16 Settembre 2025

Scioglimento di S.r.l.: arbitrabilità dell’accertamento e inammissibilità della nomina del liquidatore in sede contenziosa

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Milano, Sez. imprese, sentenza 6 maggio 2025 Pres. – Rel. Mambriani

Arbitrato – Compromesso e clausola compromissoria – Società – Socio, in genere – Azione di responsabilità contro gli amministratori

(artt. 102, comma 1,  806, 816-quater, 816-quinquies, 819-ter, 818-bis, 818-ter 829, 838-bis, 838-ter  c.p.c.; 2247, 2437, 2447, 2482-ter, 2485, 2487-bis, 2487-ter, 2908 cod. civ.)

Massima: “È arbitrabile, in presenza di clausola compromissoria statutaria, la domanda del socio diretta all’accertamento delle cause di scioglimento di s.r.l. ex art. 2484 c.c., trattandosi di situazioni disponibili perché rimesse alla volontà collettiva (delibera di scioglimento, possibilità di evitarne o revocarne gli effetti); sussiste litisconsorzio necessario della società, sicché l’eccezione di arbitrato sollevata dai soci comporta la devoluzione unitaria della lite agli arbitri anche nei confronti dell’ente contumace (art. 102 c.p.c.; artt. 838-bis, 816-quater e 816-quinquies c.p.c.).

Non è invece compromettibile—ed è inammissibile nel rito contenzioso per difetto di tipicità della sentenza costitutiva ex art. 2908 c.c.—la domanda di nomina del liquidatore, che va proposta in volontaria giurisdizione (art. 2487, co. 2, c.c.; art. 2487-bis c.c.).”

CASO

La controversia trae origine dall’azione promossa da una società immobiliare a responsabilità limitata per ottenere l’accertamento della sussistenza delle cause di scioglimento previste dallo statuto sociale, in relazione all’art. 2484, comma 1, nn. 2) e 3) c.c. (conseguimento dell’oggetto sociale o sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; impossibilità di funzionamento o continuata inattività dell’assemblea). A tale domanda l’attrice affiancava la richiesta di messa in liquidazione della società e la declaratoria di contrarietà all’interesse sociale del godimento dell’immobile sociale da parte di due dei tre soci, con conseguente condanna al rilascio del bene e corresponsione di indennità.

La compagine sociale, a ristretta base familiare, si articola in due soci titolari del 25% ciascuno e in un terzo socio detentore della residua partecipazione del 50%; uno dei primi riveste anche la carica di amministratore unico, con i poteri gestori di ordinaria e straordinaria amministrazione previsti dallo statuto. Resta, inoltre, dato non controverso che i due soci al 25% fruiscano a titolo gratuito dell’immobile di proprietà della società.

A seguito di divergenze sulla gestione e sull’utilizzo del cespite, i soci avviavano interlocuzioni — anche in sede assembleare — per ricercare una soluzione: si discuteva, in particolare, di un accordo volto alla “divisione” dell’uso della proprietà tra i soci ovvero di una scissione con ripartizione della proprietà pro-quota. Le trattative, tuttavia, non approdavano ad un’intesa. Secondo la prospettazione dell’attrice, i soci convenuti avrebbero tenuto condotte ostruzionistiche, formulando nel tempo proposte tra loro incompatibili al solo fine di procrastinare lo stato di inerzia gestionale e continuare a occupare l’immobile senza oneri, con ciò provocando l’inoperatività della società. In tale quadro, all’amministratore-socio venivano contestati: conflitto di interessi nell’uso del bene sociale, mancato perseguimento dell’oggetto sociale e violazione del dovere di diligenza.

I convenuti chiedevano il rigetto integrale delle domande svolte, sollevando, in via preliminare, eccezione di incompetenza del Tribunale per effetto della clausola compromissoria statutaria: tutte le controversie attinenti ai rapporti sociali dovevano essere precedute da un tentativo di conciliazione e, in caso di esito negativo, devolute ad arbitri rituali. Nella specie, era stata esperita mediazione presso la Camera Arbitrale di Milano con esito negativo; nondimeno, non era stato instaurato il procedimento arbitrale.

