Principio di solidarietà condominiale ed eliminazione di barriere architettoniche
di Francesco Luppino, Avvocato e cultore della materia Diritto Privato presso l’Università di Bologna Scarica in PDFTribunale di Torre Annunziata, Sezione Civile, sentenza 23 giugno 2025, R.G. n. 2681/2019.
Massima: “In tema di condominio, l’installazione di un ascensore in un edificio costruito anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 13 del 1989 integra un intervento di manutenzione straordinaria e non di ristrutturazione integrale, con conseguente inapplicabilità delle prescrizioni dimensionali del D.M. 236 del 1989, salvo che non si proceda alla ristrutturazione dell’intero fabbricato. L’opera è legittima ove non renda inservibili le parti comuni ai sensi dell’art. 1120 c.c., non essendo ostative riduzioni che comportino meri disagi tollerabili; essa, inoltre, deve ritenersi conforme al principio di solidarietà condominiale, in quanto diretta a favorire l’accessibilità e la fruibilità delle unità abitative, in attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 32 e 42 Cost.”.
CASO
Con la sentenza in commento il Tribunale di Torre Annunziata si è occupato dell’impugnazione di una delibera presentata da alcuni condomini che ritenevano illegittima l’approvazione in essa contenuta circa l’installazione di un ascensore all’interno dello stabile condominiale.
Quest’ultimo, infatti, era stato edificato negli anni ’60 e risultava privo di impianto elevatore.
Gli attori contestavano l’illegittimità dell’opera per violazione delle prescrizioni del D.M. 236/1989 (concernente le barriere architettoniche[1]), del D.M. 246/1987 (recante norme di sicurezza antincendi per gli edifici di civile abitazione) e del D.P.R. 380/2001 (T.U. edilizia), deducendo che la riduzione della scala condominiale sino a 54 cm e le dimensioni ridotte della cabina dell’impianto elevatore di cui al progetto deliberato compromettessero tanto la sicurezza quanto l’accessibilità al fabbricato.
Il condominio convenuto eccepiva, per converso, che la normativa invocata dagli attori non era applicabile agli edifici preesistenti la sua entrata in vigore e, comunque, la conformità del progetto a chiarimenti ministeriali del 2002 che ammettono, per edifici già realizzati, una larghezza minima delle scale pari a 80 cm.
L’istruttoria si concretizzava in una CTU in esito alla quale il Tribunale rigettava la domanda, confermando la legittimità della delibera impugnata.
SOLUZIONE
Il Tribunale ha ritenuto legittima l’installazione dell’ascensore, in quanto idonea ad eliminare le barriere architettoniche sussistenti nello stabile e garantire una piena tutela del diritto alla salute e di proprietà dei condomini, integrando altresì un vantaggio per l’intera collettività condominiale. Pertanto, ha rigettato l’impugnazione, spese secondo la soccombenza.
QUESTIONI
Il caso sotteso alla pronuncia in esame riguarda una delle questioni più dibattute in materia condominiale: l’installazione di un impianto elevatore (ascensore) et similia (montacarichi, piattaforma elevatrice) in un edificio condominiale che ne è sprovvisto. Accade spesso, infatti, che la realizzazione di un simile manufatto si scontra con il volere di alcuni condomini che, essendo proprietari di unità immobiliari ubicate ai piani inferiori o più vicini all’ingresso dello stabile, risultano restii ad un simile intervento che, d’altra parte, spesso necessita di un contributo economico non indifferente, salva l’applicazione dei bonus fiscali.
- Nullità o annullabilità della delibera condominiale
La prima questione affrontata dal giudice campano è stata quella concernente l’invalidità della delibera invocata dagli attori.
Come è noto, le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione[2] hanno di recente operato una netta distinzione tra le ipotesi di nullità della delibera da considerarsi eccezione (mancanza di elementi essenziali, oggetto impossibile, contrarietà a norme imperative o ordine pubblico) da quelle di annullabilità che costituisce la regola generale (essenzialmente per motivi formali e procedurali, ad esempio, nel caso in cui non siano state rispettate le prescrizioni sancite dall’art. 66 disp. att. c.c. per l’invio delle convocazioni assembleari).
- Applicabilità del D.M. 236/1989 agli edifici preesistenti la sua entrata in vigore
In secondo luogo, il giudice campano ha escluso l’applicabilità ratione temporis del D.M. 236/1989 ad un fabbricato costruito negli anni ’60, qualificando l’opera, consistente nella realizzazione ex novo di un ascensore, come manutenzione straordinaria ex art. 3 D.P.R. 380/2001 (Testo Unico edilizia) e non come ristrutturazione integrale, nel qual caso avrebbe dovuto trovare applicazione tale disciplina invocata dagli attori.
In tal senso è stato richiamato un precedente vincolante della Suprema Corte, secondo cui le prescrizioni tecniche di cui alle suddette normative valgono solo per nuove costruzioni o ristrutturazioni totali[3].
