11 Novembre 2025

Le spese per la conservazione dei beni pignorati devono essere anticipate al custode dal creditore procedente, che godrà poi del privilegio ex artt. 2755 e 2770 c.c.

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2025, n. 25633 – Pres. Falaschi – Rel. Caponi

Esecuzione forzata – Pignoramento – Spese per la conservazione del bene pignorato – Necessità – Condizioni – Spese per gli atti necessari al processo – Applicabilità dell’art. 8 d.P.R. 115/2002 – Conseguenze

Massima: “Le spese necessarie per il mantenimento in fisica e giuridica esistenza del bene pignorato – in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico dell’espropriazione forzata – sono comprese tra le spese per gli atti necessari al processo, che il giudice dell’esecuzione può porre, ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 115/2002, in via di anticipazione a carico del creditore procedente, il quale potrà poi rivalersi sul debitore ex art. 95 c.p.c., godendo del privilegio di cui agli artt. 2755 e 2770 c.c.”

CASO

Eseguito il pignoramento mobiliare di 135 capi caprini dei quali veniva nominata custode la debitrice esecutata e verificatasi una grave moria degli animali per mancanza di alimenti, il giudice dell’esecuzione ne disponeva il trasferimento presso un’altra azienda agricola, il cui titolare ne assumeva la custodia.

Avvenuta la vendita dei capi sopravvissuti, il custode giudiziario chiedeva la liquidazione del compenso, che il giudice dell’esecuzione poneva per un quarto a carico della procedura esecutiva in prededuzione, per un quarto a carico del creditore procedente, per un quarto a carico della debitrice esecutata e per un quarto a carico della custode, perché sostenute in assenza di una preventiva autorizzazione; il custode proponeva opposizione avverso il decreto di liquidazione, sostenendo che tutte le spese si erano rese necessarie per assicurare la sopravvivenza degli animali, ricadendo dunque tra quelle che dovevano essere anticipate dal creditore procedente ai sensi dell’art. 8 d.P.R. 115/2002.

Il Tribunale di Taranto respingeva l’opposizione, reputando condivisibile la valutazione discrezionale del giudice dell’esecuzione, che, da un lato, aveva considerato le spese sostenute tra quelle eventuali e, dall’altro lato, aveva tenuto conto dell’inerzia del custode giudiziario nel chiedere una formale autorizzazione preventiva.

L’ordinanza del Tribunale di Taranto era gravata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che le spese necessarie per assicurare l’esistenza fisica del bene pignorato debbono essere poste a carico del creditore procedente e rimborsate al custode giudiziario, se da questi anticipate, anche se sostenute in assenza di una preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

QUESTIONI

[1] Non capita spesso che il pignoramento abbia per oggetto capi di bestiame: quando accade e la vendita non possa essere disposta in tempi brevi, occorre occuparsi degli animali, che, in quanto esseri viventi, hanno esigenze molto diverse da quelle che vengono in rilievo quando il vincolo espropriativo cade su beni inanimati (quali sono, tipicamente, gli immobili).

In questi casi, il custode giudiziario avrà un compito assai delicato, perché sarà responsabile dello stesso mantenimento in vita degli animali, soprattutto quando, com’era accaduto nella fattispecie esaminata dalla Corte di cassazione con l’ordinanza che si annota, subentri al debitore esecutato che, nominato custode in prima battuta (evidentemente con l’assenso del creditore, in virtù di quanto stabilito dall’art. 521, comma 1, c.p.c.), abbia – colposamente o dolosamente – trascurato di assicurare il sostentamento minimo, provocando la moria di numerosi capi.

Oggetto del contendere, nel caso di specie, era la liquidazione del compenso del custode giudiziario operata dal giudice dell’esecuzione e, in particolare, la ripartizione delle spese che lo stesso aveva sostenuto proprio per garantire l’esistenza in vita degli animali affidatigli.

