2 Dicembre 2025

Nesso di causalità tra sinistro stradale e infarto miocardico del danneggiato

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III, ord., 26.06.2025, n. 17179 – Pres. Rubino – Rel. Fanticini

Nesso di causalità – Particolare condizione del danneggiato – Irrilevanza – Responsabilità del danneggiante per tutte le conseguenze dell’illecito – Riduzione proporzionale – Principio “thin skull rule”

[1] In tema di responsabilità civile, in applicazione della cosiddetta “thin skull rule”, l’autore del comportamento imputabile risponde per intero di tutte le conseguenze scaturenti dalla sua condotta secondo normalità, non potendo operarsi una riduzione proporzionale o un’esclusione della responsabilità in ragione della particolare condizione in cui versa il danneggiato.

CASO

L’attore, coinvolto in un tamponamento stradale, conveniva in giudizio il conducente del veicolo danneggiante e la compagnia assicurativa con cui il veicolo era assicurato per RCA, onde ottenere il risarcimento dei danni subìti, ivi compreso il danno alla salute derivante da un infarto miocardico, non letale, ritenuto conseguenza causale del sinistro.

Il Giudice di prime cure accoglieva parzialmente la domanda.

La Corte d’Appello, investita del gravame, riformava integralmente la decisione di primo grado, rigettando la richiesta risarcitoria, ritenendo che l’urto fosse di lieve entità e che il danneggiato presentasse notevoli fattori di rischio coronarico preesistenti (sesso maschile, età, fumo, sovrappeso, diabete mellito, ipertensione arteriosa). Pur dando atto che lo stress emotivo, correlato al sinistro, potesse avere agito come concausa della complicazione della placca ateromatosa preesistente, la Corte di merito riteneva che l’infarto rappresentasse un evento eccezionale che, in base ad una valutazione ex ante e secondo l’id quod plerumque accidit, non consegue, secondo il principio della regolarità causale, ai sinistri stradali come quello di specie.

Il danneggiato proponeva ricorso per cassazione, deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e la falsa applicazione delle norme di diritto in tema di nesso di causalità.

SOLUZIONE

In tema di responsabilità civile per danni alla persona, la preesistenza di fattori di rischio e condizioni patologiche nel danneggiato non è idonea, di per sé, ad interrompere il nesso causale tra la condotta illecita e l’evento dannoso. Il giudice di merito viola i principi in materia di causalità civile, qualora escluda il nesso causale tra un sinistro (anche di lieve entità) e l’infarto miocardico occorso al danneggiato, fondando la propria decisione su un generico criterio dell’id quod plerumque accidit e qualificando l’evento come eccezionale. Tale conclusione si pone in contrasto con il c.d. “thin skull rule“, secondo cui l’autore del comportamento imputabile è responsabile per tutte le conseguenze da esso scaturenti, anche se aggravate dalle particolari condizioni del soggetto danneggiato.

QUESTIONI

La Corte territoriale aveva fondato la propria decisione sull’esclusione, nel caso di specie, del nesso causale tra sinistro stradale ed evento, sostenendo che l’infarto miocardico era “sicuramente un evento eccezionale“, ossia “un’ipotesi talmente improbabile da potersi ragionevolmente escludere la sua derivazione causale dall’incidente stradale“. Tale conclusione derivava da una valutazione ex ante, condotta secondo l’id quod plerumque accidit, in base alla quale eventi gravi, come l’infarto, non sono una conseguenza tipica di sinistri stradali di lieve entità, quali il tamponamento.

La Suprema Corte ha censurato la motivazione della Corte d’Appello, che ha ritenuto non perspicua, insufficiente e lacunosa, per due ragioni fondamentali, che costituiscono errori di diritto e logica.

In primo luogo, la Corte di merito aveva basato la sua decisione su un “postulato apodittico“. Il principio secondo cui “da un sinistro lieve non derivano, solitamente, danni gravi” era stato assunto come una verità assoluta, anziché come una semplice presunzione statistica.

La Suprema Corte, invece, ha sottolineato che si tratta di una presunzione e non di un dato inconfutabile, in quanto, pur essendo generalmente vero che un sinistro lieve non causa infarto, non si può escludere tale conseguenza senza un’analisi specifica.

Utilizzare una presunzione generale per risolvere un caso specifico, senza analizzarne le particolarità, si risolve in una “petizione di principio“.

In sostanza, il giudice d’appello ha dato per scontato ciò che doveva dimostrare: ha escluso il nesso causale tra condotta ed evento non perché fosse provato che non esistesse, ma perché “in genere”, secondo l’id quod plerumque accidit, non accade.

