21 Ottobre 2025

Condominio: insindacabili le valutazioni di “convenienza economica” adottate in delibera dall’assemblea

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sentenza del 13 maggio 2022 n. 15320, Seconda Sezione Civile, Giudice Dott.ssa R. M. Di Virgilio, Relatore A. Scarpa

Massima: “Il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 c.c., nella specie in ordine alla ripartizione delle spese inerenti ad una locazione immobiliare stipulata nel comune interesse dal condominio in veste di conduttore ed avente ad oggetto il godimento di un immobile di proprietà di terzi, non può riguardare la convenienza economica dell’importo del canone pattuito o la legittimità dell’accollo in capo al condominio conduttore degli esborsi sostenuti per il mantenimento della cosa in buono stato locativo o per l’esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, né può concernere questioni relative alla nullità o all’inefficacia delle clausole del contratto di locazione..

CASO

Tizio e Caia, insieme a Sempronia e Mevio, impugnavano la delibera condominiale del Condominio Gamma dell’8 luglio 2009, in relazione alle spese circa la “locazione cespiti” 2007/2008 e 2008/2009, nonché in merito ai lavori di rifacimento dell’impermeabilizzazione della soletta del locale caldaia ed all’acquisto e posa in opera di fioriere sul tetto della medesima centrale termica dell’impianto condominiale, installata in un immobile di proprietà di alcuni condomini oggetto di locazione in favore del condominio.

Gli attori rilevavano: 1) la violazione dei loro diritto patrimoniali per la “sproporzionata ed ingiustificata (quasi) quadruplicazione del canone di locazione della centrale termica”, relativo all’esercizio 2008/2009 di € 11.938,00 (rispetto a quello precedente di € 3.840,00) esteso retroattivamente anche all’esercizio 2007/2008 ed in assenza di prova documentale del correlativo esborso; 2) la violazione delle regole di diritto che vietano la variazione annuale del canone fatti salvi i casi in cui sia previsto l’aggiornamento del medesimo secondo gli indici ISTAT; 3) l’illegittimità degli addebiti di € 10.971,00 a titolo di corrispettivo per il rifacimento dell’impermeabilizzazione della centrale e di € 1.188,00 a titolo di corrispettivo per l’acquisto e posa di fioriere sul tetto della centrale atteso che sono opere estranee alle parti comuni ma di natura straordinaria, volte unicamente a soddisfare i proprietari della centrale termica.

Per le ragioni anzidette gli attori chiedevano venisse annullata la delibera assembleare del 2009 avuto riguardo alle quattro voci di spesa “nonché, all’occorrenza, delle corrispondenti clausole del contratto di locazione che fossero eventualmente invocate a giustificazione della ripartizione di dette partite a carico dei condomini e che risultassero generiche, vessatorie, sproporzionate e prive di causa e sinallagma, non avendo almeno i quattro ricorrenti-condomini mai sottoscritto tali clausole ex articolo 1341 c.c.”.

Con sentenza del 2015 il Tribunale di Milano rigettava le domande degli attori, che interponevano appello.

La Corte di Appello di Milano, nel decidere sull’impugnazione, rilevava che si stesse discutendo relativamente ad un rapporto contrattuale di locazione concluso tra singoli condomini – comproprietari del locale ove si trovava la centrale termica – ed il Condominio Gamma; rapporto rispetto al quale, gli appellanti erano estranei.

Inoltre il giudicante delle seconde cure evidenziava che la delibera approvata nel 2009 riguardava unicamente il consuntivo della gestione del 2008/2009; ed inoltre, rilevava che l’autorità giudiziaria non può sindacare in ordine alle scelte gestorie dell’assemblea.

Pertanto, soccombenti anche in secondo grado, unicamente Tizio e Caia proponevano ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Resisteva con controricorso il Condominio Gamma

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dichiarava integralmente inammissibile il ricorso e condannava in solido i ricorrenti al rimborso a favore del controricorrente delle spese sostenute per il giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 2.500,00 di cui € 200,00 a titolo di esborsi oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115/2002 dava atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di Tizio e Caia, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

QUESTIONI

La natura della controversia – in materia condominiale segnatamente impugnazione delle delibere assembleari – impone una analisi preliminare relativa all’integrazione del contraddittorio tra le parti in giudizio quali parti di una causa inscindibile.