Sul piano fattuale, i convenuti ricostruivano le origini e la funzione dell’ente: società costituita per acquistare e detenere il compendio immobiliare, perseguendo anche finalità di efficienza fiscale e di segregazione del bene rispetto a rischi personali dei soci. Tale teleologia si rifletteva nello statuto, che prevedeva espressamente la possibilità di «tenere in proprietà o in possesso beni immobili». Alla luce dei bilanci (assenza di ricavi tipici), la società veniva qualificata come “società senza impresa” e di mero godimento dei rispettivi appartamenti; in questa prospettiva, i convenuti negavano tanto l’asserita impossibilità di conseguire l’oggetto, quanto la paralisi dell’organo assembleare, ricordando che nel corso dell’ultimo esercizio l’assemblea aveva approvato il bilancio e registrato una partecipazione attiva dei soci.

Quanto alla dinamica negoziale interna, i convenuti respingevano l’addebito di ostruzionismo, sostenendo che l’interesse primario dell’attore fosse quello di disimpegnarsi dalla compagine mediante vendita della quota e che solo in subordine questi avesse accettato ipotesi alternative (scissione o assegnazioni ai soci). In definitiva, secondo la loro impostazione, non ricorrevano le condizioni per lo scioglimento ex art. 2484 c.c., atteso il carattere storico di mero godimento dell’ente, la prosecuzione di una minima gestione compatibile con tale natura e l’assenza di una vera inattività assembleare.

SOLUZIONE

Il Tribunale, chiamato a dirimere il conflitto tra la clausola compromissoria statutaria e l’asserita indisponibilità della causa di scioglimento, accoglie l’eccezione di incompetenza fondata su detta clausola, qualificando l’azione di accertamento dello stato di scioglimento come controversia in materia di rapporti sociali relativa a diritti disponibili e, dunque, devoluta agli arbitri rituali.

La motivazione assume un criterio sostanziale-oggettivo dell’arbitrabilità (artt. 806 e 838-bis c.p.c.): ciò che rileva non è la “materia societaria” in sé, ma la natura del diritto azionato. In questa chiave, il giudice valorizza la signoria della volontà collettiva sullo scioglimento: la società può essere sciolta per deliberazione (art. 2484, n. 6, c.c.), la durata può essere prorogata (n. 1), e talune cause possono essere evitate con modifiche statutarie o ricapitalizzazione (nn. 2 e 4); lo stato di liquidazione è inoltre revocabile (art. 2487-ter c.c.).

Ne discende che l’accertamento dello scioglimento appartiene all’area del diritto disponibile e rientra nella previsione della clausola compromissoria. In tal modo, il Tribunale si discosta dall’impostazione risalente (Cass., 19 settembre 2000, n. 12412) e si colloca nel solco dell’orientamento più recente (Cass., 23 febbraio 2005, n. 3772; 12 settembre 2011, n. 18600; 13 ottobre 2016, n. 20674; 29 maggio 2019, n. 14665; 28 settembre 2020, n. 20462; 5 aprile 2023, n. 9434), secondo cui l’esclusione dell’arbitrabilità postula la tutela di interessi indisponibili mediante norme inderogabili assistite da reazione d’ufficio dell’ordinamento (paradigmaticamente, bilancio/contabilità). Mentre in tema di bilancio il giudice può attivarsi d’ufficio a presidio dei canoni di verità e chiarezza, in tema di scioglimento l’intervento resta necessariamente ad impulso di parte, il che conferma la disponibilità della situazione giuridica. Ne consegue la dichiarazione di incompetenza in favore degli arbitri.

Sebbene contumace, la società è ritenuta litisconsorte necessaria nell’azione di accertamento. Il Tribunale rovescia l’angolo visuale: l’ente non è titolare di un autonomo “diritto ad esistere” contrapposto alla volontà collettiva dei soci, ma è gravata (per il tramite degli amministratori) da un dovere legale di verifica della sussistenza delle condizioni per la prosecuzione dell’attività (art. 2485 c.c.). Tale impostazione, coerente con la natura associativa del vincolo e con la struttura corporativa dell’ente, consente di qualificare la relativa situazione nell’area del diritto disponibile ai fini della compromettibilità.

L’eccezione di arbitrato sollevata dai soli soci determina la devoluzione unitaria della lite agli arbitri in forza dell’art. 102 c.p.c., letta alla luce dell’arbitrato societario (art. 838-bis c.p.c.), che consente l’integrazione del contraddittorio (art. 816-quater c.p.c.) e l’intervento del litisconsorte (art. 816-quinquies c.p.c.). In tale assetto, la disciplina su litispendenza e connessione (art. 819-ter c.p.c.) non opera perché non si tratta di coordinare procedimenti paralleli, bensì di garantire l’unicità necessaria del rapporto processuale.

