4 Novembre 2025

Il difensore non può attestare la conformità all’originale degli atti contenuti nel fascicolo cartaceo d’ufficio

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Cass., sez. II, 15 ottobre 2025, n. 27565, Pres. Falaschi, Est. Papa

[1] Atti processuali – poteri di attestazione della copia all’originale – Difensore – Esclusione.

Massima: “Il difensore non può attestare la conformità all’originale degli atti contenuti nei fascicoli cartacei d’ufficio, spettando tale attestazione esclusivamente al cancelliere”.

CASO

[1] La vicenda oggetto del presente commento origina da un giudizio instaurato ex l. n. 89/2001 per ottenere il risarcimento del danno subito per l’irragionevole durata del processo. Nel dettaglio, nel corso del giudizio di opposizione proposto davanti alla Corte d’Appello di Napoli contro il decreto di rigetto della domanda avanzata, parte opponente depositava la documentazione concernente il giudizio presupposto (di cui si voleva denunciare l’irragionevole durata), in precedenza non tempestivamente allegata perché i fascicoli si trovavano presso la Cassazione e produceva, nel fascicolo telematico, una “attestazione di conformità”, dichiarando “ai sensi dell’art. 16-decies del d.l. n. 179/2012 che il seguente file – atti di causa merito.pdf – è copia informatica conforme al rispettivo originale analogico”.

La Corte d’Appello di Napoli, con decreto, respingeva la domanda per difetto di prova, rimarcando, per quel che rileva, che il difensore aveva prodotto i documenti relativi al giudizio presupposto non in copia autentica, bensì attestandone la conformità agli originali contenuti nei fascicoli cartacei, pur non avendo questo potere di attestazione.

Avverso tale decreto parte opponente proponeva ricorso per cassazione con cui, in particolare, denunciava, in riferimento all’art. 360, n. 3), c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 16-decies, d.l. n. 179/2012, per avere la Corte d’Appello negato che il difensore avesse il potere di attestare “la conformità degli atti in suo possesso agli originali contenuti nei fascicoli cartacei d’ufficio”, sebbene l’art. 16-decies preveda proprio che il difensore, quando deposita con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesto la conformità della copia al predetto atto. In particolare, e, in fatto, la Corte d’Appello non avrebbe considerato che della documentazione, depositata telematicamente in sede di opposizione tutta in un unico file, le copie dei verbali di causa, sia per il primo che per il secondo grado, non erano state estratte direttamente dal fascicolo cartaceo, ma da copie conformi, tant’è che recavano il timbro della cancelleria, le marche da bollo e la specifica del cancelliere del Tribunale con indicazione dell’importo riscosso e la firma datata.

 SOLUZIONE

[1] La Cassazione giudica tale motivo di ricorso in parte inammissibile e in parte infondato.

Sotto il primo punto di vista, il motivo è stato dichiarato inammissibile, nella misura in cui prospetta, quale ragione di censura, che la copia informatica dei verbali di causa, cioè di documenti del fascicolo cartaceo, attestata come conforme dal difensore, sarebbe stata estratta da copie cartacee dei verbali già certificate come conformi agli originali da parte del cancelliere: sul punto, la Corte d’Appello avrebbe, perciò, erroneamente affermato che le copie erano state estratte direttamente dai verbali cartacei in originale. L’omessa considerazione dell’avvenuta apposizione della certificazione – da parte del cancelliere – di conformità delle copie dei verbali di primo e secondo grado all’originale contenuto nei fascicoli cartacei pone, invero, una questione che si risolve, per sua prospettazione, in un errore revocatorio.

Tale motivo, a parere della Suprema Corte, sarebbe in ogni caso anche infondato, stante che l’esclusione, da parte della Corte d’Appello, di un potere del difensore di certificazione della conformità delle copie informatiche direttamente estratte dai documenti contenuti nel fascicolo cartaceo – e, perciò, anche dei verbali di causa – è corretta in punto di diritto.

