8 Giugno 2021

Pandemia, locazioni commerciali e obbligo di rinegoziazione

di Abigail Owusu, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Roma, Sez. VI, sent., 19 febbraio 2021 – Est. Corrias

Parole chiave:

Contratti di locazione ad uso non abitativo – pandemia – buona fede – correttezza – equità – obbligo di rinegoziazione – risoluzione del contratto per inadempimento

Al di là delle ipotesi espressamente previste dalla legge, deve escludersi la possibilità per il giudice di modificare le condizioni economiche dei contratti di locazione riducendo i relativi canoni, in quanto né l’art. 1374 c.c. né il dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto né il dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 Cost. consentono di ritenere esistente nel nostro ordinamento un obbligo di rinegoziazione dei contratti divenuti svantaggiosi per taluna delle parti, ancorché in conseguenza di eventi eccezionali ed imprevedibili [Massima non ufficiale].

Disposizioni applicate:

Artt. 1175, 1366, 1374, 1375 c.c.; art. 2 Cost.; art. 3, comma 6 bis, D.l. 23.02.2020, n. 6; art. 216 d.l. 19.05.2020, n. 34

CASO

La società Alfa e la società Beta stipulavano un contratto mediante il quale la prima concedeva in locazione alla seconda un immobile di sua proprietà, per la gestione di una palestra e una piscina.

A fronte del mancato pagamento dei canoni scaduti relativi ai mesi da febbraio a luglio 2020, la società Alfa intimava alla società Beta lo sfratto per morosità chiedendo al Tribunale di Roma di accertare e dichiarare la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della conduttrice e conseguentemente di condannare la medesima alla restituzione dell’immobile locato, al pagamento dei canoni scaduti e a scadere fino al rilascio, oltre alla rifusione delle spese di lite.

Costituitasi in giudizio, la società Beta eccepiva anzitutto che gli inadempimenti lamentati dalla società locatrice non potevano essere considerati di gravità tale da legittimare la risoluzione del contratto in considerazione dell’eccezionalità della situazione venutasi a creare a causa della legislazione emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19, la cui osservanza aveva determinato dapprima un azzeramento degli incassi e successivamente una loro diminuzione. La società convenuta chiedeva dunque al Tribunale di respingere le domande avversarie e riequilibrare il sinallagma contrattuale alteratosi per effetto delle restrizioni antipandemia, mediante una congrua riduzione del canone locatizio.

SOLUZIONE

Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento della conduttrice, condannando quest’ultima alla restituzione dell’immobile locato. È stata in particolare respinta la domanda avanzata da quest’ultima avente ad oggetto il riequilibrio del sinallagma contrattuale alteratosi per effetto della legislazione emergenziale rilevata l’assenza, nel nostro ordinamento, di norme o principi generali che, al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore, attribuiscano al giudice un potere di riequilibrio del sinallagma contrattuale, autorizzandolo a sostituire o integrare gli accordi liberamente stipulati dalle parti.

QUESTIONI

Affrontando il problema della distribuzione del rischio delle sopravvenienze da Covid-19 nei rapporti contrattuali di durata e, segnatamente, in quelli di locazione di immobili a uso non abitativo, la decisione in commento muove dalla constatazione secondo la quale deve escludersi, al di fuori delle ipotesi specificamente indicate, l’esistenza nel nostro ordinamento di un potere del giudice di riequilibrio dei sinallagmi contrattuali, ancorché alterati da fatti sopravvenuti e imprevedibili (sul tema della rinegoziazione del contratto sia consentito il rinvio a P. Gallo, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992; Id., voce La revisione del contratto, in Digesto Civ., IV ed., XVII, Torino, 1998, p. 431 ss.; F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996; V. Roppo, Il contratto, Milano, 2001, p. 1041 ss.; E. Tuccari, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Padova, 2018).

Ripercorrendo alcune pronunce della Corte di Cassazione in argomento, la sentenza evidenzia come l’art. 1374 c.c. e i principi di buona fede, correttezza e solidarietà sociale, nell’imporre a ciascuna parte di un rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, esplichino la loro rilevanza esclusivamente nei limiti dell’interesse proprio (Cass. civ., n. 23069/2018, in Pluris; Cass. civ., n. 17642/2012, in Pluris).

