23 Settembre 2025

Rateizzazione del debito e prescrizione 

di Daniele Calcaterra, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. II, ord. 07/07/2025, n. 18402, Rel. Dott. C. Trapuzzano

Vendita – Rateizzazione del debito – Prescrizione decennale (art. 2946 c.c.)

Massima: “La prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., applicabile alle obbligazioni periodiche o di durata, non si riferisce alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici. In tal caso, opera la prescrizione ordinaria decennale. Pertanto, un contratto di fornitura di prodotti editoriali, anche se con pagamento rateizzato, deve essere qualificato come vendita e soggetto alla prescrizione decennale”.

CASO

La casa editrice Alfa otteneva un decreto ingiuntivo contro Tizio, a titolo di corrispettivi dovuti per forniture editoriali di svariati anni precedenti (1997–2005).

Tizio proponeva opposizione sostenendo che il rapporto fosse un contratto di abbonamento (locazione di cosa mobile), soggetto a prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 c.c.

In primo grado, il Tribunale qualificava il contratto come vendita e applicava la prescrizione decennale di cui all’art. 2946 c.c., riducendo però l’importo dovuto per effetto della prescrizione sulle rate più vecchie.

La Corte d’Appello, adita da Tizio, confermava la decisione, ribadendo che si trattava di contratto di vendita rateizzata e non di prestazioni periodiche.

Avverso la detta ultima sentenza, Tizio proponeva ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi: il primo atteneva all’errata qualificazione del contratto (quindi a una violazione dei criteri di interpretazione), il secondo lamentava l’errato calcolo della prescrizione (che sarebbe dovuta decorrere dalle singole scadenze, non a ritroso dall’atto interruttivo), il terzo riguardava la mancata specificazione dei contratti cui si riferiva l’interruzione della prescrizione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, respinge  il ricorso.

QUESTIONI

L’aspetto più interessante del precedente in esame riguarda proprio il primo motivo di ricorso, che andremo ad esaminare.

Il ricorrente denuncia con esso la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367 e 1370 c.c., per avere la Corte di merito qualificato la fornitura di prodotti editoriali come vendita, anziché come contratto misto di abbonamento, in cui prevaleva la disciplina della locazione di cosa mobile a tempo determinato. La Corte di merito, in altri termini, avrebbe adottato un criterio di interpretazione atomistica, anziché verificare il contenuto negoziale in modo coerente e convergente con le previsioni complessive di cui alle clausole contemplate nei singoli contratti predisposti su moduli prestampati. Particolare attenzione, cioè, sarebbe dovuta essere posta al il divieto di riproduzione, di cessione e di trasferimento, anche gratuito, a terzi di ogni CD-ROM oggetto dell’abbonamento; alla concessione soltanto in uso del programma informatico, quale bene immateriale; all’adeguamento Istat; alla possibilità di rinnovo dell’abbonamento alla scadenza convenuta; al patto di riservato dominio in contrasto con la licenza d’uso del programma; al servizio di aggiornamento; alla comunicazione del cambio d’indirizzo. Clausole queste che, nel loro insieme, avrebbero dovuto escludere una vendita e deporre per la natura indicata dall’attore, per il quale, quindi, la lettura del contratto offerta dalla sentenza impugnata avrebbe violato i canoni ermeneutici in ordine alla considerazione del senso globale del contratto, risultante dall’esame di tutte le clausole negoziali rimaste inesplorate, il criterio buona fede, il principio di conservazione del contratto, l’interpretatio contra stipulatorem.

Per la S.C. il motivo è infondato, essendo rinvenibili nella sentenza impugnata le ragioni giustificatrici dell’interpretazione della fornitura di prodotti editoriali quale vendita.

Rammenta il Collegio anzitutto che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., per tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, si riferisce alle obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo, ma non è applicabile alle prestazioni derivanti da un unico debito rateizzato in più versamenti periodici, per le quali opera la ordinaria prescrizione decennale (Cass. 2017/30546; Cass. 2006/26161; Cass. 2005/18432; Cass. 2005/14080; Cass.2003/3348).