In particolare, nel caso che occupa la presente controversia, parti del primo e del secondo grado come già esposto sono state Tizio, Caio, Sempronia e Mevio aventi quale contraddittore il Condominio Gamma.

Invero, a fronte della decisione del giudizio di seconde cure, con la quale la Corte distrettuale confermava la sentenza di primo grado del Tribunale di Milano, proponevano ricorso per Cassazione unicamente gli appellanti soccombenti Tizio e Caia.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità, dispone che “in tema di condominio, l’impugnazione di una delibera assembleare ad opera di una pluralità di condomini determina, tra gli stessi, una situazione di litisconsorzio processuale, fondato sulla necessità di evitare eventuali giudicati contrastanti in merito alla legittimità della deliberazione medesima; sicché, ove la sentenza che ha deciso su tale impugnativa sia stata appellata soltanto da alcuni dei detti condomini, l’esito dell’impugnazione si estende anche a quelli che, tra gli originari litisconsorti, non l’abbiano proposta, ancorché la decisione concerna – stante la cessazione della materia del contendere – le sole spese di lite, trattandosi di capo accessorio che condivide il carattere di inscindibilità della causa principale[1].

Ne deriva che ove solo alcune parti del giudizio originario impugnino le decisioni – dei giudici del primo grado ovvero del grado di appello – il giudice del gravame è tenuto a disporre l’integrazione del contraddittorio ai sensi e per gli effetti dell’art. 331 c.p.c..

Posto quanto sinora argomentato, nella presente vertenza la Corte di legittimità, richiamato unicamente il principio di cui sopra, ha ritenuto prevalenti le esigenze di economia del processo – nella più specifica declinazione della ragionevole durata del processo – concludendo per la superfluità ed ininfluenza della ridetta integrazione dal momento che il ricorso era da ritenersi “prima facie”, inammissibile ai sensi dell’art. 369 bis n. 1, c.p.c., così come da costante orientamento della giurisprudenza di legittimità[2].

Quanto ai motivi di impugnazione, con il primo motivo gli unici due ricorrenti rilevavano la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. da parte del giudice delle seconde cure “per mancata corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato e per omessa pronuncia nonché per disapplicazione ed inosservanza delle risultanze processuali”.

Segnatamente la Corte distrettuale non avrebbe disposto relativamente alla legittimità dell’aumento “fino al quadruplo”, del canone di locazione del locale caldaia.

La Corte d’Appello, invero, sarebbe incorsa in un errore di fatto, nella negazione che oggetto del giudizio di prime cure fosse stato un contratto di locazione; nonché un errore logico perché “l’esistenza di un rapporto locativo tra comunione di condomini/condomino non è stato affatto estranea al materiale di causa, come da ammissione degli stessi appellanti e comunque da prova documentale del fatto che alcuni condomini in data 20 ottobre 2004 avevano acquistato il locale della centrale termina ed erano così succeduti nel rapporto contrattuale di locazione all’originaria impresa costruttrice, che si era riservata la proprietà di tale locale e lo aveva concesso in locazione al condominio contro pagamento di un canone annuo”.

Censuravano, inoltre, un terzo errore, questa volta di diritto commesso da parte del giudicante del gravame.

Lo stesso può essere così scomposto: in primo luogo vi sarebbe stata la mancata corrispondenza “tra quanto chiesto dagli appellanti, ossia la dichiarazione di nullità o annullabilità della deliberazione dell’assemblea condominiale dell’8 luglio 2009 per la lesione dei propri diritti individuali e patrimoniali e per violazioni di regole di diritto, consistenti nella illegittima ed autolesionistica quadruplicaizone del canone già determinato in forza del contratto locativo vigente, in assenza di documentazione contabile e in difetto del quorum deliberativo per votazione di condomini in conflitto di interessi con il condominio”; e quanto al contratto pronunciato da parte del Tribunale e della Corte distrettuale i quali hanno “contestato invece agli appellanti la carenza di legittimazione attiva ad impugnare il contratto di locazione intercorrente fra il Condominio e la comunione di (alcuni) condomini, succeduti al precedente ed originario locatore ed erroneamente ritenuti i loto contraddittori in luogo del Condominio”.

