2 Settembre 2025

Legittimazione processuale in materia di condominio nelle cause scindibili: litisconsorzio facoltativo

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sentenza del 27 ottobre 2022 n. 31827, Prima Sezione Civile, Giudice Dott.ssa A. Casalini, rel. Scarpa.

Massima: Allorché più condomini agiscono nello stesso processo verso altro condomino o verso un terzo sia per la cessazione delle immissioni a tutela della rispettiva unità immobiliare di proprietà esclusiva, sia a difesa della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, sicché, ove l’appello avverso la sentenza di primo grado, che abbia rigettato tutte le domande, sia proposto soltanto da alcuni degli attori originari, trova applicazione l’art. 332 c.p.c. e le pronunce non impugnate nei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. divengono irrevocabili. Ne consegue che il condomino, rimasto soccombente in primo grado e che non abbia avanzato gravame in ordine alla domanda da lui spiegata, non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini; peraltro, allorché detto appello sia accolto, tanto meno egli può ricorrere per cassazione, stante il difetto di soccombenza, restando eventualmente legittimato, ove la sentenza pronunciata nei rapporti tra le parti rimaste in causa abbia pregiudicato i suoi diritti, a proporre l’opposizione di terzo ai sensi dell’art 404, comma 1, c.p.c., oppure a proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ove lamenti che sia l’esecuzione del titolo formatosi “inter alios” ad incidere sulla sua posizione...

CASO

Nove proprietari di singoli distinti appartamenti insistenti nel Condominio Beta, convennero con citazione del 7 settembre 1993 davanti al Tribunale di Salerno Tizia e Caio.

Tizia in quanto proprietaria dei locali al piano terra dell’edificio dove Caio svolgeva attività di ristorazione.

Gli attori condomini chiedevano che venissero dichiarate illegittime le aperture praticate dai convenuti sulla facciata dell’edificio utilizzate per l’installazione di una canna fumaria e la condanna di Tizia e Caio al ripristino dello status quo ante dei luoghi oggetto di lite.

Il Tribunale di Salerno con sentenza n. 99 del 2006 rigettava le domande volte all’eliminazione delle due aperture realizzate nel muro condominiale e delle canne fumarie installate, e quella volta al risarcimento dei danni subiti, dichiarando per la parte residuale cessata la materia del contendere.

Soccombenti in primo grado tutti gli attori, solamente due su nove condomini, in particolare Sempronio e Calpurnio interponevano appello avverso la sentenza di primo grado nei confronti di Tizia e Caio, mentre tutti gli altri attori originari rimasero contumaci in sede di gravame.

Nel giudizio di gravame la Corte d’appello di Salerno – esperita la Consulenza Tecnica d’Ufficio – accoglieva parzialmente l’appello di Sempronio e Calpurnio, ha condannato Tizia ad eseguire le opere di adeguamento, indicate dal consulente tecnico d’ufficio, relative alle due canne fumarie che si diramano fino al terrazzo, al fine di rendere le stesse conformi al richiamato regolamento del Comune nonchè ad eliminare la terza canna fumaria.

Mevio (un condomino tra gli attori in primo grado) proponeva ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 11/2017 della Corte d’appello di Salerno, depositata il 3 gennaio 2017.

Tutti gli intimati, indicati in epigrafe, non hanno svolto attività difensive.

Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme di cui al Decreto Legge n. 137 del 28 ottobre 2020, articolo 23, comma 8-bis, convertito con modificazioni dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione dichiarava integralmente inammissibile il ricorso promosso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 115 del 2002, dava atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

QUESTIONI

Con il primo motivo del ricorso Mevio denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., dell’art. 41, comma 3, Cost, degli artt.832 e ss. c.c., degli artt. 873 e ss. c.c., dell’art. 890 c.c. e del “regolamento del Comune in materia di distanze“.

Denunciava altresì la mancanza, contraddittorietà, manifesta illogicità della motivazione, travisamento dei fatti e della prova, violazione del divieto di ius novorum e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

Segnatamente gli appellanti Sempronio e Calpurnio avrebbero introdotto nel giudizio del gravame “una domanda nuova” avuto riguardo alla causa petendi rispetto alle distanze delle canne fumarie previste dai regolamenti comunali, e che peraltro la Corte distrettuale sarebbe incorsa in vizio di ultrapetizione rispetto alle domande proposte ai sensi degli artt. 1102 e 844 c.c., avendo essa disposto “una regolarizzazione e ricollocazione delle canne fumarie”.