Dagli insegnamenti della Corte di Cassazione emergerebbe altresì che la portata integrativa del principio di buona fede e correttezza sarebbe circoscritta alle clausole contrattuali ambigue (Cass. civ., n. 6747/2014, in Foro it., 2014, c. 3555), ai testi contrattuali lacunosi (Cass. civ., n. 1884/1983, in Mass. Giur. it., 1983), e ai casi non previsti dalle parti al momento della stipula del contratto, i quali andrebbero regolati ricercando quella che sarebbe stata la loro volontà qualora si fosse prospettata la situazione venutasi a creare (Cass. civ., n. 3065/1972). In tale ottica, la conservazione del contratto non potrebbe mai comportare una interpretazione sostitutiva della volontà delle parti (Cass. civ., n. 19493/2018, in Pluris).

Il giudicante osserva inoltre che nei casi in cui la Suprema Corte ha ritenuto determinate condotte illecite o abusive per violazione del dovere di correttezza e buona fede contrattuale in materia societaria, bancaria, di abuso del diritto e di contratti autonomi di garanzia, si sia limitata a sancire la nullità o l’inefficacia della clausola o dell’atto ovvero, in alcuni casi, unicamente il diritto al risarcimento dei danni e non anche la sostituzione della regola negoziale con una regola elaborata dal giudice (Cass. civ., n. 9321/2000, in Corr. giur., 2000, p. 1479 ss.).

La sentenza evidenzia altresì come il sistema preveda rimedi generali per il caso di sopravvenienza di eventi che modifichino l’equilibrio sinallagmatico, ma con modalità non confacenti alle esigenze della società convenuta, trattandosi di istituti che hanno un carattere sostanzialmente caducatorio; dall’altro, rileva che quando il legislatore, nell’ambito dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, ha voluto introdurre la possibilità di rinegoziare le condizioni economiche di un contratto ovvero ridurre definitivamente per determinate categorie di imprenditori i canoni di locazione per un certo numero di mensilità, lo ha previsto espressamente per specifici settori quale, ad esempio, quello sportivo.

Il giudicante conclude, quindi, affermando che “[…] deve ritenersi esclusa la possibilità per il Giudice di modificare le condizioni economiche dei contratti di locazione riducendo, ancorché temporaneamente, i canoni di locazione […]”.

La sentenza, per quanto in parte condivisibile, perché rispondente alla dizione dell’art. 1372 cod. civ., ai sensi del quale “il contratto ha forza di legge tra le parti”, si mostra, tuttavia, troppo prudente nell’affrontare il problema della distribuzione del rischio delle sopravvenienze da Covid-19 nei rapporti contrattuali di durata, risultando “fossilizzata” sul dato giuridico positivo.

Considerata l’eccezionale gravità di una vicenda storica che ha avuto ripercussioni, oltre che sanitarie, sul mercato globale al punto di rendere l’impotenza economica, soprattutto in determinati settori, una condizione pressoché oggettiva paiono preferibili soluzioni che attraverso il richiamo alle clausole generali ammettono il riequilibrio dell’alterato sinallagma contrattuale anche al di fuori dei casi espressamente previsti dal legislatore.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito come gli artt. 1175 e 1375 c.c. attribuiscano rilievo, sotto il profilo del diritto positivo, al principio della buona fede e correttezza, rendendolo parte del tessuto connettivo dell’ordinamento giuridico, quale espressione di un più ampio principio di solidarietà sociale, fondato sull’art. 2 Cost. (Cass. civ., sez. un., n.  23726/2007, in NGCC, 2008, p. 10458 ss., con nota di A. Finessi, La frazionabilità (in giudizio) di un credito: il nuovo intervento delle Sezioni Unite; Cass. civ., n. 32478/2019, in Pluris; in dottrina cfr. S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1969, p. 176 ss.; F. Macario, Esecuzione di buona fede. Art. 1375 c. c., in Comm. cod. civ., [diretto da Gabrielli], 2018, p. 737 ss.; L. Mengoni, Responsabilità contrattuale (dir. vig.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, p. 18 ss.).

Secondo l’orientamento in parola, le suddette norme fondano un vero e proprio obbligo di cooperazione di una parte, nei confronti dell’altra, obbligo la cui violazione (quale rifiuto del locatore alla rinegoziazione del contratto) potrebbe integrare un atto emulativo, sanzionabile in termini di risarcimento del danno. Inoltre, gli articoli sopra richiamati potrebbero rappresentare uno strumento per il giudice atto a controllare, anche in senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale, al fine di garantire il giusto contemperamento dei contrapposti interessi (Cass. civ., n. 3775/1994, in Corr. giur., 1994, p. 566 ss., con nota di V. Carbone, La buona fede come regola di governo della discrezionalità contrattuale; Cass. civ., n. 20106/2009, in Contr., 2010, p. 5 ss., con nota di G. D’Amico, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto).