Con il decreto impugnato, infatti, le somme accordate all’ausiliario erano state poste:

  • nella misura di un quarto, a carico della procedura esecutiva in prededuzione;
  • nella misura di un quarto, a carico del creditore procedente;
  • nella misura di un quarto, a carico della debitrice esecutata;
  • nella misura di un quarto, a carico dello stesso custode giudiziario.

Una simile statuizione, censurata dalla Corte di cassazione nella parte in cui aveva sostanzialmente sancito l’irripetibilità delle spese anticipate dal custode giudiziario per soddisfare le esigenze vitali dei capi di bestiame, consente di svolgere alcune riflessioni sui criteri e sulle modalità di liquidazione dei compensi degli ausiliari del giudice dell’esecuzione.

In primo luogo, non è tecnicamente corretto prevedere che gli stessi (o parte di essi) vadano soddisfatti in prededuzione: non tanto perché non sia doveroso attribuire in via preferenziale il ricavato dalla vendita dei beni pignorati a chi abbia consentito al processo esecutivo di raggiungere il proprio obiettivo e, con esso, quello delle parti (creditore e debitore) coinvolte, quanto piuttosto perché è errato parlare di prededuzione nell’espropriazione forzata singolare.

Lo ha definitivamente chiarito, di recente, Cass. civ., sez. III, 31 luglio 2025, n. 22105, che ha osservato come la prededuzione – istituto previsto dalla disciplina delle procedure concorsuali, in base al quale a determinati crediti viene attribuita una precedenza rispetto a tutti gli altri sull’intero patrimonio, che ne consente e ne impone la soddisfazione, pur sempre nei limiti della capienza dell’attivo realizzato, prima del riparto di quest’ultimo tra gli aventi diritto – è cosa diversa dalla prelazione che gli artt. 2755 e 2770 c.c., in combinato disposto con l’art. 2777 c.c., attribuiscono ai crediti per spese di giustizia, in deroga alla regola della par condicio creditorum scolpita nell’art. 2741 c.c.

In altri termini, mentre la prededuzione consiste in un’operazione di prelevamento che si realizza tramite la separazione delle somme necessarie per la copertura delle spese della procedura concorsuale dal ricavato dalla liquidazione forzata dei beni del debitore (che viene, di fatto, sottratta al concorso degli altri creditori), il privilegio speciale di cui ai menzionati artt. 2755 e 2770 c.c. opera secondo un meccanismo diverso, visto che, nell’espropriazione singolare, tutte le somme ricavate dalla vendita coattiva vengono a comporre la massa attiva da dividere (ai sensi dell’art. 509 c.p.c.), sulla quale si attua il concorso di tutti i creditori, compresi quelli muniti del privilegio in parola, destinato tuttavia a prevalere su tutti gli altri crediti (anche se muniti di prelazione), in virtù del parimenti richiamato art. 2777 c.c.

In secondo luogo, occorre intendersi su cosa significa porre il compenso degli ausiliari a carico del creditore procedente o del debitore esecutato.

Certamente corretto è affermare che, in virtù della regola enunciata dall’art. 8 d.P.R. 115/2002, se, nel corso del processo esecutivo, occorre anticipare delle spese, esse vanno poste (per l’appunto, in via anticipata) a carico del creditore procedente: così, sarà quest’ultimo a doversi fare carico, per esempio, del pagamento dell’acconto del compenso liquidato all’esperto stimatore ai sensi dell’art. 161, comma 3, disp. att. c.p.c., al pari del fondo spese eventualmente accordato dal giudice dell’esecuzione al custode giudiziario o al professionista delegato.

