti della giurisprudenza di merito sull’argomento in assenza di un intervento nomofilattico per la natura non contenziosa di tali provvedimenti (assenza passaggio in giudicato e  quindi non ricorribili in Cassazione per vizi di legittimità), pur nell’apprezzabile intento che le Corti d’appello in sede di reclamo colmino tale vulnus, continueranno a generare quell’incertezza che non favorisce il corretto approccio del cittadino nella fiducia sulla giustizia: “quod est veritas ?”.

[1] Trib. Taranto, Decreto del 21 settembre 2015.

[2] Trib. Napoli Nord, Decreto del 5 aprile 2025.

[3] Trib. Santa Maria Capua Vetere, Decreto del 7 novembre 2023. Il Tribunale di Bologna (Decreto del 27.01.2021), chiamato a pronunciarsi sulla condotta dell’amministratore di condominio, rilevava che, a seguito dell’annullamento delle delibere assembleari di approvazione del rendiconto 2017 – annullamento disposto dal medesimo Tribunale in ragione dell’accertata invalidità del bilancio – l’amministratore aveva omesso di riconvocare l’assemblea per la nuova approvazione del rendiconto entro il termine di 180 giorni decorrenti dal passaggio in giudicato del relativo provvedimento. Tale omissione era stata ritenuta idonea a integrare la grave irregolarità prevista dall’art. 1129, comma 12, n. 1), c.c.

[4] Trib. Foggia, Decreto del 07.10.2025.

[5] Trib. Bari, Decreto del 11.04.2025.

[6] Trib. Pescara, Decreto del 26.06.2025. Dello stesso avviso era già stato parimenti il Tribunale di Mantova (22.10.2015), secondo il quale, atteso che l’art. 1129 c.c. stabiliva che l’Autorità giudiziaria possa disporre la revoca dell’amministratore in presenza di gravi irregolarità, il Giudice è in ogni caso tenuto a verificare se, pur configurandosi in astratto una fattispecie riconducibile alla previsione normativa, sussista in concreto un comportamento effettivamente contrario ai doveri imposti dalla legge; ciò comporta, dunque, l’esclusione di qualsiasi automatismo tra la mera ricorrenza formale dell’irregolarità e l’adozione del provvedimento di revoca.

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