9 Dicembre 2025

Inserimento del credito di MCC nello stato passivo: domanda di ammissione o rettifica formale per surrogazione?

di Luca Andretto, Avvocato Scarica in PDF

Trib. Modena, sez. 3^ civile, 26 settembre 2025, decr. – G.D. Bianconi

Parole chiave

fondo di garanzia per piccole e medie imprese – finanziamento agevolato – liquidazione giudiziale – accertamento del passivo – stato passivo – banca finanziatrice – ammissione al passivo – escussione della garanzia – garante pubblico – surrogazione – comunicazione – rettifica formale – provvedimento del curatore – reclamo contro gli atti del curatore – domanda di ammissione al passivo – interesse ad agire – difetto d’interesse – inammissibilità

Massima: “In presenza di finanziamenti agevolati dal fondo di garanzia per piccole e medie imprese, qualora l’escussione della garanzia si perfezioni dopo l’ammissione della banca finanziatrice al passivo della liquidazione giudiziale dell’impresa finanziata, l’inserimento del garante pubblico nello stato passivo per la parte di credito liquidata alla banca presuppone la comunicazione della surrogazione al curatore, il quale provvede alla rettifica formale di cui all’art. 230, comma 2, CCII, salvo rigettarla ove nutra dubbi in ordine all’operatività della garanzia. Il curatore deve, quindi, notificare il proprio provvedimento a tutti gli interessati, che hanno facoltà di proporre reclamo. Intervenuta la rettifica formale, la domanda di ammissione al passivo eventualmente presentata dal garante pubblico va dichiarata inammissibile per difetto d’interesse”.

Riferimenti normativi

Legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 100; Decreto Ministeriale (Attività Produttive) 20 giugno 2005, art. 2, comma 4; Codice Civile, art. 1203; Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3 (convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2015, n. 33), art. 8-bis, comma 3; Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, artt. 133, 201, 204, 208, 230, comma 2; Codice di Procedura Civile, art. 100.

CASO

I fatti di causa, di cui il provvedimento commentato non contiene una compiuta esposizione, sono nondimeno agevolmente ricostruibili sulla base delle argomentazioni ivi svolte. Una società aveva ottenuto un finanziamento bancario garantito da MedioCredito Centrale s.p.a. (MCC), quale gestore del fondo di garanzia per piccole e medie imprese istituito dall’art. 2, comma 100, Legge n. 662/1996. Sopravvenuta l’apertura della liquidazione giudiziale, la banca finanziatrice, per un verso, chiedeva di essere ammessa al passivo in via chirografaria per il residuo importo del finanziamento erogato, dando atto della garanzia pubblica che assisteva il proprio credito e della natura privilegiata che esso avrebbe assunto ai sensi dell’art. 8-bis, comma 3, D.L. n. 3/2015, a seguito di surrogazione dell’istituto garante; per altro verso, escuteva la stessa garanzia per la quota di credito garantita.

Il credito della banca finanziatrice veniva ammesso al passivo come richiesto. Successivamente MCC, una volta liquidato parte dello stesso credito alla banca, trasmetteva al Curatore una comunicazione di surrogazione nella quota liquidata ai sensi dell’art. 2, comma 4, D.M. 20 giugno 2005, preannunciando che avrebbe successivamente provveduto a richiedere la propria ammissione al passivo tramite il concessionario della riscossione, previa iscrizione a ruolo del credito in questione, come prescritto dall’ultimo periodo dell’art. 8-bis, comma 3, D.L. n. 3/2015. Il Curatore segnalava al Giudice Delegato la comunicazione ricevuta, chiedendo istruzioni su come trattarla.

SOLUZIONE

Sono due gli strumenti teoricamente utilizzabili per l’inserimento di MCC (o, per suo conto, del concessionario della riscossione) nello stato passivo della liquidazione giudiziale dell’impresa debitrice principale: da un lato, l’autonoma domanda di ammissione al passivo ai sensi dell’art. 201 CCII, da proporsi in via tempestiva, in via tardiva o eventualmente in via ultratardiva nei termini previsti dall’art. 208 CCII; dall’altro lato, qualora sia già stato ammesso al passivo il credito della banca finanziatrice, la rettifica formale dello stato passivo previa comunicazione di surrogazione ai sensi dell’art. 230, comma 2, CCII, invocabile senza limiti di tempo fino all’approvazione del progetto di riparto finale.