L’altro errore cruciale della gravata pronuncia consiste nel fatto che la motivazione del giudice d’appello, pur invocando correttamente i principi giurisprudenziali in tema di nesso causale, non ha condotto “alcuna analisi sul grado di probabilità”.

Di conseguenza, “è mancato un compiuto accertamento del nesso causale secondo la nota regola del «più probabile che non» riferita allo specifico caso esaminato“.

L’accertamento, secondo gli Ermellini, non deve basarsi su ciò che è “regolare” in astratto, ma su quanto sia “più probabile che non” che la condotta illecita abbia avuto efficacia causale (o concausale) nella fattispecie concreta: quindi, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere accertato che il sinistro ed il conseguente stress emotivo era più probabile che non nella produzione dell’infarto miocardico.

Un ulteriore aspetto esaminato dalla Corte di legittimità è quello delle concause nella produzione del danno.

Gli Ermellini hanno evidenziato che, ai fini risarcitori, la condotta lesiva (il tamponamento) può costituire anche solo una concausa dell’evento verificatosi e che l’esistenza di concause naturali non esclude la responsabilità del danneggiante.

In questo contesto, la Suprema Corte ha attribuito grande rilievo alle risultanze peritali, che la Corte d’Appello aveva di fatto ignorato o superato con un postulato generale.

Infatti, la CTU in appello aveva riconosciuto che lo stress emotivo correlato al sinistro aveva svolto “un’azione necessaria, ancorché da sola non sufficiente, alla verificazione dell’infarto miocardico“. E la stessa Corte territoriale aveva riconosciuto che il tamponamento “può avere agito come concausa della complicazione della placca ateromatosa.

Orbene, riconoscere un’azione necessaria (anche se da sola non sufficiente) implica che, senza quel fattore (lo stress da sinistro), l’infarto non si sarebbe verificato in quel momento o con quella modalità. Tale efficacia causale rilevante, se valutata con il criterio del “più probabile che non“, è sufficiente a fondare la responsabilità civile.

Pertanto, la motivazione della Corte d’Appello era stata lacunosa ed inidonea a giustificare lo scostamento dalle contrarie conclusioni dei consulenti tecnici d’ufficio, che avevano riconosciuto un rapporto di concausalità in termini probabilistici.

In sintesi, la corretta applicazione dei principi giurisprudenziali avrebbe imposto alla Corte di merito di spostare il focus dall’astratta probabilità statistica (cosa succede generalmente) alla probabilità logica e scientifica specifica (cosa è successo con maggiore probabilità in quel determinato soggetto, tenendo conto delle sue condizioni preesistenti).

Infine, la sentenza impugnata, dopo aver enumerato i preesistenti fattori di rischio coronarico del ricorrente (diabete, obesità, ipertensione, fumo), ha apoditticamente attribuito interamente a tali fattori l’insorgenza dell’infarto, escludendo la responsabilità del danneggiante, senza spiegare per quale motivo lo stress connesso all’incidente sia da ritenersi irrilevante.

La Suprema Corte ha richiamato, invece, il principio, già consolidato nella giurisprudenza di legittimità, noto come “thin skull rule” (c.d. “regola del cranio fragile” o “principio di integrale risarcimento”).

Tale principio stabilisce che la particolare condizione del danneggiato, la sua vulnerabilità fisica ovvero le sue condizioni patologiche, non giustificano una riduzione proporzionale del risarcimento, né l’esclusione del nesso causale, se la condotta illecita ha agito come concausa.

L’accertamento di questa efficacia causale rilevante deve essere compiuto secondo il criterio del “più probabile che non” riferito al caso specifico esaminato. Se, in base a tale criterio, si stabilisce che l’atto illecito ha costituito una concausa necessaria per il verificarsi dell’evento, come, nel caso specifico, lo stress da sinistro che ha agito come fattore scatenante dell’infarto in un soggetto vulnerabile, allora il danneggiante è responsabile del danno nella sua interezza.

Quindi, nel caso de quo, se la placca ateromatosa del ricorrente era preesistente e suscettibile di complicazione, l’attivazione di tale processo da parte dello stress post-sinistro configura il nesso di concausalità, sufficiente a fondare la responsabilità civile del danneggiante nella causazione dell’infarto.

Nella situazione all’esame della Corte, il c.d. “thin skull rule” impone di non ridurre o escludere la responsabilità del danneggiante, poiché l’agente causale (il sinistro) ha trovato un terreno fertile e vulnerabile (le placche preesistenti) per produrre l’evento dannoso più grave (l’infarto).

Mentre la Corte territoriale aveva sostituito l’analisi probatoria, più complessa, richiesta dalla legge con un mero postulato generale di eccezionalità, violando così i principi che regolano l’accertamento della causalità in sede civile.

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