23 Giugno 2020

La Cassazione ribadisce l’ammissibilità della prova testimoniale in funzione chiarificatrice del contenuto degli accordi contrattuali

di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDF

Cass., Sez. II, ord., 27 maggio 2020, n. 9952Pres. Campanile – Rel. San Giorgio

Prova civile – Prova diretta a precisare il contenuto negoziale di un documento – Limiti di ammissibilità della prova testimoniale – Insussistenza (C.c. artt. 1362, 2721, 2722, 2725)

[1] I limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano allorché la stessa sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento ma a renderne esplicito il significato.

CASO

[1] Il provvedimento in epigrafe rappresenta l’attuale, anche se non definitivo (visto il disposto rinvio della causa al giudice di merito), punto d’arrivo del giudizio instaurato dai promissari acquirenti di un appartamento contro i promittenti venditori e il mediatore al fine di sentirne pronunciare la condanna, rispettivamente, al pagamento del doppio della caparra anteriormente versata e alla restituzione della provvigione: e questo, previa declaratoria della legittimità del recesso unilaterale dal preliminare, che era stato intimato dalle parti attrici a norma dell’art. 1385, 2° co., c.c. a séguito della scoperta, prima della stipula del contratto definitivo di vendita, che la veranda metallica compresa nell’unità immobiliare di cui era stato programmato l’acquisto, e che di tale acquisto aveva costituito motivo determinante, era abusiva e che non era stata presentata al riguardo alcuna istanza di sanatoria.

Il Tribunale adito in prima istanza ha integralmente accolto le domande proposte, osservando come il silenzio serbato sull’irregolarità amministrativa che affettava l’immobile integrasse grave inadempimento, senz’altro legittimante lo scioglimento del vincolo contrattuale in essere. Ma nella parte relativa ai promittenti venditori, la sentenza di primo grado è stata riformata all’esito del successivo giudizio d’appello, sulla scorta del rilievo che, non essendovi menzione alcuna, nel testo del contratto, della veranda ma soltanto del terrazzino dove era stata installata la relativa struttura metallica, l’inerenza di questa all’oggetto della divisata compravendita doveva ritenersi il portato di una pattuizione aggiuntiva rispetto al documento contrattuale, perciò non suscettibile di quella prova testimoniale che viceversa era stata utilizzata dal giudice di prime cure in spregio al divieto opposto dall’art. 2722 c.c.

Avverso questa pronuncia, i promissari acquirenti hanno esperito ricorso per cassazione, denunciando l’errore commesso dalla Corte di merito nell’aver fatto applicazione della norma testé citata con riguardo a una fattispecie in realtà esorbitante dal suo raggio d’azione.

SOLUZIONE

[1] L’assunto posto dai ricorrenti alla base della censura appena richiamata era che, nella fattispecie, non si trattasse della prova, indubbiamente non somministrabile per testes, di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale versato in atti, bensì della prova, sicuramente ammessa anche per testimoni, dell’effettivo contenuto di quel documento medesimo, ovverosia dell’effettiva volontà dei paciscenti al di là delle parole concretamente impiegate. La prova testimoniale di cui la Corte d’appello aveva escluso l’ammissibilità non sarebbe, insomma, servita per smentire il contenuto del documento contrattuale, bensì, più semplicemente, per precisarlo.

Nel sindacare la fondatezza della ricostruzione offerta dai ricorrenti del thema probandum, il giudice di legittimità non poteva che attenersi ai canoni dell’interpretazione contrattuale dettati dall’art. 1362, c.c., a tenore del quale, nell’indagare su quella che sia stata la comune intenzione delle parti, necessario è valutare il comportamento dalle stesse tenuto al di là del senso letterale delle parole utilizzate. E valorizzando, in obbedienza a questi criteri, il fatto che l’appartamento fosse stato mostrato ai futuri acquirenti come fornito della veranda senza nulla, al tempo stesso, comunicare in merito al suo carattere abusivo, la Corte ha ritenuto come ben si potesse sollevare il dubbio che quella, ancorché non espressamente menzionata, fosse elemento integrante del compendio posto in vendita, a maggior ragione in relazione alla clausola contrattuale per cui quel compendio doveva intendersi trasferito «nello stato di fatto e di diritto in cui si trova[va]».

