14 Ottobre 2025

Violazione del mandato e concorso tra azione di annullamento del contratto concluso dal rappresentante e azione di risarcimento del danno

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 17 giugno 2025, n. 16374 – Pres. Falaschi – Rel. Pirari

Parole chiave: Mandato – Rappresentanza – Procura – Poteri del rappresentante – Violazione – Conclusione del contratto – Annullamento – Risarcimento del danno per violazione del mandato – Concorso delle due azioni – Ammissibilità – Conseguenze – Differente regime di prescrizione del diritto

[1] Massima: “In tema di rappresentanza, la procura, quale negozio unilaterale col quale il rappresentato investe il rappresentante del potere di compiere un atto giuridico in suo nome e in sua vece, implica necessariamente la sussistenza di un rapporto sottostante che ne giustifica il rilascio e che, in assenza di deduzioni su specifici rapporti gestori con la stessa astrattamente compatibili, può ricondursi al rapporto di mandato, distinguendosi l’una e l’altro in quanto mentre la prima esaurisce la sua funzione davanti ai terzi, il secondo involge, viceversa, il solo rapporto interno tra rappresentante e rappresentato. Ne consegue che, essendo il complessivo rapporto regolato sia dalle norme sulla rappresentanza, sia da quelle sul mandato, che disciplinano rispettivamente il lato esterno e quello interno del rapporto, possono concorrere tanto l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso ai sensi dell’art. 1395 c.c., quanto l’azione di danni per l’infedele esecuzione del mandato ai sensi dell’art. 1710 c.c., siccome azioni fondate ciascuna su titolo distinto e autonomo e soggette a differente regime di prescrizione, che, nella prima, è quinquennale ex art. 1442 c.c. e, nella seconda, in quanto di natura contrattuale, necessariamente decennale”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1395, 1442, 1710, 2946

CASO

Due coeredi, che avevano conferito agli altri due una procura a vendere un fondo caduto in successione, agivano in giudizio per ottenere l’annullamento del contratto di compravendita, che era stato concluso sebbene, nel frattempo, il medesimo fondo fosse stato assoggettato a sequestro conservativo in loro favore e, per di più, senza esplicitare il rapporto di coniugio intercorrente tra i procuratori e le due acquirenti; le attrici chiedevano, inoltre, la condanna dei convenuti al risarcimento del danno per la violazione del mandato loro conferito, dal momento che, attraverso l’interposizione fittizia delle mogli, avevano, in realtà, venduto il fondo a sé stessi, in contrasto con l’art. 1395 c.c.

Costituitisi in giudizio, i coeredi convenuti eccepivano la prescrizione dell’azione, essendo stata promossa una volta che erano decorsi più di cinque anni dalla stipula del contratto di compravendita.

Il Tribunale di Rovigo accoglieva l’eccezione e respingeva le domande, con sentenza confermata all’esito del giudizio di appello.

La pronuncia di secondo grado veniva gravata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che, quando venga conferita una procura cui sia sotteso un rapporto di mandato, occorre distinguere, da un lato, la violazione dei poteri attribuiti con la procura e, dall’altro lato, l’inadempimento degli obblighi che hanno titolo nel mandato, sicché il mandante può avvalersi, in via concorrente o alternativa, dei corrispondenti rimedi, che restano assoggettati ai rispettivi termini di prescrizione.

QUESTIONI

[1] Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione delinea i differenti piani sui quali sono destinate a operare le norme che disciplinano la procura e il mandato, a seconda che si abbia riguardo ai rapporti interni (tra i soggetti che, rispettivamente, hanno conferito la procura e il mandato, ovvero sono stati investiti dei relativi poteri) o a quelli esterni (intercorrenti con i soggetti terzi con i quali il procuratore o il mandatario vengono in contatto, ponendo in essere atti giuridicamente rilevanti).

La procura, in quanto negozio unilaterale con il quale l’interessato investe un soggetto del potere di rappresentarlo in tutti gli atti che lo concernono (se si tratta di procura generale), piuttosto che in alcuni soltanto, specificamente determinati (se si tratta di procura speciale), esaurisce la sua funzione, quale fonte di rappresentanza, nella mera autorizzazione – di fronte ai terzi – del rappresentante ad agire in nome e in vece del rappresentato.

La procura va tenuta distinta dal sottostante rapporto di gestione che lega il soggetto che conferisce il potere a chi ne è investito, caratterizzandosi per la sua indipendenza e astrattezza, in quanto è idonea ad attribuire il potere di rappresentanza qualunque sia il rapporto che intercorre tra il rappresentante e il rappresentato.

Ma proprio perché si risolve nel mero conferimento a un soggetto del potere di compiere un atto giuridico in nome di un altro, la procura implica necessariamente la sussistenza di un rapporto sottostante, in forza o in funzione del quale è rilasciata: in mancanza di deduzioni in ordine alla riconducibilità della stessa a rapporti in astratto compatibili con il suo rilascio, il suo conferimento e il suo concreto esercizio da parte del soggetto che ne è investito fanno presumere la sussistenza di un rapporto di mandato sotteso al rilascio della procura.

Sotto questo profilo, non assume rilievo il fatto che il mandato non sia stato rilasciato nella medesima forma della procura (che, a termini dell’art. 1392 c.c., dev’essere conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere), poiché il mandato è destinato a spiegare i suoi effetti nel rapporto interno tra rappresentato e rappresentante, dando luogo a un rapporto meramente obbligatorio, mentre gli effetti del contratto di compravendita immobiliare concluso dal rappresentante in forza della procura conferitagli si producono in capo al rappresentato in forza della sola procura, il che giustifica la soluzione di estendere solo a questa – e non anche al mandato, che alla stessa è giuridicamente collegato in termini funzionali – l’obbligo della forma solenne.