Il censurato errore di diritto si sarebbe spiegato anche relativamente alla “rilevata adozione all’unanimità dei presenti della delibera 8/7/2009 in punto di “approvazione del consuntivo della gestione ordinaria 2008/2009”, non dispensava di certo la Corte d’Appello adita dal potere dovere di esaminare e pronunciarsi sulle denunziate cause di nullità ed annullabilità della predetta delibera dell’assemblea condominiale, che aveva illegittimamente ed arbitrariamente: quadruplicato (con arbitraria decisione assunta in difetto di competenza, in conflitto di interessi ed in violazione delle norme locative) il canone dovuto dai condomini in forza del contratto di locazione originariamente intercorso fra impresa costruttrice e condominio ed ancora vigente, e leso in tal modo i diritti individuali e patrimoniali dei ricorrenti appellanti, che attraverso la autolesionistica quadruplicazione del canone erano stati indebitamente gravati di maggiori spese”.

L’ultimo profilo della censura relativa all’errore di diritto riguarda la circostanza in ragione della quale “la Corte d’Appello, per confermare la sentenza di primo grado e per rigettare l’appello, ha dovuto inoltre e purtroppo disattendere le risultanze processuali, incorrendo così anche nella violazione dell’art. 115 c.p.c., allorchè : a) ha negato che gli appellanti avessero espressamente censurato la sentenza di primo grado sull’erroneamente ed inutilmente sollevata questione di carenza di legittimazione ad interloquire sul rapporto di locazione; b) ha imputato agli appellanti l’omessa indicazione del canone dovuto in concreto nel caso di specie, benchè gli stessi ne avessero denunciato la illegittima quadruplicazione rispetto a quello dovuto, la cui misura sia nell’atto introduttivo che nell’atto di appello era stata ripetutamente specificata in € 3.840,00”.

Con il secondo motivo di ricorso Tizio e Caia denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135, 1136 e 1137 e degli artt. 1421, 1571, 1587, 2373 per la sostenuta illegittimità della delibera condominiale dell’esercizio 2008/2009 con portata retroattiva all’esercizio precedente.

Sostanzialmente con il secondo motivo si rilevava l’illegittimità della deliberazione in quando adottata in violazione delle norme sui poteri dell’assemblea, segnatamente: 1) “eccesso di potere non rientrando nella competenza dell’assemblea la unilaterale ed autolesionistica variazione in aumento del canone di locazione a danno dei condomini”; 2) “illegittima ed illecita incidenza sui diritti individuali e patrimoniali dei condomini non proprietari (come erano e sono appunto i ricorrenti), che sono stati arbitrariamente gravati di spese indebite”; 3) “per illegittima ed inammissibile variazione ad € 11.938,86 del canone già determinato in forza del contratto di locazione ancora vigente nella misura di € 3.840,00”; 4) la delibera sarebbe viziata ed illegittima per la inveridicità della contabilità condominiale giacchè sarebbero mancati i giustificativi di cassa e per “favoreggiamento alla evasione fiscale attraverso illecita compensazione delle contrapposte partite di credito e di debito”; infine 5) “per avvenuta inclusione della maggioranza deliberante (diversamente non conseguite) dei condomini proprietari-locatori i quali, pur essendo in contrasto di interessi con il Condominio, gli hanno accollato un onere economico a tutto e solo loro vantaggio e nel contempo a tutto e solo danno dei condomini non proprietari”.