Tuttavia, quando, una volta venduti i beni pignorati, i compensi degli ausiliari (quantomeno quelli del custode giudiziario e del professionista delegato) vengano pagati in sede di distribuzione finale, com’è prassi, mediante prelievo diretto dalle somme ricavate e appostate sul conto corrente intestato alla procedura esecutiva, ossia con denari dell’esecutato (sostituitisi all’immobile pignorato quale oggetto dell’espropriazione forzata), pare più corretto ritenere che sia quest’ultimo il soggetto sul quale grava, in definitiva, il carico di tali spese del processo esecutivo; tant’è vero che, qualora sia stato il creditore a pagarle, eventualmente in via anticipata, in tutto o in parte, egli avrebbe diritto di vedersele rimborsate in misura corrispondente, in virtù della regola dettata dall’art. 95 c.p.c., che, nel disciplinare la regolamentazione delle spese del processo esecutivo, le fa ricadere sul debitore, in quanto l’esecuzione si sia rivelata fruttuosa e abbia consentito di ottenere un ricavato dalla vendita dei beni espropriati.

In terzo luogo, come affermato nell’ordinanza annotata, non è corretto addossare al custode giudiziario le spese sostenute nell’espletamento dell’incarico per non essersi procurato la preventiva autorizzazione del giudice dell’esecuzione all’esborso.

A prescindere dal fatto che le spese per assicurare la stessa esistenza fisica e materiale del bene pignorato (prima ancora della sua integrità materiale, volta a evitare il decremento del valore di scambio) non possono che essere considerate essenziali e indispensabili, dal momento che, senza di esse, verrebbe meno lo stesso oggetto del processo esecutivo, che non potrebbe dunque proseguire, non pare condivisibile impedire al custode di ripeterle per avere omesso di acquisire preventivamente il benestare del giudice, quasi si trattasse di una sanzione; ciò vale soprattutto quando si tratti di dare corso non a interventi di carattere straordinario o che potrebbero comportare un impegno economico di rilevante entità (dovendosi, in questi casi, considerare anche la possibilità che l’onere resti definitivamente a carico del ceto creditorio, qualora, per esempio, il bene restasse invenduto), ma che si inscrivono, invece, nell’ambito dei poteri-doveri del custode, in virtù di quanto stabilito dall’art. 65 c.p.c.

Posto che il giudice dell’esecuzione liquida il compenso del custode giudiziario dopo il deposito del rendiconto (giusta il combinato disposto degli artt. 560 e 593 c.p.c.), se le spese ivi esposte vengono considerate congrue, motivate e documentate, non vi è spazio, in virtù di quanto affermato dai giudici di legittimità, per lasciarle – anche solo in parte – a carico del custode giudiziario.

Se l’intento è quello di censurarne l’operato, per non essersi adeguatamente e tempestivamente relazionato con il giudice dell’esecuzione (che deve indubbiamente essere coinvolto e compulsato dai propri ausiliari quando, nel corso dell’incarico, si verifichino situazioni che comportano la necessità o anche solo l’opportunità di un suo intervento o di un suo avallo), assumendo iniziative non concertate e potenzialmente pregiudizievoli – anche solo in termini economici – per il corretto progredire del processo esecutivo o per le parti in esso coinvolte, altri dovrebbero essere gli strumenti dei quali avvalersi: non tanto in termini di riduzione del compenso (visto che, in caso di espropriazione immobiliare, l’art. 2, comma 4, d.m. 80/2009, la consente solo in caso di immobile libero o di ridotta complessità dell’incarico, mentre nessuna decurtazione è prevista, in caso di espropriazione mobiliare, dagli artt. 4, 5 e 6 d.m. 80/2009, ferma restando la previsione – contenuta nel comma 3 dell’art. 4 d.m. 80/2009 – in base alla quale il compenso liquidato ai sensi del comma 1 non può superare la misura di un terzo del ricavato dalla vendita del bene), quanto piuttosto in termini di revoca dell’incarico (se ancora in corso) o di mancato affidamento di ulteriori incarichi, se la condotta serbata dal custode giudiziario abbia minato la fiducia che il giudice dell’esecuzione deve sempre potere riporre negli ausiliari chiamati ad affiancarlo e a coadiuvarlo nell’espletamento della funzione giurisdizionale.

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