Inoltre, circa la possibilità di derogare le prescrizioni tecniche di cui alla normativa di settore vigente in materia – che non vi è dubbio prescriva limiti alquanto stringenti spesso non compatibili con le specificità dei singoli casi concreti – il Tribunale ha richiamato due arresti della Suprema Corte in cui gli Ermellini hanno affermato che: “in tema di accessibilità degli edifici e di eliminazione delle barriere architettoniche, le prescrizioni tecniche dettate dall’art. 8 del d.m. n. 236 del 1989 in ordine alla larghezza minima delle rampe delle scale (indicata nella misura di m. 1,20), possono essere derogate mediante scrittura privata poiché l’art. 7 del medesimo d.m. consente, in sede di progetto, di adottare soluzioni alternative alle suddette specificazioni e soluzioni tecniche, purché rispondenti alle esigenze sottintese dai criteri di progettazione”[4], di fatto, rilevando ai fini della legittimità di tali deroghe la coerenza rispetto le finalità di accessibilità cui l’opera è preordinata.
Infatti, nel caso oggetto della pronuncia in commento, le misurazioni eseguite dal CTU hanno rilevato una larghezza effettiva compresa tra 80 e 85 cm, conforme al limite minimo di sicurezza (80 cm) indicato dal Ministero dell’Interno nella suddetta normativa di settore. Pertanto, il Tribunale campano ha affermato che la riduzione del vano scala non integra “inservibilità” ex art. 1120 c.c., ma, piuttosto, solo un disagio tollerabile.
- Principio di solidarietà condominiale
Tuttavia, la sentenza in commento va apprezzata per aver valorizzato il principio di solidarietà condominiale, già espresso in casi analoghi in diverse pronunce della Suprema Corte[5]: l’ascensore, anche se non perfettamente conforme, costituisce un’innovazione utile ad agevolare la vita delle persone con disabilità e degli anziani, senza rendere inservibili le scale che quindi rimangono fruibili dall’intera collettività condominiale.
In particolare, occorre richiamare in questa sede quanto affermato da Cassazione civile, sez. II, ordinanza 14 giugno 2022, n. 19087: “in tema di condominio negli edifici, allorché l’installazione di un ascensore su area comune sia funzionale allo scopo di eliminare delle barriere architettoniche (o comunque di agevolare l’accesso alle proprie abitazioni, specie se poste ai piani alti, evitando di affrontare le scale), occorre tenere conto del principio di solidarietà condominiale, che implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche (o comunque delle persone che hanno difficoltà ad affrontare le rampe), trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall’effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici interessati e che conferisce comunque legittimità all’intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non ad eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione”, continuano gli Ermellini affermando che “l’interesse all’installazione, nonostante il dissenso di alcuni condòmini, dell’impianto di ascensore è funzionale al perseguimento di finalità non limitabili alla sola tutela delle persone versanti in condizioni di minorazione fisica, ma individuabili anche nell’esigenza di migliorare la fruibilità dei piani alti dell’edificio da parte dei rispettivi utenti, apportando una innovazione che, senza rendere talune parti comuni dello stabile del tutto o in misura rilevante inservibili all’uso o al godimento degli altri condòmini, faciliti l’accesso delle persone a tali unità abitative, in particolare di quelle meno giovani”.
Conclusioni
La sentenza in commento si colloca nel solco dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità volto a favorire l’accessibilità alle proprie abitazioni insistenti in un edificio condominiale, privilegiando la funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) e la tutela della salute (art. 32 Cost.) rispetto a sacrifici minori degli altri condomini, quali meri disagi consistenti in una riduzione delle dimensioni delle rampe o del vano scala.
D’altra parte, la non applicabilità del D.M. 236/1989 agli edifici preesistenti la sua entrata in vigore è coerente con l’impostazione della Suprema Corte (ord. n. 19087/2022 citata), seppur rimane aperta una questione pratica in relazione al caso di specie, in quanto il manufatto installato nello stabile condominiale non risulta effettivamente idoneo a ospitare una sedia a rotelle, con conseguente frizione tra finalità della legge n. 13/1989 e l’utilità concretamente ottenuta nel caso di specie. Sul piano del diritto condominiale, la pronuncia del Tribunale campano conferma che la nozione di “inservibilità” ex art. 1120 c.c. va interpretata restrittivamente: non ogni compressione dell’utilità comporta nullità della delibera, dovendosi operare un bilanciamento di interessi ed esigenze contrapposte e, quindi, valutarsi il sacrificio concreto alla luce della tollerabilità e del principio di solidarietà in ambito condominiale.
[1] Rubricato, “Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche”, entrato in vigore in data 8 luglio 1989.
[2] Cassazione civile, S.S.U.U., sentenza n. 9839/2021.
[3] Cassazione civile, sez. II, ordinanza 14 giugno 2022, n. 19087.
[4] Cassazione civile, sez. II, ordinanza 24 gennaio 2019, n. 2050 e Cassazione civile, sez. 6, ordinanza 26 luglio 2013, n. 18147.
[5] Cassazione civile, sez. 6, ordinanza 9 marzo 2017, n. 6129 e Cassazione civile, sez. II, sentenza 28 marzo 2017, n. 7938.
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