Sulla scorta di tali insegnamenti anche la giurisprudenza di merito ha affermato che nei contratti di durata le pattuizioni hanno certamente valenza obbligatoria, ma secondo la clausola “rebus sic stantibus”, cosicché, a fronte di eventi straordinari, sussiste un obbligo per le parti di cooperare secondo correttezza e buona fede al fine di riequilibrare il sinallagma contrattuale in un’ottica che riconduca le prestazioni entro i limiti della normale e prevedibile alea e che, in mancanza di un adeguamento spontaneo, deve ammettersi l’intervento sostitutivo del giudice (Trib. Firenze, 27 gennaio 2021, in Pluris; Trib. Bari, 14 giugno 2011, in Contr., 2012, p. 571 ss., con nota di F. P. Patti, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale).

Tale impostazione è stata accolta in un caso analogo a quello deciso con la sentenza in commento dallo stesso Tribunale di Roma (Trib. Roma, 27 agosto 2020, in Giur. it., 2020, p. 2433 ss., con nota di G. Sicchiero, Buona fede integrativa o poteri equitativi del giudice ex 1374 c.c.?; ivi, p. 2439 ss., con nota di P. Gallo, Emergenza Covid e revisione del contratto) il quale ha rilevato che “qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto”. Preso atto dell’inadeguatezza degli interventi legislativi in materia il giudicante ha ritenuto doveroso “fare ricorso alla clausola generale di buona fede e di solidarietà sancito dall’art. 2 della Carta costituzionale al fine di riportare il contratto entro i limiti dell’alea normale del contratto”.

Nella medesima ottica si pone anche l’Ufficio del Ruolo e del Massimario della Corte di Cassazione il quale ammette che: “Il Covid potrebbe condurre ad aprire una breccia nella formalistica lettura della regola pacta sunt servanda codificata dall’art. 1372 c.c.  La pandemia mette in luce come il principio della vincolatività del contratto si presti ad essere assolutizzato, suggerendo di per sé un contemperamento con l’altro principio del rebus sic stantibus, qualora per effetto di accadimenti successivi alla stipulazione del contratto o ignoti al momento di questa o, ancora, estranei alla sfera di controllo delle parti, l’equilibrio del rapporto si mostri sostanzialmente snaturato” (cfr. la relazione tematica della Cass., 8 luglio 2020, n. 56, Novità normative e sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, documento consultabile alla pagina web: www.cortedicassazione.it).

Di fronte ad una violazione dell’obbligo di rinegoziare la Suprema Corte suggerisce, seppure cautamente, l’esperibilità del rimedio dell’esecuzione in forma specifica, ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Occorre peraltro segnalare come tale soluzione, seppur preferibile, incontri, in concreto, più di un problema, primo fra tutti l’eccessivo margine di discrezionalità che verrebbe attribuito al giudice.

Già in passato, infatti, una attenta dottrina aveva evidenziato il rischio che il giudice, con l’asserito fine di perseguire il risultato contrattuale compromesso dal mutamento di circostanze, avrebbe potuto invadere la sfera dell’autonomia privata, arrogandosi una decisione, tra le molteplici alternative rispettose del canone di correttezza, di competenza delle parti (P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, p. 229 ss.; nello stesso senso più di recente v. A. Zaccaria, L’insostenibile “pesantezza” del canone. Onirismi giuridici da Covid 19, in Studium iuris, 2020, p. 1166 ss.).

È chiaro che il meccanismo in questione funziona solo laddove il giudice disponga di molteplici elementi per intervenire sul contratto oppure quando l’oggetto della rinegoziazione sia predeterminato nell’ambito di un programma negoziale definito dettagliatamente dalla volontà delle parti o da una previsione di legge (F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, cit., p. 419 ss.). Ma anche in questo caso, il potere dell’autorità giudiziaria dovrebbe rappresentare l’extrema ratio, percorribile solo previa analisi del contratto di partenza e con motivazione adeguatamente argomentata (F. P. Patti, Obbligo di rinegoziare, tutela in forma specifica e penale giudiziale, cit., p. 582 s.).

Resterebbero così sfornite di tutela tutte le altre ipotesi, costituenti a ben vedere la maggior parte dei casi, ove il programma negoziale divisato dai contraenti non si mostri come sufficientemente dettagliato ovvero manchi una previsione normativa.

In tale prospettiva, non può sottacersi come solo interventi legislativi organici e uniformi potrebbero giovare alla certezza del diritto e alla deflazione del contenzioso.