Il Giudice Delegato presso il Tribunale di Modena osserva preliminarmente che, ad oggi, quando è stata chiamata ad esaminare ex professo la questione, la Corte di Cassazione ha confermato provvedimenti di merito che avevano dichiarato inammissibili domande proposte in via autonoma, malgrado la precedente ammissione al passivo dei crediti garantiti, esprimendosi in favore della rettifica formale dello stato passivo (cfr. Cass., sez. I civ., ord. 21 marzo 2025, n. 7526; Cass., sez. I civ., ord. 24 marzo 2025, n. 7832). In queste pronunce, però, la Corte di Cassazione ha dato per presupposta la surrogazione in senso privatistico del garante pubblico nel credito del finanziatore garantito; mentre altrove aveva, viceversa, affermato la “ontologica diversità del diritto dell’ente concedente rispetto a quello dell’istituto mutuante” (Cass., sez. I civ., ord. 26 giugno 2023, n. 18148) e ritenuto che questo diritto sorgesse “per effetto del solo pagamento” liquidato allo stesso finanziatore (Cass., sez. III civ., ord. 10 aprile 2024, n. 9657). Il Giudice Delegato evidenzia, dunque, come lo scenario giurisprudenziale di legittimità in materia di partecipazione del garante pubblico al concorso risulti, allo stato, “variegato e talvolta ondivago”.

Preso atto che la giurisprudenza di legittimità in materia non offre solidi appigli, il Giudice Delegato individua una bussola idonea ad orientare l’interpretazione nell’interesse pubblico all’effettiva partecipazione di MCC al concorso. Consapevole del cronico ritardo con cui il concessionario della riscossione è uso presentare la domanda di ammissione al passivo, pur in un quadro normativo che, con l’art. 208 CCII, ne impone oggi la presentazione in termini assai ristretti, esclude la prima opzione in quanto implicante l’elevato rischio di ultratardività imputabile all’istante e, quindi, di esclusione dallo stato passivo. Propende, dunque, per la rettifica formale dello stato passivo a seguito di semplice comunicazione dell’intervenuta surrogazione nel credito già ammesso in capo alla banca finanziatrice, fermo restando il mutamento di natura da chirografario a privilegiato quale “effetto ex lege” del subentro da parte del garante pubblico.

Alla rettifica formale provvede direttamente il curatore, senza necessità di autorizzazione, ma con l’onere – espressamente indicato dal Giudice Delegato – di comunicare il provvedimento a tutti gli interessati (ossia quantomeno a MCC o, per suo conto, al concessionario della riscossione, nonché ai creditori già ammessi al passivo), ai quali compete la facoltà di proporre reclamo ai sensi dell’art. 133 CCII, così recuperando il potenziale contraddittorio insito nel procedimento di verifica del passivo. Il provvedimento si fa carico pure dell’ipotesi in cui il curatore dovesse nutrire dubbi in ordine all’efficacia della garanzia pubblica: benché si tratti di garanzia già escussa, proprio il mutamento che l’escussione determina in ordine alla natura del credito, a detrimento degli altri creditori, dovrebbe consentirgli di rigettare la surrogazione e la conseguente rettifica formale dello stato passivo. Anche in questo caso si renderebbe necessaria la comunicazione, onde consentire il reclamo da parte di MCC o, per suo conto, da parte del concessionario della riscossione.

Infine, avendo MCC preannunciato nella propria comunicazione una successiva domanda di ammissione al passivo, il Giudice Delegato precisa che, una volta procedutosi alla rettifica formale, tale domanda dovrebbe ritenersi, ove effettivamente proposta, non sorretta da interesse ad agire ai sensi dell’art. 100 CPC. In conseguenza, ne andrebbe dichiarata de plano l’inammissibilità.

QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA

Il provvedimento commentato è apprezzabile laddove, nell’ostica ricerca dello strumento tecnico da utilizzare per l’inserimento di MCC (o degli altri garanti pubblici di finanziamenti bancari, come ad esempio SACE s.p.a.) nello stato passivo della liquidazione giudiziale dell’impresa finanziata, enuclea un criterio ermeneutico condivisibilmente volto a favorirne l’effettiva partecipazione al concorso. Meno apprezzabile è laddove cala questo criterio esclusivamente nell’invalsa prassi caratterizzata dai lunghi tempi di reazione di MCC e del concessionario della riscossione, omettendo di confrontarlo con un dato normativo bisognevole di essere ricondotto a sistema. A ben vedere, se analizzata in via sistematica, la soluzione adottata non pare soddisfacente né sotto il profilo formale, né sotto il profilo sostanziale.

Sotto il primo profilo, occorre rammentare che la rettifica formale dello stato passivo ad opera del curatore era stata originariamente introdotta (inserendo un comma 2 nell’art. 115 LF) dal D.Lgs. n. 5/2006 con riguardo alle cessioni dei crediti già ammessi al passivo ed era stata poi estesa dal D.Lgs. n. 169/2007 alle ipotesi di surrogazione dei creditori. La ratio dell’istituto è quella di evitare un ulteriore passaggio dinanzi al giudice delegato ogni qualvolta occorra soltanto prendere atto della vicenda successoria a titolo derivativo di un credito la cui natura concorsuale sia già stata accertata giudizialmente nel (potenziale) contraddittorio di tutti i creditori, venendo in gioco i soli interessi del creditore cedente o surrogato e quelli del creditore cessionario o surrogante. Si deve, allora, ritenere che l’invarianza delle connotazioni oggettive (natura ed entità) del credito già accertato sia presupposto necessario affinché il curatore possa autonomamente procedere alla rettifica formale, mentre una loro variazione, in quanto destinata a ripercuotersi sul concorso tra i creditori, necessiti di un nuovo accertamento giudiziale nel loro (potenziale) contraddittorio, quand’anche imposta al ricorrere di determinate condizioni previste per legge. Non pare, invece, sufficiente un contraddittorio eventuale e differito, subordinato al reclamo contro gli atti del curatore proponibile ex art. 133 CCII dai singoli creditori interessati.

Sotto il profilo sostanziale, poi, può dubitarsi che il fenomeno in esame sia sussumibile nella categoria privatistica della surrogazione. È pur vero che non mancano indici normativi in tal senso. Con riguardo a MCC, l’art. 2, comma 4, D.M. 20 giugno 2005, nel prevedere che, con l’escussione della garanzia pubblica, il fondo di garanzia “acquisisce il diritto a rivalersi sulle piccole e medie imprese inadempienti per le somme da esso pagate”, opera un richiamo espresso all’art. 1203 CC in tema di surrogazione legale nel credito. Del pari, con riguardo ad altro istituto autorizzato a rilasciare garanzie pubbliche (SACE s.p.a.), l’art. 7, comma 1, D.Lgs. n. 143/1998, prevede espressamente che, “Dalla data del pagamento, l’Istituto è surrogato nel rapporto assicurato o garantito nei limiti della quota per la quale è stato liquidato l’indennizzo od onorata la garanzia”. La surrogazione privatistica, tuttavia, in quanto vicenda successoria a titolo derivativo nel lato attivo del rapporto obbligatorio, postula l’identità oggettiva del credito originario (quand’anche si tratti di surrogazione parziale: cfr. art. 1205 CC) ed appare, perciò, incompatibile con il mutamento della sua natura da chirografario a privilegiato.

