18 Novembre 2025

Il lodo arbitrale rituale sottoscritto prima della dichiarazione di fallimento è opponibile alla procedura fallimentare

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. I, 5 febbraio 2025, n. 2840 – Pres. Terrusi – Rel. Fidanzia

Parole chiave: Arbitrato rituale – Lodo – Natura – Sentenza giurisdizionale – Condizioni – Opponibilità al fallimento ai fini della formazione dello stato passivo – Decorrenza

[1] Massima: In tema di opposizione allo stato passivo, il lodo arbitrale rituale, in quanto pienamente assimilabile a una sentenza giurisdizionale dal momento dell’ultima sottoscrizione, a norma dell’art. 824-bis c.p.c., è opponibile alla procedura fallimentare da tale data, nella quale il provvedimento viene a esistenza, cominciando a produrre i suoi effetti.

Disposizioni applicate: r.d. 267/1942, artt. 45, 98; cod. proc. civ., artt. 824, 825, 828

CASO

Una società chiedeva l’ammissione al passivo del proprio credito portato da un lodo arbitrale rituale che aveva condannato la fallita al pagamento di un’ingente somma.

Il giudice delegato, tuttavia, disponeva l’esclusione del credito, in quanto il lodo non era stato reso esecutivo ai sensi dell’art. 825 c.p.c. prima della dichiarazione di fallimento e doveva, quindi, reputarsi inopponibile alla procedura fallimentare per assenza di data certa (non potendo essere questa conferita dalla sottoscrizione del lodo da parte degli arbitri, che non sono né pubblici ufficiali, né incaricati di pubblico servizio).

L’opposizione ex art. 98 l.fall. proposta avverso il provvedimento del giudice delegato era respinta dal Tribunale di Roma, con decreto impugnato mediante ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che il lodo emesso a definizione di un arbitrato rituale è equiparabile a una sentenza emessa dall’autorità giudiziaria, sicché produce effetti identici a questa e deve, pertanto, considerarsi opponibile alla procedura fallimentare a partire dal momento in cui è stata apposta l’ultima sottoscrizione da parte degli arbitri, in virtù di quanto prescritto dall’art. 824-bis c.p.c.

QUESTIONI

[1] Con l’ordinanza che si annota, è stata sancita la piena equiparabilità, ai fini della formazione dello stato passivo, del lodo emesso all’esito di un arbitrato rituale a una sentenza.

I giudici di legittimità hanno sconfessato l’impostazione – fatta propria dal Tribunale di Roma sulla scorta di una risalente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione – in base alla quale il lodo arbitrale rituale costituisce atto avente natura meramente privata (in quanto pronunciato da soggetti che non hanno la qualità di pubblici ufficiali o di incaricati di pubblico servizio), come tale intrinsecamente privo di data certa, conseguibile solo con il deposito del lodo presso la cancelleria del tribunale con l’istanza volta a farne dichiarare l’esecutorietà.

Tale impostazione, tuttavia, era incentrata sull’ontologica alternatività del procedimento arbitrale rispetto alla giurisdizione statuale (valorizzandosi, a questo proposito, la natura consensuale di tale procedimento, la provenienza della decisione da soggetti privati radicalmente carenti di potestà giurisdizionale e del potere di produrre atti sostanzialmente identici a quelli pronunciati dal giudice, come tali idonei soltanto a esplicare – a seguito di exequatur – effetti assimilabili a quelli di una sentenza, ma non a condividerne la medesima natura), che ora, a seguito delle riforme che hanno investito l’istituto dell’arbitrato, non è più predicabile.

L’assimilazione e l’omologazione della domanda di arbitrato a quella giudiziale (sotto il profilo tanto della sua trascrivibilità, quanto degli effetti che produce sulla prescrizione) e la sottoposizione del lodo a un regime di impugnazione che, sia pure parzialmente, ricalca quello della sentenza (essendone prevista, ai sensi dell’art. 831 c.p.c., l’assoggettabilità alla revocazione straordinaria e all’opposizione di terzo), nonché, da ultimo, l’espressa equiparazione degli effetti del lodo emesso all’esito di un arbitrato rituale alla sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria contenuta nell’art. 824-bis c.p.c., non consentono più di dubitare della natura giurisdizionale dell’arbitrato rituale.

Tenuto conto di ciò e degli argomenti addotti dalle medesime Sezioni Unite in due successive pronunce (n. 24153 del 25 ottobre 2013 e n. 8776 del 30 marzo 2021), i giudici di legittimità hanno affermato che, alla luce delle modifiche introdotte dal legislatore, l’attività degli arbitri rituali ha natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario e che il lodo che possegga i requisiti di forma prescritti dalla legge è perfettamente equiparabile a una sentenza.

Se, di regola, la funzione giurisdizionale sui diritti si esercita davanti ai giudici ordinari, le parti, nell’esercizio di una libera e autonoma scelta incidente sull’esercizio del potere di azione connesso ai propri diritti che abbiano natura disponibile, possono demandarne la tutela – nelle forme e con le modalità stabilite dall’ordinamento giuridico, dirette ad assicurare idonee garanzie processuali, non soltanto sul piano dell’imparzialità dell’organo giudicante, ma anche del rispetto del contraddittorio – a giudici privati, riconosciuti tali dalla legge.

La configurazione dell’arbitrato rituale, a seguito delle innovazioni introdotte dal legislatore, quale sede in cui l’organo deputato ad assumere la decisione, ancorché diverso da una struttura giudiziaria, è in grado di espletare una funzione di carattere giurisdizionale, assicurando alle parti una soluzione della controversia, trova il conforto delle modifiche normative della disciplina di riferimento.

