9 Settembre 2025

Vessatorietà della clausola “no pets” nel contratto di locazione

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Corte d’Appello di Napoli, Sez. VI, 13.03.2025, n.1254 – Pres. D’Amore – Rel. Magistro

Contratto di locazione – Animali da compagnia – Clausole contrattuali – Clausola vessatoria ex art. 1341 c.c. – Autonomia privata – Risoluzione per inadempimento

[1] La clausola contrattuale che prevede il divieto di detenere animali non può essere considerata vessatoria ai sensi dell’art. 1341 c.c., purché tale divieto sia stato approvato consensualmente dalle parti contraenti e non sia unilaterale. Pertanto, dette clausole non risultano nulle per violazione dei diritti di autonomia e solidarietà tutelati dalla Costituzione.

CASO

I proprietari di un immobile ad uso abitativo convenivano in giudizio la conduttrice del medesimo, chiedendo che venisse accertata la violazione dell’art. 7 del contratto di locazione, che prevedeva espressamente il divieto di detenere animali all’interno dell’appartamento locato. Gli attori allegavano che la conduttrice non solo deteneva presso l’immobile alcuni cani, anche di grossa taglia, ma che questi venivano lasciati espletare i propri bisogni sul balcone, con conseguente deflusso delle deiezioni negli spazi comuni condominiali, arrecando grave pregiudizio igienico e disagio agli altri condomini dei piani superiori.

Il Tribunale adito, ritenendo provato l’inadempimento contrattuale e valutandone la gravità, accoglieva la domanda attorea e disponeva la risoluzione del contratto di locazione, con ordine di rilascio dell’immobile.

Avverso tale pronuncia proponeva appello la conduttrice, contestando l’erroneità della valutazione circa la gravità della condotta e sostenendo che la presenza degli animali era stata tollerata sin dall’instaurarsi del rapporto contrattuale.

Gli appellati, dal canto loro, proponevano appello incidentale, al fine di far dichiarare espressamente la validità e non vessatorietà della clausola contrattuale, che vietava la detenzione di animali.

SOLUZIONE

La pronuncia in esame affronta il tema della validità delle clausole contrattuali di divieto di detenzione di animali da compagnia nei contratti di locazione e le implicazioni della loro violazione, ai fini della risoluzione del contratto. La Corte d’Appello di Napoli esclude la natura vessatoria della clausola, ne conferma la validità come espressione dell’autonomia contrattuale e nega che la sua inosservanza integri un inadempimento di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto, valorizzando i principi di proporzionalità, tolleranza e buona fede.

QUESTIONI

La Corte d’Appello di Napoli affronta, con la pronuncia in commento, una delicata questione giuridica, che coinvolge l’autonomia contrattuale, la tutela degli animali da compagnia e l’inadempimento contrattuale.

In particolare, vengono esaminati due aspetti: se la clausola, contenuta in un contratto di locazione, che vieta al conduttore di detenere animali nell’immobile locato, sia valida oppure no, e se la violazione della clausola, limitativa della libertà del conduttore, integri un inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto.

Quanto al primo aspetto, secondo l’appellante, la clausola de quo dovrebbe rientrare tra quelle considerate vessatorie ex art. 1341, co. 2, c.c., con conseguente inefficacia in assenza di specifica approvazione per iscritto.

La Corte, tuttavia, esclude la vessatorietà della clausola, che nel caso di specie: non impone limitazioni di responsabilità, non attribuisce facoltà unilaterali di recesso, non introduce decadenze o restrizioni alla libertà contrattuale in senso tecnico.

Com’è noto, una clausola vessatoria è una clausola particolarmente gravosa e squilibrata che, per essere valida, richiede una specifica approvazione per iscritto. L’articolo 1341, 2 co., c.c. elenca tassativamente tali clausole e, come affermato dalla sentenza in commento, il divieto di detenere animali non rientra in questo elenco.

La clausola all’attenzione della Corte si configura, invece, come una pattuizione accessoria, concernente l’uso dell’immobile locato, rientrando nella disciplina pattizia tra le parti.

La Corte di merito, pertanto, correttamente qualifica la clausola in questione come lecita espressione dell’autonomia privata ex art. 1322 c.c., purché non imposta unilateralmente in difetto di contrattazione.

La conduttrice, poi, a giustificazione della propria tesi, richiama una serie di fonti normative, tra cui: la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia (L. n. 201/2010), l’art. 1138, co. ult., c.c., l’art. 2 Cost.

La Corte, pur riconoscendo la progressiva centralità della tutela animale nel nostro ordinamento, esclude che tali disposizioni possano intaccare, in via generale, l’efficacia di clausole limitative pattuite consensualmente tra le parti.

Inoltre, la Corte valorizza il principio di cui all’art. 42 Cost., che tutela la proprietà privata anche nella sua dimensione dinamica, ivi inclusa la facoltà del proprietario di imporre limiti contrattuali all’uso del bene.

La Corte di merito, infine, ricorda che, sebbene l’art. 1138, ultimo comma, c.c., stabilisca che “le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali da compagnia”, la Suprema Corte di Cassazione aveva già, prima della riforma in tema di condominio, precisato che, sebbene il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non possa essere contenuto negli ordinari regolamenti condominialiapprovati dalla maggioranza dei condomini, non potendo detti regolamenti limitare le facoltà comprese nel diritto di proprietà dei condomini sulle porzioni del fabbricato ai medesimi appartenenti in proprietà esclusiva (3705/2011), tali divieti possono assumere natura contrattuale, in quanto contenuti in clausole, approvate e modificate con il consenso unanime dei comproprietari, dovendo necessariamente rinvenirsi nella volontà dei singoli la fonte giustificatrice di atti dispositivi incidenti nella loro sfera giuridica (3705/2011).

Quanto al secondo aspetto, vale a dire se la violazione della clausola, limitativa della libertà del conduttore, integri un inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto, la Corte, pur avendo stabilito la piena validità della clausola, nega la risoluzione del contratto.

Il motivo risiede in un principio cardine del nostro ordinamento, quello sancito dall’articolo 1455 c.c., secondo cui un contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha “scarsa importanza”, avuto riguardo all’interesse dell’altra.

Per giungere a tale conclusione, la Corte esamina una serie di elementi, arrivando a concludere che:

  • la clausola violata riguarda un’obbligazione accessoria, (come il divieto di stendere il bucato o di fare rumore);
  • l’interesse del locatore all’esatto adempimento non risulta compromesso in misura rilevante;
  • vi è stata una tolleranza pregressa da parte del locatore, che ben conosceva la presenza degli animali, sin dall’inizio del rapporto;
  • la prova testimoniale non ha evidenziato un pregiudizio oggettivamente grave o insostenibile.

Da ultimo, la Corte di merito richiama il principio per cui l’invio della diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. non esonera dalla verifica giudiziale sulla gravità dell’inadempimento, né trasforma automaticamente un inadempimento “minore” in un inadempimento risolutivo.

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte d’appello napoletana, in totale riforma della sentenza di primo grado, e pur riconoscendo la validità e non vessatorietà della clausola, ha accolto l’appello della conduttrice.

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