Ragionando secondo categorie civilistiche, si ravvede un’unica via per la quale il garante possa vantare nei confronti del debitore principale una causa di prelazione di cui il creditore garantito era sprovvisto: agendo in via di regresso, anziché in via di surrogazione. In tal modo, il diritto di credito azionato non deriverebbe da quello del creditore garantito, ma sorgerebbe ex novo in capo al garante coobbligato in solido al momento e per effetto del pagamento eseguito, ai sensi dell’art. 1299, comma 1, CC. In proposito, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “non vi è alcuna necessità – sotto il profilo strutturale, come pure sotto quello logico – che la posizione del creditore garantito si avvantaggi di un privilegio, perché di un privilegio possa disporre il garante” (Cass., sez. I civ., sent. 30 gennaio 2019, n. 2664). Del resto, un’ipotesi consimile è prefigurata dall’art. 162 CCII, con riguardo al fideiussore munito di pegno o ipoteca su beni del debitore sottoposto a liquidazione giudiziale. Sennonché, in base all’art. 160, comma 2, CCII, “Il regresso tra coobbligati può essere esercitato solo dopo che il creditore sia stato soddisfatto per l’intero credito”, mentre la garanzia pubblica, per essere compatibile con la disciplina europea sugli aiuti di Stato, non può che essere rilasciata per una quota del credito garantito. Inoltre, in base all’art. 2916, n. 3, CC, nella distribuzione della somma ricavata dall’esecuzione (cui va equiparata la liquidazione giudiziale, in quanto pignoramento generale dei beni del debitore) non si tiene conto “dei privilegi per crediti sorti dopo il pignoramento”; il che impedirebbe di considerare privilegiato il credito del garante pubblico la cui escussione si sia perfezionata – come usualmente accade – dopo l’apertura della procedura concorsuale.

Tuttavia, le categorie privatistiche non sono sufficienti ad inquadrare in modo esauriente il fenomeno in esame, che trae origine da un “procedimento complesso, in cui la fase di natura amministrativa di selezione dei beneficiari in vista della realizzazione di interessi pubblici è seguita da un negozio privatistico di finanziamento o di garanzia, nella cui struttura causale si inserisce la destinazione delle somme ad uno specifico scopo” (Cass., sez. I civ., ord. 20 settembre 2017, n. 21841). Proprio per questo, la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato come l’azione di recupero dell’importo versato al creditore garantito, “pur mirando al medesimo risultato economico di quella di surrogazione o di regresso, ovverosia alla neutralizzazione della diminuzione patrimoniale conseguente all’esborso effettuato, si distingue dalle stesse, non costituendo esercizio del diritto precedentemente spettante al creditore garantito, nel quale l’ente concedente subentra a seguito dell’escussione della garanzia, né di un nuovo diritto derivante dal pagamento effettuato in favore del creditore garantito, ma trovando fondamento nell’atto di concessione o nella convenzione che costituiscono il presupposto della garanzia” (Cass., sez. I civ., ord. 18 gennaio 2022, n. 1453; Cass., sez. I civ., ord. 26 giugno 2023, n. 18148; Cass., sez. I civ., ord. 20 novembre 2025, n. 30641). Ne discende l’inapplicabilità dell’art. 160, comma 2, CCII, giacché il garante pubblico “non assume la posizione di coobbligato solidale ex artt. 1292 e ss. CC in quanto non ha garantito il soggetto finanziato (la P.M.I.), ma il soggetto finanziatore” (Cass., sez. I civ., ord. 29 dicembre 2023, n. 36495).

Inoltre, proprio la finalità pubblicistica permeante l’intera operazione di finanziamento agevolato induce a ritenere che il credito restitutorio del garante pubblico sorga fin dal momento in cui si determina l’obiettiva impossibilità di conseguirla: così è per l’apertura della liquidazione giudiziale, che rende “impossibile destinare il finanziamento allo scopo per il quale era stato concesso e, in tutto o in parte, già erogato” (Cass., sez. I civ., ord. 15 maggio 2023, n. 13152), in quanto “comporta naturalmente, sia pure in senso lato, una forma di alienazione o distrazione dei beni acquistati con il contributo” del sostegno pubblico alle imprese “evidentemente in vista del loro permanere sul mercato” (Cass., sez. I civ., ord. 6 agosto 2025, n. 22770). In questa prospettiva, ferma l’autonomia del credito restitutorio del garante pubblico rispetto all’originario credito del finanziatore garantito, il suo momento genetico verrebbe a collocarsi contestualmente all’apertura della procedura concorsuale, risultando così superato pure l’ostacolo di cui all’art. 2916, n. 3, CC. L’escussione della garanzia condizionerebbe esclusivamente l’esigibilità del credito: fintanto che essa non si perfezioni, il garante pubblico potrebbe comunque insinuare al passivo il proprio credito, che dovrebbe in tal caso essere ammesso con riserva (cfr. Cass., sez. I civ., ord. 26 giugno 2023, n. 18148). Chiaramente, in quest’ultima ipotesi, il rischio di duplicazioni dovrebbe essere prevenuto evitando la contestuale ammissione al passivo della banca finanziatrice per i medesimi importi.