Di segno diverso la domanda di nomina del liquidatore (alla quale la “messa in liquidazione” non aggiunge rilievo autonomo, giacché la società entra in liquidazione con l’iscrizione della nomina: art. 2487-bis c.c.). La nomina, funzionale all’avvio e alla gestione della fase liquidatoria e predisposta anche a tutela dei creditori in vista della cancellazione (art. 2495 c.c.), non è compromettibile; ed è inammissibile nel giudizio contenzioso per difetto di base normativa di una sentenza costitutiva idonea a “creare” il rapporto società–liquidatore (art. 2908 c.c.). Il rimedio proprio è il procedimento di volontaria giurisdizione (art. 2487, co. 2, c.c.).

Infine, la domanda di rilascio dell’immobile e indennità è rigettata per difetto di legittimazione attiva del socio attore: le prerogative dominicali e i correlati crediti da godimento competono alla società proprietaria.

QUESTIONI

La pronuncia milanese si inserisce in un percorso ormai chiaro: il confine dell’arbitrabilità non corre lungo la “materia societaria” in quanto tale, ma lungo la qualità del diritto azionato. Restano fuori dall’arbitrato solo le situazioni presidiate da norme inderogabili la cui violazione determina una reazione d’ufficio dell’ordinamento — il paradigma, in ambito societario, sono i canoni di verità, chiarezza e precisione del bilancio —; tutto ciò che è, invece, rimodellabile dalla volontà collettiva (delibera di scioglimento, rimozione o evitamento delle cause, revoca della liquidazione) appartiene all’area del disponibile e, dunque, è compromettibile (Cass., 23 febbraio 2005, n. 3772; 12 settembre 2011, n. 18600; 13 ottobre 2016, n. 20674; 5 aprile 2023, n. 9434).

Il sottosistema delle impugnazioni di delibera conferma la traiettoria. La clausola compromissoria statutaria di tenore generale (“tutte le controversie aventi ad oggetto rapporti sociali”) è sufficiente a devolvere anche le impugnazioni senza bisogno di menzionarle espressamente: conta l’oggetto disponibile della pretesa, non il grado di dettaglio della clausola (Trib. Milano, 26 ottobre 2022, n. 8411). In quest’ottica, l’annullabilità ex artt. 2377–2378 c.c. è un sistema di parte (legittimazioni tipiche, termini di decadenza, sostituzione sanante, sospensione su istanza), quindi arbitrabile; il limite odierno all’arbitrabilità delle impugnazioni è qualificato, e si arresta alle nullità “insanabili” e alle ipotesi effettivamente presidiate da tutela d’ufficio (oggetto illecito/impossibile; vizi “pubblicistici” del bilancio) (Trib. Catanzaro, 20 aprile 2022, n. 548).

Proprio il bilancio delimita il perimetro dell’indisponibile: se la censura attinge i canoni di verità/chiarezza/correttezza, la controversia resta allo Stato-giudice; diversamente — quando il rilievo riguarda profili endosocietari non “pubblicistici” — la devoluzione agli arbitri torna praticabile (Cass., 13 ottobre 2016, n. 20674; v. tra i molti: Trib. Torino, 6 settembre 2020; Trib. Bologna, 2 febbraio 2022). La conseguenza pratica è un onere di qualificazione molto accurato del petitum e della causa petendi: evitare automatismi, distinguere i vizi “pubblicistici” (non compromettibili) dai profili interni (compromettibili).

Sul piano soggettivo–processuale, la sentenza mette a fuoco un punto spesso trascurato: nella domanda di accertamento dello scioglimento la società è litisconsorte necessaria, non perché titolare di un ipotetico “diritto ad esistere”, ma per il dovere legale (art. 2485 c.c.) degli amministratori di verificare le condizioni di prosecuzione o scioglimento. Ne discende, in presenza di clausola compromissoria, la devoluzione unitaria all’arbitrato anche se l’ente è contumace e l’eccezione è sollevata dai soli soci: l’art. 102 c.p.c. impone l’unitarietà del contraddittorio, l’arbitrato societario offre gli strumenti di integrazione/intervento (artt. 816-quater e 816-quinquies c.p.c.), mentre litispendenza e connessione sono irrilevanti tra giudizio statuale e arbitrato (art. 819-ter c.p.c.). È una scelta di buona tecnica processuale, che evita duplicazioni e riduce il rischio di nullità del lodo per difetto di contraddittorio.