Necessario si rendeva, a quel punto, un approfondimento istruttorio: e trattandosi di approfondimento finalizzato non già a sconfessare il contenuto di un documento ma ad esplicitarne il significato, nulla poteva impedire il ricorso a quel fine alla prova testimoniale, come la Corte ha pianamente riconosciuto, uniformandosi a quel suo costante insegnamento per cui il divieto di avvalersi di quello strumento sancito dall’art. 2722 c.c. concerne esclusivamente gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto di un determinato negozio documentalmente consacrato, mentre non investe affatto la prova diretta a individuare la reale portata del negozio in questione, attraverso l’accertamento degli elementi di fatto risultati determinanti nella formazione del consenso delle parti (il provvedimento richiama Cass., 22 febbraio 2017, n. 4601; ma v. pure Cass., 12 giugno 2012, n. 9526; Cass., 9 aprile 2008, n. 9243).

QUESTIONI

[1] L’orientamento cui abbiamo visto doversi ricondurre la pronuncia quivi annotata è riguardabile come uno dei diversi filoni in cui si estrinseca la tradizionale diffidenza manifestata dai nostri supremi giudici nei confronti dei limiti di natura oggettiva posti dalla legge all’uso della prova testimoniale (e di riflesso, giusta le previsioni dell’art. 2729, 2° co., c.c., a quello della prova per praesumptiones): a) da quello a tenore del quale i divieti di prova testimoniale delle convenzioni ex artt. 2721 e 2725 c.c. si riferirebbero solamente alle fattispecie in cui il contratto sia dedotto in giudizio come fonte di diritti e doveri tra le parti e non quale mero fatto storico (Cass., 10 aprile 2003, n. 5673; Cass., 6 novembre 2002, n. 15591; Cass., 17 gennaio 2001, n. 566; Cass., 13 dicembre 1999, n. 13937; per un’analisi di questa giurisprudenza e di alcuni suoi eccessi in senso lassistico, si rinvia a M. Montanari, Allegazione giudiziale del contratto come fatto storico e prova testimoniale, in Riv. dir. proc., 2012, 895 ss.); b) a quello secondo cui i predetti divieti, nonché quello ex art. 2722 c.c., non sarebbero opponibili al terzo che intenda avvalersi del contratto o del patto aggiunto o contrario come fonte di diritti a proprio favore (Cass., 24 aprile 2008, n. 10743; Cass., 25 maggio 2001, n. 7134; Cass., 30 luglio 1998, n. 7500); c) da quello che afferma la libertà di prova relativamente ai meri fatti storici inerenti alla stipula del contratto, al valore del relativo oggetto o alla sua esecuzione, senza alterare la veridicità della prova documentale (Cass., 23 aprile 1997, n. 3503); d) a quello che ricollega alla violazione dei divieti de quibus una nullità di carattere relativo e, perciò, suscettibile di sanatoria ove non tempestivamente dedotta dalla parte interessata (Cass., 19 febbraio 2018, n. 3956; Cass., 15 febbraio 2018, n. 3763; Cass., 8 giugno 2017, n. 14274; Cass. 19 settembre 2013, n. 21443).

Rispetto a questa impostazione generale, l’ordinanza qui commentata appare per certi versi muovere in controtendenza, lasciando trapelare un rigore decisamente inusuale nel settore di cui è stata parola. Essa mostra infatti di ritenere che, se è consentito il ricorso alla prova testimoniale per diradare eventuali incertezze relative all’effettivo significato o portata di un determinato accordo negoziale, tali incertezze dovrebbero, però, legarsi ad elementi obbiettivi, come è stato, nella fattispecie decisa, il rilevato contrasto tra il dettato letterale del contratto e il comportamento tenuto dalle parti. La preoccupazione appare, tuttavia, eccessiva. Essa potrebbe giustificarsi in relazione al timore che sia data in quel modo alle parti la possibilità di surrettiziamente aggirare il divieto di prova testimoniale dei patti aggiunti o contrari al documento contrattuale: ma il timore è decisamente infondato, nella misura in cui, a prevenire la paventata elusione dei divieti in oggetto, dovrebbe bastare la semplice letture dei capitoli di prova.