In conclusione, lo strumento tecnico da utilizzare per l’inserimento di MCC (o degli altri garanti pubblici di finanziamenti bancari) nello stato passivo della liquidazione giudiziale dell’impresa finanziata pare dover essere sempre individuato nell’autonoma domanda di ammissione ai sensi dell’art. 201 CCII. La rettifica formale previa comunicazione di surrogazione, invece, quantunque risulti già ammesso al passivo il credito della banca finanziatrice, non pare costituire una valida opzione: sotto il profilo formale, essa postulerebbe l’invarianza delle connotazioni oggettive del credito, mentre il subentro da parte del garante pubblico ne comporta il mutamento di natura da chirografario a privilegiato; sotto il profilo sostanziale, poi, il fenomeno in esame non appare propriamente sussumibile nella categoria privatistica della surrogazione, dalla quale si distingue in ragione della finalità pubblicistica che permea l’intera operazione di finanziamento agevolato e che induce ad individuare nell’apertura della procedura concorsuale il momento genetico di un autonomo credito restitutorio in capo al garante pubblico.

Resta il problema, evidenziato dal provvedimento commentato, del cronico ritardo con cui il concessionario della riscossione è uso presentare la domanda di ammissione al passivo per conto di MCC. Sovente tale ritardo supera tanto il termine concesso dall’art. 208, comma 2, CCII per la presentazione di domande tardive, quanto il termine ulteriore eventualmente concesso dal comma 3 per la presentazione di domande ultratardive: sessanta giorni dal momento in cui sia cessata la causa, non imputabile all’istante, che ne abbia impedito la presentazione tempestiva. La sanzione, talora rigorosamente applicata dalla giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Brescia, decr. 11 giugno 2020; Trib. Torino, decr. 23 settembre 2022; Trib. Milano, decr. 4 novembre 2025), sarebbe quella dell’inammissibilità della domanda, dichiarabile de plano dal giudice delegato con decreto soggetto a reclamo.

Proprio il criterio ermeneutico enucleato dal Giudice Delegato presso il Tribunale di Modena, volto a favorire la partecipazione del garante pubblico al concorso, potrebbe giustificare un’applicazione meno rigorosa dell’art. 208, comma 3, CCII. Questa norma risponde ad esigenze di celerità e concentrazione del procedimento di verifica del passivo che, tuttavia, possono essere sacrificate in presenza di superiori interessi pubblici; tant’è che ne risulta doverosa la disapplicazione allorquando essa venga a costituire ostacolo o impedimento al recupero di aiuti di Stato in ottemperanza a una decisione della Commissione europea (cfr. Cass., sez. I civ., ord. 11 aprile 2025, n. 9451). Pure i finanziamenti agevolati da garanzia pubblica costituiscono aiuti di Stato, in tanto ammissibili in quanto rispondenti al criterio del “de minimis” o conformi ai regolamenti di esenzione emanati dalla Commissione europea. Il criterio ermeneutico proposto potrebbe, allora, consentire di ritenere ammissibile la domanda del garante pubblico, quantunque presentata fuori termine, purché tempestivamente preannunciata dalla banca finanziatrice nella sua precedente domanda di ammissione. Ciò avviene regolarmente, giacché imposto a pena d’inefficacia della garanzia dal par. H.1, n. 3, delle disposizioni operative sul fondo di garanzia per piccole e medie imprese. Si salvaguarderebbe, così, l’interesse pubblico, senza con ciò correre il rischio di arrecare grave nocumento alle esigenze di coerenza sistematica sopra evidenziate.

Un definitivo chiarimento in materia potrà finalmente pervenire dalla Suprema Corte, che a breve sarà chiamata ad esaminare ex professo la questione – a buon diritto ritenuta avere “rilievo nomofilattico” – in pubblica udienza (cfr. Cass., sez. I civ., ord. interlocutoria 29 ottobre 2025, n. 28602).

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