QUESTIONI

[1] La questione affrontata dalla Cassazione riguarda la sussistenza, in capo al difensore, del potere di attestare la conformità all’originale degli atti contenuti nei fascicoli cartacei d’ufficio. Il problema si è posto all’interno di un giudizio per il risarcimento del danno per irragionevole durata del processo ex l. n. 89/2001.

Anzitutto, è opportuno chiarire che nel giudizio di opposizione instaurato davanti alla Corte d’Appello ex art. 5-ter, l. n. 89/2001, non è precluso alcun accertamento e alcuna attività istruttoria necessari ai fini della decisione, poiché l’opposizione non introduce un autonomo giudizio d’impugnazione ma realizza, con l’ampio effetto devolutivo tipico di ogni opposizione, la fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento; conseguentemente, il ricorrente può produrre anche in questa fase del giudizio la documentazione a sostegno della domanda non allegata nella fase monitoria.

Inoltre, l’art. 3, 3°co., della l. n. 89/2001 prevede che gli atti in esso indicati debbano essere depositati in copia autentica; nel caso di specie, tuttavia, tutti i documenti relativi al giudizio presupposto, seppure estratti da fascicoli cartacei, erano stati depositati con una “attestazione di conformità” resa dal difensore che ha dichiarato che tutto il file pdf denominato “atti di merito” fosse copia informatica conforme al rispettivo originale analogico. La Corte d’Appello ha, perciò, rigettato la domanda, rimarcando che “il difensore ha il potere di attestare la conformità degli atti prodotti a quelli autentici in suo possesso, ma non certo la conformità degli atti in suo possesso agli originali contenuti nei fascicoli cartacei d’ufficio”.

Ciò chiarito, per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile dalla Cassazione, è utile ricordare che costituisce errore di fatto deducibile ex art. 395, n. 4), c.p.c., come motivo di revocazione della sentenza, quello che si verifica in presenza non già di sviste di giudizio, ma della percezione, in contrasto con gli atti e le risultanze di causa, di una falsa realtà documentale, in conseguenza della quale il giudice si sia indotto ad affermare o supporre l’esistenza o inesistenza di un fatto la cui verità risulti invece in modo indiscutibilmente esclusa o accertata in base al tenore degli atti e documenti di causa: questa falsa percezione della realtà integra un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolge l’attività valutativa e che, pertanto, non può essere oggetto di ricorso per una delle ipotesi ex art. 360 c.p.c.

La Corte d’Appello ha assunto, a fondamento della decisione, il presupposto di fatto dell’avvenuta estrazione delle copie, poi attestate dal difensore come conformi, direttamente dai documenti contenuti nel fascicolo cartaceo e non dalle loro copie, già certificate come autentiche dal cancelliere.

Dal compito istituzionale della Corte di cassazione esorbita, però, il giudizio del fatto domandato con il ricorso: se il giudice di appello sia incorso in una svista, pertanto, è a lui che spetta di porvi rimedio, a mezzo della revocazione per errore di fatto, al fine di eventualmente consegnare al giudice di legittimità un accertamento definitivamente ricostruito nella sua oggettività (in tal senso, Cass. civ., 11 aprile 2001, n. 5369; Cass. civ., 24 maggio 2003, n. 8251; Cass. civ., 28 settembre 2016, n. 19174; Cass. civ., 26 gennaio 2021, n. 1562).