Visto che il mandatario esplica attività giuridica non solo per conto, ma anche in nome del mandante e che, pertanto, al mandato si aggiunge anche la rappresentanza, l’intera situazione viene a essere regolata sia dalle norme sul mandato (artt. 1704 e seguenti c.c.), sia da quelle concernenti la rappresentanza (artt. 1387 e seguenti c.c.), che disciplinano, rispettivamente, il lato interno e quello esterno del rapporto.

In questo modo, i giudici di legittimità evidenziano come, in una fattispecie quale quella sottoposta al loro vaglio, concorrano, a beneficio di chi ha conferito la procura, una pluralità di rimedi:

  • l’annullamento del contratto concluso dal rappresentante con sé stesso in assenza dei necessari poteri, ai sensi dell’art. 1395 c.c.;
  • l’azione di risarcimento danni per infedele esecuzione del mandato ai sensi dell’art. 1710 c.c., che trova titolo nella violazione del generale principio di diligenza che il mandatario deve osservare nell’esecuzione del mandato conferitogli e che il mandante è legittimato a esercitare quando la sua sfera giuridica venga lesa e danneggiata dalla conclusione di un contratto con sé stesso da parte del mandatario.

Si tratta di azioni fondate su titoli distinti e autonomi e, come tali, soggette a differente regime di prescrizione: quinquennale nel primo caso (in base all’art. 1442 c.c.), decennale nel secondo caso (trattandosi di fattispecie riconducibile nell’alveo della responsabilità contrattuale).

Nel contempo, la Corte di cassazione esclude, da un lato, che l’azione di risarcimento danni ex art. 1710 c.c. sia preclusa da quella di annullamento del contratto prevista dall’art. 1395 c.c. e, dall’altro lato, che le conseguenze di una infedele esecuzione del mandato determinino un danno derivante unicamente da illecito extracontrattuale per violazione del principio del neminem laedere, cui conseguirebbe l’applicabilità di un termine di prescrizione quinquennale dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c., per effetto di quanto stabilito dall’art. 2947 c.c.

Le condotte descritte dagli artt. 1395 e 1710 c.c., infatti, costituiscono espressione dell’infedele esecuzione del mandato e danno luogo a un concorso di diritti autonomamente azionabili, sicché il loro regime di prescrizione resta necessariamente differenziato.

In altre parole, l’azione risarcitoria promossa dal mandante ovvero dal rappresentato può fondarsi sia sulla violazione dell’obbligo, gravante sul mandatario ai sensi dell’art. 1713 c.c., di rendere il conto dell’attività compiuta, attraverso la giustificazione dell’attività svolta, sia sulla violazione del dovere di curare gli interessi del rappresentato scaturente dalla stipulazione di un contratto in conflitto di interessi ex art. 1394 c.c. (che ricorre quando il rappresentante sia portatore di interessi incompatibili con quelli del rappresentato ed è presunto iuris tantum quando sia stato concluso un contratto con sé stesso ex art. 1395 c.c., salvo che il rappresentante dimostri, in via alternativa, l’autorizzazione specifica da parte del rappresentato o la predeterminazione degli elementi negoziali, che il legislatore ha tassativamente individuato quali condizioni idonee ad assicurare la tutela del rappresentato per via del ruolo attivo che assume nella fase prodromica del contratto).

Di conseguenza, mentre nel primo caso il termine di prescrizione dell’azione sarà quello decennale valevole per la responsabilità da inadempimento contrattuale, nel secondo caso opererà quella quinquennale associata all’azione di annullamento del contratto concluso in violazione delle norme sulla rappresentanza.

Quando, invece, si è in presenza di un mandato senza rappresentanza, il mandatario – in difetto di un diverso accordo – non risponde verso il mandante dell’eventuale inadempimento imputabile alle persone con le quali ha contrattato (salvo che ne conoscesse o che dovesse essergli noto lo stato di insolvenza), per il principio di irresponsabilità sancito dall’art. 1715 c.c.: come precisato da Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2025, n. 19455, tale regola trova giustificazione nel fatto che, in virtù di quanto stabilito dall’art. 1705, comma 2, c.c., mentre il soggetto passivo dei rapporti obbligatori (ossia il titolare della posizione di debito) rimane il terzo che ha contrattato con il mandatario, quest’ultimo conserva la titolarità della complessiva posizione contrattuale – e, con essa, la legittimazione esclusiva ad agire verso il terzo e a essere da questi convenuto in relazione a tutti i diritti e a tutti gli obblighi a essa connessi – con l’esclusione dei diritti di credito, la legittimazione esclusiva a fare valere i quali si trasferisce in capo al mandante, che può, dunque, esercitare il diritto direttamente nei confronti del terzo obbligato, ottenendone la condanna all’adempimento. La sussistenza, entro tali limiti, di un rapporto giuridico obbligatorio tra il mandante e il terzo esclude la necessità di ritenere che il mandatario sia ex lege e automaticamente responsabile verso il mandante per il fatto del terzo, fatta salva una diversa volontà delle parti, che possono pattiziamente attribuire al mandatario senza rappresentanza la piena e diretta responsabilità, verso il mandante, anche dell’inadempimento delle obbligazioni assunte dai terzi con i quali ha contrattato; pertanto, solo in presenza di un tale patto contrario (che ha lo scopo di ripristinare il principio generale ricavabile dall’art. 1228 c.c., in forza del quale il debitore che, per l’adempimento dell’obbligazione, si avvale dell’opera di terzi risponde anche dei fatti dolosi o colposi di questi), il mandante ha la piena disponibilità, nei confronti del mandatario, dei diritti di credito che scaturiscono dal mandato e che trovano titolo nella sua esecuzione.

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