Ciò precisato, per il Collegio, nel caso di specie, la Corte territoriale ha evidenziato i plurimi elementi da cui ha ricavato che il debito complessivo preteso fosse riferibile ad un unitario contratto di compravendita di materiale editoriale e che la ripartizione rateizzata del cui corrispettivo era stata dalle parti predisposta unicamente al fine di giovare alle esigenze del debitore, con la conseguente esclusione di alcuna previsione di obbligazioni periodiche o di durata, caratterizzate dalla pluralità e dalla periodicità delle prestazioni, aventi un titolo unico ma ripetute nel tempo (in tal senso anche Cass. 2019/18412).

In particolare, in applicazione del criterio letterale, è stato chiarito che i tre contratti prodotti, stipulati nel 1997, nel 2000 e nel 2001, facevano riferimento al concetto di fornitura di merce, utilizzando le seguenti locuzioni: “Con la presente vi commissiono quanto sotto elencato accettando integralmente le Vostre condizioni di vendita“, mentre nelle condizioni generali applicate vi era la clausola rubricata “Prezzi di vendita“. Inoltre, è stato puntualizzato che il corrispettivo dovuto all’editore era in tali accordi concordato e previsto unitariamente per l’intera fornitura, sia pure con l’appendice che ne consentiva il pagamento rateizzato, di talché la predetta rateizzazione era solo una modalità di adempimento concessa all’obbligato, all’evidenza non idonea ad incidere e snaturare il patto cui accedeva, al pari della consegna ripartita del materiale informativo in siffatto modo acquistato.

Inoltre, quanto alla concessione in uso dei programmi e supporti informatici che consentivano la fruizione digitale del materiale informativo acquistato, la pronuncia impugnata aveva correttamente rilevato che tale aspetto atteneva alla mera esecuzione del contratto, trattandosi di prodotti digitalizzati (senza alcun obbligo di restituzione al termine del rapporto).

Per il resto, il S.C. conferma invece l’irrilevanza – sempre ai fini della qualificazione del contratto –, della clausola attinenti al divieto di riproduzione, di cessione e di trasferimento, anche gratuito, a terzi di ogni CD-ROM oggetto dell’abbonamento (ai fini della tutela del diritto d’autore), all’adeguamento Istat (quale accessorio del prezzo), alla possibilità di rinnovo dell’abbonamento alla scadenza convenuta (con la conseguente conclusione di una nuova vendita), al patto di riservato dominio (emblematico piuttosto della natura traslativa differita del contratto ex art. 1523 c.c.), al servizio di aggiornamento (quale servizio accessorio rispetto all’oggetto dell’acquisto), alla comunicazione del cambio d’indirizzo (relativo all’acquirente); previsioni tutte ritenute compatibili con la pattuizione di una vendita dei prodotti editoriali e quindi non dirimenti ai fini dell’indagine in esame.

Il S.C. non manca di osservare, infine, che l’interpretazione degli atti negoziali deve ritenersi indefettibilmente riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità unicamente nei limiti consentiti dal testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., ovvero nei casi di violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. In tale ultimo caso, peraltro, la violazione denunciata esige necessariamente la deduzione attraverso specifica indicazione, nel ricorso per cassazione, del modo in cui il ragionamento del giudice di merito si sia discostato dai suddetti canoni, traducendosi, altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti in una mera proposta di interpretazione alternativa rispetto all’interpretazione censurata, operazione, come tale, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 2025/353; Cass. 2024/18214; Cass. 2021/9461; Cass. 2017/28319; Cass. 2017/27136; Cass. 2017/15471; Cass. 2005/13067; Cass. 2003/17427).

Alla luce di queste argomentazioni, il S.C. respinge pertanto il ricorso.

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