La diversa localizzazione delle canne fumarie ordinata dalla Corte d’appello di Salerno avrebbe determinato la lesione della proprietà del condomino Mevio, rimasto contumace in appello, in quanto l’appartamento del ricorrente verrebbe pregiudicato sia dalla canna fumaria già presente sul lato nord del condominio e sia dalla collocazione aggiuntiva della canna fumaria sul lato verso il mare del forno pizze, essendo in aggiunta necessaria l’autorizzazione paesaggistica per lo spostamento dell’impianto.

Con il secondo motivo di ricorso, Mevio denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., dell’articolo 41, comma 3, Cost, degli artt. 832 e ss. c.c., degli artt. 873 e ss. c.c., dell’artt. 890 c.c. e del “regolamento del Comune in materia di distanze“, in questo caso in ragione della lesione della proprietà di Mevio, ed in particolare per i danni arrecati al lastrico solare della sua abitazione che è sul lastrico solare della sua abitazione.

Con terzo e ultimo motivo del ricorso di Mevio denuncia sempre la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., dell’articolo 41, comma 3, Cost, degli artt. 832 e ss. c.c., degli articoli 873 e ss. c.c., dell’artt. 890 c.c. e del “regolamento del Comune in materia di distanze“, stavolta per la violazione delle distanze (in particolare, la distanza di almeno 10 metri fra canne fumarie e finestre stabilita dal Regolamento del Comune di Beta).

La Corte di Cassazione rilevava che i tre motivi del ricorso di Mevio dovessero essere esaminati congiuntamente, in quanto accomunati da un profilo unitario di inammissibilità.

In materia di condominio negli edifici, ogni singolo condomino/comunista ha la facoltà – precisamente legittimazione processuale – ad esercitare senza litisconsorzio necessario con la restante compagine condominiale, le azioni a tutela della proprietà individuale (nella specie, la domanda di cessazione delle immissioni moleste provenienti da un locale adibito ad esercizio commerciale sito nell’edificio in condominio), nonchè le azioni a difesa della cosa comune – “domanda a natura reale ex art. 1102 c.c., avente quale fine il ripristino dello status quo ante del muro condominiale illegittimamente alterato dalla realizzazione di aperture e dalla installazione di canne fumarie” – nonché nei confronti di soggetti terzi e nei confronti di ogni alto singolo partecipante alla comunione[1].

Nel caso che occupa la presente controversia, se più comunisti/condomini promuovo azione nella stressa controversia verso un altro condomino ovvero contro un terzo a difesa del proprio diritto di proprietà ovvero dei beni comuni – che sia per ottenere la cessazione delle immissioni lamentate che sia in ragione dell’art. 1102 c.c. – si realizza una fattispecie di litisconsorzio facoltativo previsto all’altro 103 c.p.c. il quale dispone che “più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni”.

Da tale condizione di litisconsorzio facoltativo discende come logica conseguenza “dell’autonomia delle singole correlative cause, non sussistendo un rapporto unico e indivisibile, tale che il giudice non possa conoscere utilmente della posizione di uno separatamente dalla posizione degli altri[2].

Pertanto, trattandosi di cause scindibili, la sentenza che definisce il giudicio è solo “formalmente unica, perché in realtà, tali cause conservano, anche nella fase di impugnazione, la loro autonomia[3]; con la conseguenza che se, come nel caso in esame, vengano rigettate dal giudice di prima istanza tutte le domande dei diversi condomini attori e successivamente il gravame sia interposto unicamente da una parte dei soccombenti nei confronti dei convenuti in primo grado, si applicherà l’art. 332 c.p.c., e le pronunce sulle domande non impugnate tempestivamente nei termini di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., “divengono irrevocabili, non rilevando, in senso contrario, l’eventualità che la prosecuzione del giudizio di gravame porti ad un esito favorevole, potenzialmente idoneo a riflettersi anche nella sfera giuridica di coloro che non hanno avanzato appello[4].

