Plusvalenza occulta: i soci di una società rispondono del debito tributario della società cancellata dal Registro delle Imprese
di Asia Bartolini, Dottoressa in Legge Scarica in PDFCass. civ., Sez. V, Sent. n. 28256 del 24/10/2025
Parole chiave: società cancellata – registro delle imprese – bilancio finale di liquidazione – sopravvenienza attiva di beni e di diritti – successione ex soci nei rapporti debitori
Massima (conforme a Cass. Sez. V, n. 2/2022): “In tema di contenzioso tributario, a seguito di cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, alla definitiva estinzione dell’ente consegue la successione degli ex soci nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione; ne consegue l’ interesse dell’Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo nei confronti di quest’ultimi, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio”.
Disposizioni applicate: art. 2495 c.c. – artt. 1, 36 e 55 D. Lgs. 546/1992 – artt. 36 e 65 D.P.R. 602/1973
La controversia oggetto della pronuncia della Suprema Corte di Cassazione qui in commento trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate a A.A. e B.B., in qualità di ex soci della estinta Immobiliare Manfredonia S.r.l. (società avente ristretta base partecipativa), al fine di contestare l’omessa dichiarazione e il conseguente mancato pagamento di imposte (Ires, Iva e Irap) su una plusvalenza dal valore milionario.
La suddetta plusvalenza, in particolare, era scaturita dalla vendita di un terreno edificabile per la cifra di ben 21.000.000,00 Euro acquistato al costo di Euro 2.065.827,00, negozio di compravendita regolarmente registrato ma non riportato nel bilancio della società.
I contribuenti impugnavano l’atto, sostenendo di non essere tenuti a rispondere dei debiti sociali in assenza di prova di aver percepito alcunché dalla vendita.
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma accoglieva il ricorso, annullando l’atto impositivo. La decisione veniva successivamente confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio, costringendo così l’Amministrazione finanziaria a proporre ricorso per Cassazione.
Ebbene, l’Agenzia delle Entrate articolava il proprio ricorso su due motivi, entrambi ritenuti fondati dalla Suprema Corte.
Con il primo motivo, l’Agenzia lamentava la nullità della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio per omessa pronuncia sulla censura di violazione del divieto di abuso del diritto. L’Amministrazione finanziaria, in particolare, sosteneva che la cancellazione e l’estinzione della società, avvenuta in tempi sospettosamente rapidi dopo la vendita del terreno (la vendita era infatti avvenuta il 27 luglio 2025, mentre la cancellazione il 5 dicembre 2005), fosse stata deliberata con finalità elusiva e pertanto inopponibile al Fisco.
La Corte di Cassazione accoglieva tale censura, rilevando che, sebbene la Commissione Tributaria Regionale del Lazio avesse riconosciuto il “comportamento fraudolento” e le tempistiche sospette, aveva fondato la propria ratio decidendi esclusivamente sull’art. 2495 c.c. (limitazione della responsabilità dei soci a quanto riscosso in liquidazione), omettendo di pronunciarsi sulla tesi dell’abuso del diritto.
Il secondo motivo di ricorso, invece, censurava la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495, co. 2, c.c., nonché degli artt. 36 e 65 del D.P.R. 602/1973. A parere dell’Amministrazione finanziaria, infatti, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio aveva erroneamente ritenuto che fosse precluso richiedere ai soci, successori della società estinta, il pagamento dei debiti fiscali, sulla base della circostanza per cui i soci rispondono solo se abbiano percepito somme dal bilancio finale di liquidazione, e che l’Ufficio avrebbe dovuto preventivamente agire nei confronti del liquidatore o procedere con accertamenti di carattere personale.
La Suprema Corte ha disatteso fortemente tali conclusioni, chiarendo in primo luogo che, trattandosi di somme non dichiarate al Fisco e non transitate in bilancio, la tesi della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, se accolta, avrebbe permesso a qualsiasi società di eludere completamente l’imposizione tramite la cancellazione dal registro delle imprese. In secondo luogo, la Corte ha ribadito, richiamando importanti precedenti della stessa Corte di Cassazione, che la responsabilità successoria degli ex soci nei rapporti debitori non definiti a seguito dell’estinzione della società di capitali sussiste indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un riparto in base al bilancio finale di liquidazione. L’interesse ad agire dell’Amministrazione finanziaria è infatti integrato dalla possibilità che sussistano sopravvenienze attive o beni e diritti non contemplati nel bilancio che si sono comunque trasferiti ai soci.
Infine, la Corte ha altresì precisato che, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. n. 602/1973, la responsabilità del liquidatore e quella successoria dei soci hanno fonti diverse e non sono subordinate tra loro; pertanto, non è necessario l’esperimento dell’azione contro il liquidatore per poter agire nei confronti dei soci.
Così argomentando, la Corte di Cassazione ha accolto entrambi i motivi di ricorso, ha cassato la decisione impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, affinché procedesse a un nuovo giudizio in osservanza dei principi di diritto enunciati.
Con tal sentenza, dunque, la Suprema Corte di Cassazione ha, in sintesi, riconosciuto la piena legittimità dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate nei confronti degli ex soci della società estinta, anche in assenza di riparti liquidatori, qualora si discuta di ricavi occulti o di operazioni elusive non configurati nel bilancio finale di liquidazione.
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