In primo luogo, la proposizione dei mezzi di impugnazione è stata sganciata dalla preventiva emanazione del decreto di esecutività del lodo, sicché è proprio quest’ultimo – e soltanto quest’ultimo – l’oggetto del gravame, non potendosi più discorrere, sotto questo profilo, di un provvedimento a formazione complessa e progressiva, ovvero avente natura in un primo tempo negoziale e giurisdizionale solo dopo la dichiarazione di esecutività.

In secondo luogo, il fatto che, da un lato, anche il lodo possa formare oggetto di revocazione straordinaria e di opposizione di terzo (sia ordinaria che revocatoria) e che, dall’altro lato, la competenza funzionale a conoscere dell’impugnazione per nullità del lodo (estesa, oltre che all’inosservanza del principio del contraddittorio, anche all’ipotesi di contrarietà a sentenza passata in giudicato o ad altro precedente lodo, non più impugnabile) sia stata concentrata nella corte d’appello, testimonia ulteriormente la sostanziale equiparazione del lodo alla sentenza.

In questo senso, militano anche le disposizioni dettate in materia di trascrizione: l’attribuzione al lodo (al pari di quanto è a dirsi per la sentenza emessa a fronte di una domanda giudiziale trascritta) di efficacia, quanto all’accertamento ivi contenuto, non solo tra le parti, ma anche verso i terzi e con riguardo ai rapporti dipendenti, evidenzia come non lo si possa equiparare a un negozio, frutto della volontà pattizia e dispositiva delle parti e, come tale, valevole esclusivamente tra di esse e sfornito di efficacia nei rapporti dipendenti, ma a una pronuncia giurisdizionale, cioè a una sentenza.

D’altra parte, la stessa assoggettabilità del lodo al rimedio dell’opposizione di terzo (anche ordinaria) presuppone la sua efficacia verso i terzi titolari di una situazione soggettiva che presenta elementi di identità con il rapporto oggetto della decisione arbitrale.

In terzo luogo, l’attitudine del lodo – al pari di quanto è a dirsi per la sentenza – a fare dell’oggetto dell’arbitrato una res cognita in grado di produrre effetti al di là e al di fuori del procedimento in cui è stato pronunciato emerge dall’art. 829 c.p.c., che, sub n. 8), prevede, quale motivo di nullità, la violazione del giudicato esterno: si ha, in questo modo, la completa equiparazione del lodo non più impugnabile alla sentenza passata in giudicato.

Da ultimo, il rilievo attribuito al momento in cui è apposta l’ultima sottoscrizione degli arbitri ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione del lodo (stabilendone l’art. 828, comma 2, c.p.c. l’inammissibilità, una volta decorso un anno dalla relativa data), evidenzia come non sia più richiesta alcuna intermediazione dell’autorità giudiziaria (rappresentata, in precedenza, dalla declaratoria di esecutorietà) affinché ne sia predicabile la venuta a giuridica esistenza, potendosi ravvisare in ciò un ulteriore profilo di assimilazione alla sentenza.

Poiché, come detto, l’equiparazione non riguarda solo l’efficacia del lodo tra le parti, ma anche nei confronti dei terzi, i giudici di legittimità, nella fattispecie sottoposta al loro vaglio, hanno concluso che quando, ai sensi dell’art. 824-bis c.p.c., viene apposta l’ultima sottoscrizione degli arbitri, si determina la formazione di un provvedimento in tutto e per tutto assimilabile alla sentenza, ossia ontologicamente dotato di data certa, senza che sia richiesto, a tale fine, alcun deposito presso la cancelleria del tribunale.

Pertanto, poiché il lodo in forza del quale la società ricorrente aveva chiesto l’ammissione al passivo del proprio credito avente titolo in esso era stato sottoscritto ed era divenuto inoppugnabile (in conseguenza del decorso del termine di un anno dalla data dell’ultima sottoscrizione) prima della dichiarazione di fallimento, doveva essere considerato alla stessa stregua di una sentenza passata in giudicato e, come tale, pienamente opponibile alla procedura fallimentare, senza che fosse nemmeno prospettabile un’ammissione del credito con riserva (ipotizzabile, invece, allorché la dichiarazione di fallimento fosse intervenuta prima del decorso di un anno dall’apposizione dell’ultima sottoscrizione).

Sempre in tema di rapporti tra arbitrato e procedura concorsuale, va rammentato che, con la sentenza n. 5694 del 23 febbraio 2023, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che il giudizio arbitrale promosso sulla base di una clausola compromissoria contenuta in un contratto d’appalto per l’accertamento di un credito da esso dipendente diviene improcedibile in conseguenza dell’apertura di una procedura concorsuale nei confronti di una delle parti, stanti, da un lato, l’esclusività dell’accertamento del passivo nella sede concorsuale ai sensi degli artt. 52 e 93 l.fall. e, dall’altro lato, la biunivocità del rapporto che lega la clausola compromissoria al contratto in cui è contenuta, sicché è nullo il lodo ciononostante emesso prima della scadenza del termine assegnato all’organo concorsuale per dichiarare il proprio eventuale subentro nel contratto e senza che tale dichiarazione sia intervenuta, in quanto lo scioglimento dell’appalto in conseguenza dell’apertura del concorso ha efficacia ex nunc, solo risolutivamente condizionata alla decisione di subentro dell’organo concorsuale fin quando è possibile, derivando da ciò il difetto di potestas iudicandi in capo agli arbitri.

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