15 Luglio 2025

Ammissibilità dell’eccezione di arbitrato irrituale

di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDF

Tribunale di Ragusa, 11 giugno 2025, n. 890

[1] Arbitrato – Arbitrato irrituale – Eccezione di compromesso – Natura – Rilevabilità

Massima: “L’eccezione di compromesso non pone un problema di competenza ma di merito per ogni tipo di arbitrato, atteso che sia l’arbitrato rituale che quello irrituale costituiscono espressione della stessa autonomia negoziale, essendo liberi gli interessati di sottoporre la loro controversia su diritti ad uno o più privati, anziché ai Giudici dello Stato, e differenziandosi tra di loro solo in ordine alla previsione dell’eventualità dell’omologazione del lodo, parametrata sulle regole di controllo di una sentenza civile.”

CASO

[1] Il socio accomandante di una s.a.s., dopo aver estinto un finanziamento erogato a favore della società medesima, otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti della s.a.s. e del suo socio accomandatario per la restituzione di quanto versato.

Avverso il decreto monitorio il socio debitore, agendo in proprio e quale accomandatario della s.a.s., proponeva opposizione, richiedendo la revoca e l’annullamento del decreto ingiuntivo. Per quanto di interesse ai fini del presente commento, il socio accomandante opposto, costituendosi in giudizio, eccepiva, tra l’altro, l’incompetenza dell’adito Tribunale di Ragusa a conoscere dei motivi di opposizione aventi riguardo all’interpretazione e all’esecuzione del contratto societario in ragione della clausola compromissoria per arbitrato irrituale contenuta nello statuto della società.

SOLUZIONE

[1] In via preliminare, il Tribunale di Ragusa dichiarava inammissibile, per tardività, l’eccezione sollevata dall’opposto relativa all’esistenza di una clausola compromissoria nel contratto sociale. Nell’argomentare tale decisione, il Tribunale richiamava sia la pronuncia di Cass. civ., 30 dicembre 2003, n. 19865, secondo la quale “l’eccezione di compromesso non pone un problema di competenza ma di merito per ogni tipo di arbitrato, atteso che sia l’arbitrato rituale che quello irrituale costituiscono espressione della stessa autonomia negoziale, essendo liberi gli interessati di sottoporre la loro controversia su diritti ad uno o più privati, anziché ai giudici dello Stato, e differenziandosi tra di loro solo in ordine alla previsione dell’eventualità dell’omologazione del lodo, parametrata sulle regole di controllo di una sentenza civile”; sia l’arresto di Cass. civ., 4 marzo 2011, n. 5265, che aveva a suo tempo chiarito che “l’improcedibilità della domanda a causa della previsione d’una clausola compromissoria per arbitrato irrituale è rilevabile non già d’ufficio, ma solo su eccezione della parte interessata”.

Nel caso di specie, tale eccezione è stata ritenuta tardiva in quanto l’opposto si è costituito oltre il termine previsto dall’art. 167 c.p.c. per la proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.

QUESTIONI

[1] Imprescindibile allo scopo di correttamente inquadrare la vicenda giuridica decisa dal Tribunale di Ragusa è ricostruire la natura dell’arbitrato. A tal proposito, è ampiamente noto come occorra distinguere a seconda che si tratti di arbitrato rituale ovvero (come nel caso di specie) di arbitrato irrituale.

Muovendo dalla prima tipologia di arbitrato, si ricorda come un orientamento più risalente – espresso, emblematicamente, da Cass. civ., sez. un., 3 agosto 2000, n. 527 (reperibile su Corr. giur., 2001, 51 ss., con note di M. Marinelli, G. Ruffini e C. Consolo, Le Sezioni Unite fanno davvero chiarezza sui rapporti tra arbitrato e giurisdizione; in Riv. dir. proc., 2001, 254 ss., con nota di E.F. Ricci, La “natura” dell’arbitrato rituale e del relativo lodo: parlano le Sezioni Unite) -, avesse chiarito come il procedimento arbitrale fosse da riguardare come ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale, risultando fondato sul consenso delle parti e provenendo, la relativa decisione, da soggetti privati radicalmente privi di potestà giurisdizionale d’imperio.

Impatto dirompente su tale filone interpretativo, maturato nel solco di autorevolissima dottrina (in particolare, C. Punzi, La riforma dell’arbitrato (osservazioni a margine della legge 9 febbraio 1983, n. 28), in Riv. dir. proc., 1983, 78 ss.; E. Fazzalari, voce Arbitrato (teoria generale e diritto processuale), in Dig. Civ., I, Torino, 1987, 400 ss.) è stato tuttavia esercitato dalla riforma dell’arbitrato intervenuta nel 2006: in particolare, con l’introduzione dell’art. 824-bis c.p.c. il quale, disciplinando l’efficacia del lodo, espressamente prevede che, salvo quanto disposto dall’art. 825 c.p.c. – ossia, la necessità di exequatur giudiziale al fine di poterlo azionare quale titolo esecutivo – «il lodo ha dalla data della sua ultima sottoscrizione gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria». La piana e completa equiparazione, quoad effectum, del lodo arbitrale rituale alla sentenza giurisdizionale, pur senza exequatur giudiziale, è stata così consacrata expressis verbis dal nostro legislatore, conseguentemente innescando, all’interno della giurisprudenza di legittimità, un ripensamento del proprio precedente orientamento. Tale revirement ha trovato espressione nella nota pronuncia di Cass. civ., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24153 (reperibile in Nuova giur. civ. comm., 2014, 169 ss., con nota di A. Giussani, Intorno alla deducibilità ex art. 41 cod. proc. civ. dell’eccezione contestata di compromesso per arbitrato estero), dove si è chiarita, tra l’altro, la natura giurisdizionale dell’attività svolta dagli arbitri rituali, in quanto tale sostitutiva della funzione del giudice ordinario.