Con il terzo ed ultimo motivo di ricorso, i ricorrenti censuravano la violazione da parte del giudice del secondo grado degli artt.  1135, 1136 e 1137 e degli artt. 1341, 1342, 1421, 1575, 1576 e 2373 c.c., per illegittimità della delibera per cui è causa per avere la medesima posto a carico dei conduttori-locatori spese straordinarie e voluttuarie di competenza del locatore.

Ad avviso dei ricorrenti, perché la delibera oggetto di impugnazione potesse essere considerata legittima e valida sarebbe stato necessario fare necessario riferimento al contratto di locazione sottostante del quale doveva essere verificata la vigenza, validità ed efficacia giacchè la mancanza di uno solo dei presupposti “avrebbe costituito un impedimento insormontabile all’accollo di dette spese ad un locatario non vincolato da obbligazioni contrattuali”.

La Corte di legittimità ha ritenuto di analizzare i tre motivi di ricorso congiuntamente perché tra di loro strettamente collegati e parimenti infondati.

In primo luogo, le censure sono state giudicate generiche e formulate in ragione di una “molteplicità di profili tra di loro confusi e inestricabilmente combinati”, in violazione della tassatività nella redazione dei motivi di impugnazione di cui agli artt. 360 e 366, comma 1, n. 4 c.p.c.

Nel caso di specie infatti, la violazione e/o falsa applicazione delle norme che i ricorrenti hanno ritenuto violate non sono corredate da specifiche argomentazioni utili a provare in che termini le valutazioni in diritto operate da parte del giudice delle seconde cure sarebbero da ritenersi in contrasto con le singole disposizioni di legge individuate da Tizio e Caia come “regolatrici della fattispecie”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il ricorso avanzato da parte di Tizio e Caia, dal momento che la Corte d’Appello di Milano avrebbe deciso nel merito della questione applicando correttamente gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità; valutazioni del giudice delle seconde cure che non possono neanche essere superate alla luce del tenore delle censure proposte.

Orbene, focalizzando l’attenzione sui motivi di ricorso la Corte di Cassazione argomentava come segue.

In primo luogo l’impugnazione non contiene la specifica indicazione di quanto oggetto del contratto di locazione dell’immobile ove insiste la centrale termica condominiale.

Tale contratto di locazione sarebbe stato concluso nel comune interesse dal Condominio, in persona del proprio Amministratore pro tempore, in qualità di conduttore ed ha come oggetto il godimento dell’immobile di proprietà di alcuni condomini-locatori a fronte della corresponsione di un canone.

E’ opportuno precisare che l’Amministratore di condominio riveste la funzione di rappresentanza della compagine condominiale ed i singoli poteri ad esso attribuiti sono previsti e regolati dagli art. 1131 c.c..

Orbene, previa deliberazione favorevole dell’assemblea, l’Amministratore di condominio può “quando si tratta di atti che esulano dalle attribuzioni ordinarie, può invero, stipulare i contratti ed assumere obbligazioni necessari alla conservazione e al godimento delle parti comuni, come alla fruizione dei servizi comuni dell’edificio[3], i cui successivi oneri economici derivanti dalla messa in esecuzione di tali negozi vanno poi inseriti all’interno delle singole voci di spesa contabilizzate nel rendiconto da sottoporre all’approvazione dell’assemblea.

La successiva titolarità dei rapporti nascenti conclusi in nome e per conto del condominio ricade su tutta la compagine condominiale, con il che ne deriva che la legittimazione ad impugnare i singoli negozi giuridici conclusi dall’amministratore previo placet assembleare “non spettano, tuttavia, in modo frazionato pro quota a ciascuno dei condomini, ma rimangono imputate alla collettività organizzata “condominio” quale unitaria parte contrattuale complessa, che esercita le posizioni e prerogative proprie dei contraenti[4].

Tuttavia, l’impugnazione da parte della compagine condominiale delle deliberazioni assembleari non può avere ad oggetto una richiesta rivolta al giudicante relativa alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, la cui delibazione è sovrana.