Orbene il condomino Mevio, rimasto soccombente in primo grado e che non abbia interposto gravame in relazione alla domanda da lui spiegata, non può poi dedurre quali motivi di ricorso alla Corte di legittimi questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini, come nella specie da Sempronio e Calpurnio dal momento che “in sede di legittimità tali questioni sono “nuove” rispetto a lui e, quindi, inammissibili[5].

Inoltre laddove, come nel caso di specie, venisse accolto il gravame proposto solamente da alcuni attori originari nei confronti dei convenuti in comune in una lite relative a domande tra di loro scindibili. La restante parte degli attori, “nei cui confronti era passata in giudicato la pronuncia di rigetto resa in primo grado, tanto meno possono proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia accolto l’appello, stante il difetto di soccombenza sostanziale, non trattandosi di parti destinatarie dell’accoglimento di domande o eccezioni avverse o che abbiano visto respinte le domande ed eccezioni da loro formulate”.

L’odierno ricorrente non intendeva contestare una soccombenza conseguente all’accogliento di una domanda proposta nei suoi confronti in grado di appello da parte degli appellanti bensì al contrario contestare “le modalità di condanna alle opere di riduzione in pristino, riposizionamento ed adeguamento delle canne fumarie resa dalla Corte d’appello”.

Il ricorrente non avendo proposto impugnazione nei termini previsti dal codice di rito, è pertanto soggetto al giudicato sostanziale formatosi rispetto alla sentenza di primo grado; al contempo rispetto alla sentenza di appello, la stessa è idonea ad acquisire valore di cosa giudicata solo rispetto al distinto rapporto intercorrente tra Sempronio, Calpurnio e Tizia e Caio, con conseguente inammissibilità del relativo ricorso per cassazione promosso da Mevio.

Invero, laddove la ridetta pronuncia avesse prodotto effetti pregiudizievoli in danno dell’odierno ricorrente il medesimo avrebbe al contrario ben potuto proporre impugnazione per opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c.; ovvero, “ove invece si assumesse che sia l’esecuzione del titolo formatosi inter alios a poter incidere sulla proprietà, al di fuori dell’oggetto previsto nella statuizione giudiziale, questi potrebbe allora opporsi nelle forme dell’art. 619 c.p.c.[6].

Così concludendo la Corte di Cassazione emetteva il seguente principio di diritto: “allorchè più condomini agiscono nello stesso processo verso altro condomino o verso un terzo sia per la cessazione delle immissioni a tutela della rispettiva unità immobiliare di proprietà esclusiva, sia a difesa della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c., si determina una ipotesi di litisconsorzio facoltativo in cause scindibili, sicchè, ove l’appello avverso la sentenza di primo grado, che abbia rigettato tutte le domande, sia proposto soltanto da alcuni degli attori originari, trova applicazione l’art. 332 c.p.c. e le pronunce non impugnate divengono irrevocabili. Ne consegue che il condomino rimasto soccombente in primo grado e che non abbia avanzato gravame in ordine alla domanda da lui spiegata, non può dedurre quali motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi di ricorso per cassazione questioni che abbiano formato oggetto di motivi specifici di appello proposti da altri condomini; peraltro, allorhcè detto appello sia accolto, tanto meno egli può ricorrere per cassazione, stante il difetto di soccombenza, restando eventualmente legittimato, ove la sentenza pronunciata nei rapporti tra le parti rimaste in causa abbia pregiudicato i suoi diritti, a proporre l’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 4040, comma 1, c.p.c., oppure a proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, ai sensi dell’art. 619 c.p.c., ove lamenti che sia l’esecuzione del titolo formatosi inter alios ad incidere sulla sua posizione”.

Per tali ragioni la Corte di Cassazione rigettava il ricorso ritenendolo integralmente inammissibile.

[1] Cass. Civ. n. 3435/03

[2] Cass. Civ. n. 41490/21

[3] Cass. Civ. n. 12703/03

[4] Cass. Civ. n. 41490/21

[5] Cass. Civ, n. 14700/10

[6] Cass. Civ. SS. UU. n. 1238/15

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