Le Sezioni Unite della Cassazione, inoltre (nella pronuncia n. 5792 del 5 marzo 2024) hanno sottolineato come l’art. 395, n. 4), c.p.c., laddove prevede che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possano essere impugnate per revocazione se “effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa”, individua questo errore quando la decisione è fondata sulla “supposizione” di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando “è supposta” l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita e, tanto nell’uno quanto nell’altro caso, se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. “La chiave di volta della disposizione è il sostantivo “supposizione”, riferita a un “fatto””: il giudice di merito, e, a far data dall’introduzione dell’art. 391-bis c.p.c., anche la Corte di cassazione, “suppone” il fatto e lo suppone anche contro l’evidenza, trattandosi di un fatto che è incontrastabilmente escluso o positivamente stabilito; la falsa supposizione non è frutto di una scelta deliberata, ragionata, ma è una falsa rappresentazione della realtà da ascrivere a un abbaglio dei sensi, a disattenzione, distrazione, in buona sostanza a una svista nella consultazione degli atti del processo; questa svista, per essere emendata, necessita di un intervento sulla stessa ratio che sostiene la decisione affetta da errore, perché può disvelarsi soltanto dalla messa a confronto di due divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, da un lato quella risultante dalla decisione, dall’altro quella, contrastante e che la smentisce, emergente univocamente dagli atti e documenti acquisiti al processo.

In mancanza di questo intervento del giudice adito in revocazione, il fatto riportato in sentenza, seppure falsamente “supposto”, resta “accertato” così come lo è stato.

Per quanto riguarda, poi, il profilo di infondatezza in iure del motivo di ricorso proposto, è il legislatore ad aver stabilito, nell’art. 3 l. n. 89/2001, la necessità della autenticità delle copie della documentazione posta a sostegno del ricorso per equo indennizzo; è da ritenersi estranea al presente giudizio, viceversa, la questione dell’operatività, nel procedimento di opposizione ex art. 5-ter l. n. 89/2001, del meccanismo di riconoscimento implicito della conformità delle copie per omessa contestazione.

Deve, quindi, pure considerarsi che il potere del difensore di certificazione della conformità di un atto non è conferito da una norma generale e, perciò, deve essere utilizzato esclusivamente nei limiti previsti dalla legge, che resta speciale.

Ciò posto, gli atti che qui rilevano sono, in particolare, i verbali di causa dei giudizi presupposti di primo e secondo grado.

Il verbale di causa, in quanto atto giuridico appartenente alla categoria degli atti certificativi, è il documento preordinato alla descrizione di atti o fatti, rilevanti per il diritto, compiuti alla presenza di un soggetto verbalizzante appositamente incaricato di tale compito – il cancelliere – che garantisce quale pubblico ufficiale la certezza della descrizione degli accadimenti constatati, documentandone l’esistenza (art. 126 c.p.c.).

Secondo l’art. 168, 2°co., c.p.c., il cancelliere inserisce nel fascicolo d’ufficio, oltre agli altri documenti di cancelleria, di parte e ai provvedimenti del giudice, i verbali di causa.

I verbali redatti in modalità cartacea, pertanto, non costituiscono una tipologia di atti la cui copia estratta possa essere attestata direttamente come conforme dal difensore.

La fattispecie, infatti, è diversa dalla previsione di cui all’art. 16-decies del d.l. n. 179 del 2012, come invocato dal ricorrente: in tale norma, infatti, il potere di attestazione della conformità è attribuito al difensore nell’ipotesi in cui depositi, con modalità telematiche, la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice, formato su supporto analogico, ma purché sia detenuto da lui in originale o in copia già certificata come conforme; soltanto in tale ipotesi è previsto che la copia munita dell’attestazione del difensore equivalga all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento.

La fattispecie dell’estrazione diretta di copia dei verbali cartacei non è neppure disciplinata dal comma 9-bis dell’art. 16-bis del richiamato d.l. n. 179/2012: questa norma, infatti, attribuisce il potere di attestazione al difensore delle copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, perché l’estrazione avviene con modalità informatiche, per accesso consentito da valide credenziali, nei limiti in cui è tecnicamente assicurato che il documento informatico, ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso, contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.

Esorbitando dai limiti segnati dalle suddette norme, la certificazione di conformità delle copie dei verbali cartacei resta, dunque, di competenza esclusiva del cancelliere, quale pubblico ufficiale che ha formato il documento e ne detiene l’originale nel fascicolo d’ufficio.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Diritto d’autore digitale