E’ infatti orientamento costante della Corte di legittimità in materia di condominio negli edifici ritenere che il giudice del merito nell’impugnazione delle delibere condominiali “deve limitarsi ad un riscontro di legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l’eccesso di potere, purchè la causa della deliberazione risulti – sulla base di un apprezzamento di fatto del relativo contenuto, che spetta al giudice di merito – falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c., non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera in ordine ai costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose o ai servizi comuni, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea[5].

L’autorità giudiziaria pertanto, non può spingersi con il proprio sindacato a valutazioni di merito relativamente alle deliberazioni assembleari in termini di convenienza degli accordi economici conclusi dal condominio – che nel caso di specie si traduce nella valutazione circa l’opportunità della somma da corrispondere a titolo di canone di locazione dell’immobile ove insisteva la centrale termica; ovvero “all’accollo in capo al condominio conduttore delle spese necessarie per il mantenimento della cosa in buono stato locativo, o per l’esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, seppur derogando convenzionalmente alle disposizioni di cui agli artt. 1576, 1592 e 1593 c.c.[6].

Allo stesso modo, nel ricorso la Corte di Cassazione riteneva “incomprensibile”, il riferimento operato dai ricorrenti all’eccesso di potere che avrebbe viziato la delibera, dal momento che affinchè si integri la ridetta violazione è necessario un grave pregiudizio alla cosa comune come disposto dall’art. 1109 c.c..

La deliberazione non può essere considerata viziata neppure del richiamato conflitto di interessi.

Segnatamente, per la costituzione dell’assemblea e per l’approvazione delle deliberazioni sono previste maggioranze inderogabili ai sensi dell’art. 1136 c.c., all’interno delle quali sono compresi anche i condomini che eventualmente potrebbero essere considerati in conflitto di interessi con il condominio.

Tuttavia gli stessi “possono (ma non debbono) astenersi nell’esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascuno dei partecipanti di ricorrere all’autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio[7].

Peraltro v’è da dire che la valutazione circa un effettivo conflitto di interessi tra le ragioni del singolo condominio votante ed il condominio è comunque relativa al merito, verosimilmente oggetto di possibile sindacato del giudice di legittimità solo ove ed in quanto ricorrano i presupposti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., cioè nel caso in cui il giudice del merito abbia omesso di esaminare e pronunciarsi su di un elemento fattuale da ritenersi decisivo per la definizione della controversia, peraltro oggetto di espressa contraddittorio tra le parti.

Nel caso di Tizio e Caia, essi non indicano in ossequiO all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., “come e quando la questione del conflitto di interessi era stato oggetto di discussione processuale tra le parti nelle pregresse fasi di merito e di specifica allegazione operata prima della maturazione delle preclusioni assertive”.

Ultimo rilievo, ma non per importanza, la mancata integrazione del contraddittorio – per litisconsorzio necessario – tra tutti i partecipanti la compagine condominiale in relazione alle censure sulla nullità ovvero inefficacia delle singole clausole del contratto di locazione.

La Corte in definitiva, rigettando integralmente il ricorso pronunciava il seguente principio di diritto “il sindacato dell’autorità giudiziaria sulla contrarietà alla legge o al regolamento delle deliberazioni prese dall’assemblea dei condomini, ai sensi dell’art. 1137 c.c., nella specie in ordine alla ripartizione delle spese inerenti ad una locazione immobiliare stipulata nel comune interesse dal condominio in veste di conduttore ed aventi ad oggetto il godimento di un immobile di proprietà di terzi, non può riguardare la convenienza economica dell’importo del canone pattuito o la legittimità dell’accollo in capo al condominio conduttore degli esborsi sostenuti per il mantenimento della cosa in buono stato locativo o per l’esecuzione di miglioramenti o addizioni alla stessa, né può concernere questioni relative alla nullità o all’inefficacia delle clausole del contratto di locazione”.

[1]Cass. Civ. n. 22370/17.

[2] Cass. Civ. SS.UU. n. 21670/13

[3] Cass. Civ. n. 1340/1997

[4] Cass. Civ. n. 4245/09

[5] Cass. Civ. n. 5061/20

[6] Cass. Civ. n. 6158/98

[7] Cass. Civ. n. 2415/18

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