Trascorrendo all’arbitrato irrituale, allo stesso, all’opposto, è stata sempre e pacificamente riconosciuta natura esclusivamente negoziale: mediante la convenzione di arbitrato irrituale, in altri termini, le parti attribuirebbero a terzi il potere di addivenire, in loro vece, a una composizione della controversia avente valore meramente negoziale, che le parti di impegnano anticipatamente ad accettare quale diretta espressione della loro volontà (così, tra le molte, Cass. civ., 28 giugno 2000, n. 8788; Cass. civ., 10 novembre 2006, n. 24059; Cass. civ., 5 dicembre 2012, n. 21689).

L’inquadramento dogmatico offerto alle due figure di arbitrato si riflette, evidentemente, sulla natura della corrispondente eccezione di arbitrato.

Di nuovo, prendendo le mosse dall’arbitrato rituale, il rinnovato inquadramento dogmatico offertogli dalla riforma del 2006 ha trovato un corrispettivo nella disciplina dettata dal codice di rito in materia di rapporti tra arbitri e autorità giudiziaria.

Il riferimento è all’art. 819-ter c.p.c., il quale equipara le questioni concernenti l’esistenza della potestas iudicandi in capo agli arbitri alle questioni di competenza: da un lato, infatti, l’eccezione di compromesso arbitrale viene assoggettata al medesimo regime processuale proprio dell’eccezione di incompetenza per territorio derogabile; dall’altro, è prevista l’impugnabilità, tramite regolamento di competenza, della sentenza con cui il giudice ordinario, pronunciando su tale eccezione, affermi o neghi la propria competenza.

La definitiva equiparazione della questione concernente la potestas iudicandi degli arbitri a quella di competenza è poi avvenuta grazie alla pronuncia di Corte Cost., 16 luglio 2013, n. 223 (in Corr. giur., 2013, 1107, con nota di C. Consolo, Il rapporto arbitri-giudici ricondotto, e giustamente, a questione di competenza con piena translatio fra giurisdizione pubblica e privata e viceversa), la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 dell’art. 819-ter c.p.c., nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti a quelle fissate dall’art. 50 c.p.c., così ammettendo la translatio iudicii nei rapporti tra arbitrato e processo ordinario.

Tale mutamento del quadro sistematico di riferimento ha condotto la giurisprudenza di legittimità a tornare anche sul tema della natura giuridica dell’eccezione di arbitrato. L’orientamento più recente, infatti, muovendo dalla natura giurisdizionale dell’arbitrato e della sua funzione sostitutiva della giurisdizione ordinaria, afferma il carattere processuale dell’eccezione di compromesso, integrante una questione di competenza (in tal senso, tra le molte, Cass. civ., 6 novembre 2015, n. 22748; Cass. civ., 28 febbraio 2019, n. 5824).

Si tratta, in ogni caso, di eccezione equiparabile a quella per territorio derogabile, con il conseguente onere per la parte convenuta di sollevarla, a pena di decadenza, all’interno della comparsa di risposta tempestivamente depositata.

Più lineare, all’opposto, è la sorte dell’eccezione di arbitrato irrituale: trattandosi di strumento avente natura esclusivamente negoziale, e scontata l’inapplicabilità dell’art. 819-ter c.p.c., dettato per l’arbitrato rituale (ma contra, in dottrina, B. Sassani, voce Arbitrato irrituale, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., I, Torino, 2007, 116 ss.), l’eccezione in discorso non potrà che essere inquadrata (come correttamente effettuato dal Tribunale di Ragusa) come eccezione di merito, ossia quale eccezione in senso stretto, da sollevare, a pena di decadenza, in sede di comparsa di risposta tempestivamente depositata (con conseguente inammissibilità, nel caso di specie, dell’eccezione tardivamente proposta; conf., Trib. Bari, 27 settembre 2023, n. 3728; Trib. Napoli, 30 ottobre 2020, n. 7174). Nel dettaglio, la questione relativa all’appartenenza di una controversia alla cognizione del giudice ordinario o dell’arbitro irrituale integrerebbe una questione relativa (non all’incompetenza, bensì) alla proponibilità della domanda, in quanto con la stipula del patto compromissorio irrituale le parti determinerebbero una rinuncia convenzionale all’azione e alla tutela giurisdizionale (così, Cass., civ., 27 marzo 2007, n. 7525; Cass. civ., 27 ottobre 2008, n. 25770; più recentemente, Cass. civ., 10 giugno 2024, n. 16071).

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