25 Novembre 2025

Cessazione del rapporto di apertura di credito

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

L’apertura di credito costituisce, nel panorama bancario, una delle operazioni attive di maggiore diffusione e rilevanza. Ai sensi dell’art. 1842 c.c., essa si configura come il contratto mediante il quale la banca – nella veste di accreditante – si obbliga a mettere a disposizione dell’altra parte – l’accreditato – una somma di denaro, per un periodo definito oppure a tempo indeterminato, riconoscendo a quest’ultimo la facoltà di utilizzarla secondo le modalità stabilite in contratto.

Come osservato in dottrina, si tratta di un negozio di credito puro, nel quale l’oggetto non è tanto il godimento immediato della somma, quanto la disponibilità stessa del credito (G. Molle; G. Ferri). La giurisprudenza ha confermato tale impostazione, già con Cass. n. 69/1967, sottolineando come la funzione dell’istituto consista nel consentire all’accreditato l’accesso a una disponibilità di denaro destinata a esigenze originariamente indeterminate, sia quanto al momento della loro manifestazione, sia quanto alle modalità di soddisfazione. Tale caratteristica, rafforzata dal richiamo alle forme d’uso di cui all’art. 1843 c.c., comporta una significativa elasticità di utilizzo del credito, come ulteriormente confermato da Cass. n. 1539/1969. È proprio questa flessibilità che distingue l’apertura di credito da altre figure negoziali caratterizzate dall’erogazione immediata delle somme.

In tale contesto, il tema dell’estinzione del rapporto assume rilievo sistematico fondamentale. L’estinzione può avvenire in più ipotesi, delineate dalla disciplina codicistica e dalla giurisprudenza. Qualora il contratto sia a tempo determinato, l’estinzione si verifica alla scadenza del termine; nell’apertura di credito semplice, l’estinzione coincide con la restituzione integrale delle somme utilizzate. Per i contratti a tempo indeterminato, rileva il recesso, esercitabile sia dalla banca sia dall’accreditato. La banca può inoltre recedere, anche nei contratti a tempo determinato, qualora sussista una «giusta causa».

Altre ipotesi di estinzione riguardano il decesso dell’affidato, per effetto della natura personale del rapporto e della sua non trasmissibilità agli eredi, con l’eccezione dell’accreditato persona giuridica, in cui l’oggetto della valutazione bancaria è l’impresa. Analogamente, la sopravvenuta incapacità dell’affidato determina l’estinzione del contratto, come ribadito da Cass. n. 957/1969, poiché il carattere fiduciario dell’apertura di credito esclude la prosecuzione del rapporto con gli eredi o con il rappresentante dell’incapace. Un’ulteriore ipotesi di recesso dell’accreditato trova fondamento nell’art. 118 TUB, in tema di modifiche unilaterali delle condizioni contrattuali (ius variandi).

La cessazione del rapporto comporta la perdita immediata della disponibilità delle somme accreditate e l’obbligo di restituzione degli importi utilizzati, salvo che questi non siano già stati reintegrati mediante versamenti successivi. Contestualmente, l’accreditato è tenuto al pagamento di commissioni e interessi connessi alla messa a disposizione e all’utilizzo delle somme.

Particolare attenzione merita l’ipotesi di estinzione per scadenza del termine contrattuale. In assenza di previsioni specifiche o di norme d’uso, trova applicazione l’art. 1183 c.c., secondo cui, giunta la scadenza, l’accreditato perde la disponibilità delle somme ed è obbligato alla immediata restituzione degli importi utilizzati e dei relativi accessori (G. Ferri).

In conclusione, l’estinzione dell’apertura di credito si inserisce in un intreccio sistematico in cui la struttura fiduciaria del rapporto, la funzione economica dell’istituto e la disciplina codicistica concorrono a delineare un quadro rigoroso, fondato sull’equilibrio tra le esigenze dell’intermediario creditizio e quelle del cliente, nel pieno rispetto dei principi civilistici che regolano i contratti bancari.

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