Il carve-out della nomina del liquidatore resta netto: non è una deroga anti-arbitrato, ma la presa d’atto che la nomina è atto organizzativo della fase liquidatoria con riflessi verso i terzi (creditori in primis) e appartiene fisiologicamente alla volontaria giurisdizione; nel contenzioso ordinario, la domanda è inammissibile per la tassatività delle sentenze costitutive (art. 2908 c.c.). Ne deriva una ripartizione funzionale: arbitrato per le questioni di status societario (qui: an dello scioglimento), volontaria giurisdizione per l’apparato della liquidazione (qui: nomina del liquidatore). Quanto alla tutela cautelare, dopo la riforma Cartabia, la sospensione dell’efficacia delle delibere impugnate spetta ex lege agli arbitri (art. 838-ter, co. 4, c.p.c.), con reclamo alla Corte d’appello (art. 818-bis c.p.c.) e attuazione davanti al Tribunale (art. 818-ter c.p.c.). Per le altre misure cautelari, la competenza diviene esclusiva dell’arbitrato solo se le parti abbiano attribuito agli arbitri il potere cautelare ex art. 818 c.p.c.; prima della costituzione del collegio resta ferma la competenza del giudice (art. 669-quinquies c.p.c.), nonché quella sul reclamo/attuazione dei provvedimenti.

Resta, tuttavia, una criticità sistemica: nelle liti ibride (scioglimento intrecciato a profili di bilancio o ad altre nullità “officiose”) l’avvocato deve scomporre ex ante i capi di domanda e muoversi fra foro arbitrale e foro statuale, con costi maggiori, tempi più lunghi e rischio di frammentazione. L’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente impone questo “doppio binario”; una parte della dottrina (L. Salvaneschi, L’arbitrato societario, in M. Rubino-Sammartano (a cura di), Arbitrato, ADR e conciliazione, Bologna, 2009, p. 202; Id., Arbitrato, sub art. 817 c.p.c., in S. Chiarloni (a cura di), Commentario del c.p.c., 2014, pp. 561 ss.; A. Graziosi, Oggetto e limiti del processo arbitrale, in L. Salvaneschi – A. Graziosi (a cura di), L’arbitrato, 2023; I. Capelli, La disponibilità dei diritti nelle controversie societarie, Orizzonti del diritto commerciale, 1/2021)  ha, però, proposto letture estensivo-sistematiche fondate su separabilità e competenza-competenza (artt. 808-quater e 817 c.p.c.), ammettendo la cognizione arbitrale almeno sulle impugnazioni relative alla clausola e alle eccezioni di arbitrabilità In attesa di un riassetto normativo, la mitigazione più efficace passa dalla tecnica redazionale e dalla strategia:

– clausole statutarie ampie e chiare che prevedano trattazione unitaria in arbitrato e integrazione del contraddittorio (con rinvio agli artt. 816-quater/quinquies c.p.c. e all’art. 838-bis c.p.c.);

– una clausola di sequenza (“arbitrate-first”): prima arbitrato sull’accertamento dei capi disponibili, poi — se del caso — volontaria giurisdizione per gli atti riservati (es. nomina del liquidatore);

– la scelta di regolamenti arbitrali istituzionali che consentano joinder e, nei limiti regolamentari, consolidation tra arbitrati connessi;

– patti inter partes sulle spese in caso di biforcazione necessaria.

Sul piano applicativo, il messaggio è lineare: scomporre analiticamente domande e capi (all’arbitrato i profili disponibili, al giudice quelli indisponibili), indicare con precisione petitum e causa petendi, e — quando il tema è il bilancio — chiarire se si invocano davvero i canoni pubblicistici (non arbitrabili) o profili interni al rapporto sociale (arbitrabili). Così si preserva la definizione unitaria ed efficace che l’arbitrato societario può offrire, riducendo il più possibile gli effetti collaterali — inevitabili ma governabili — del “doppio binario”.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Come recuperare i crediti con lo strumento della mediazione civile e commerciale