Atto compiuto dall’amministratore eccedendo i propri poteri di rappresentanza: una ipotesi di inopponibilità di tali limitazioni nei confronti dei terzi, ex art. 2384, co. 2, c.c.
di Asia Bartolini, Dottoressa in Legge Scarica in PDFCass. civ., Sez. III, Ord., 03/03/2025, n. 5647
Parole chiave: società per azioni – rappresentanza della società – amministratori – atti eccedenti i poteri conferiti – nullità degli atti compiuti – oggetto sociale.
Massima: “Il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto non è affetto da nullità, poiché l’art. 2384, comma 2, c.c., nel testo ratione temporis applicabile, prevede solo l’inopponibilità delle limitazioni di tali poteri ai terzi, salvo che questi abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente.”.
Disposizioni applicate: art. 2384 c.c.
Il presente giudizio di Cassazione muove dalla controversia insorta tra la Nephrocare S.p.A. e la Asti Costruzioni S.r.l. – in qualità di società appaltatrice, in forza di un contratto d’appalto concluso nel novembre 2010 – convenuta in giudizio dalla prima innanzi al Tribunale di Napoli, unitamente all’architetto “A.A.” – quale direttori lavori – per ottenere il risarcimento del danno causato sia dalla difformità, rispetto a quanto pattuito, dovuta a negligenza e imperizia, imputabile ai convenuti, dei lavori eseguiti per adibire un immobile ad ambulatorio di nefrologia ed emodialisi, sia dei danni causatile dall’ inadempimento degli obblighi relativi all’ incarico d progettazione e direzione lavori, nonché per ottenere la restituzione di quanto percepito indebitamente dai convenuti.
Il Tribunale di Napoli, accogliendo parzialmente le domande di parte attrice, condannava le convenute, in solido, al risarcimento dei danni, liquidati in complessivi 126.002,83 Euro.
In riforma della sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Napoli rigettava integralmente la domanda risarcitoria proposta in primo grado dalla società Nephrocare S.p.A. nei confronti dell’architetto “A.A.”, e, inoltre, in accoglimento dell’ulteriore gravame proposto dalla Asti Costruzioni S.r.l., riduceva alla metà la somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni, dovuta dalla prima a favore della Nephrocare S.p.A..
Avverso tale sentenza, sulla base di quattro distinti motivi di impugnazione, proponeva ricorso in Cassazione la sola Asti Costruzioni S.r.l..
Con il secondo motivo di gravame, in particolare, parte ricorrente lamentava l’omessa valutazione di fatti e prove, con riferimento in particolare alle prove offerte relative alla nullità del contratto, causata sia dal difetto di rappresentanza dell’amministratore delegato di Nephrocare S.p.A., il quale aveva sottoscritto autonomamente e non congiuntamente al direttore operativo il contratto di appalto, sia con riferimento al verbale di collaudo.
Ebbene, nell’ambito di tale peculiare profilo, la Suprema Corte ha evidenziato come tale motivo di doglianza fosse assolutamente infondato e, in parte, inammissibile: condividendo il ragionamento già operato dalla Corte d’Appello di Napoli, infatti, la Corte di Cassazione ha riconosciuto come la carenza di poteri in capo all’amministratore della Nephrocare S.p.A. nella stipula del contratto di appalto per 181.000,00 Euro, per eccedenza dell’importo massimo del valore del contratto, fissato nella delibera del consiglio di amministrazione della detta società in data 10/05/2010 nell’ importo di 130.000,00 Euro, non poteva essere fatto rilevare dalla Asti Costruzioni S.r.l. e, comunque, con il pagamento della detta somma di 181.000,00 vi era stata ratifica dell’operato dell’amministratore unico della Nephrocare S.p.A..
La Suprema Corte, infarti, condividendo un consolidato orientamento giurisprudenziale ha ribadito che il contratto stipulato dall’amministratore di una società eccedendo dai poteri di rappresentanza fissati dall’atto costitutivo e dallo statuto non è affetto da nullità, atteso che la norma di cui all’art. 2384, 2 co., c.c., nel testo applicabile alla fattispecie “ratione temporis“, prevede soltanto l’inopponibilità ai terzi delle limitazioni suddette, salvo che costoro abbiano agito intenzionalmente a danno della società, così escludendo implicitamente che la violazione della disposizione possa essere invocata dal terzo contraente.
La Corte di Cassazione ha poi precisato che ai fini dell’opponibilità al terzo contraente delle limitazioni dei poteri di rappresentanza degli organi di società di capitali, l’art. 2384, 2 co., c.c., nel testo novellato dall’art. 5 del D.P.R. n. 1127 del 1969, richiede non già la mera conoscenza della esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento, o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di danno per la società.
La Corte di Cassazione, pertanto, alla luce delle ragioni sopra indicate, ha rigettato il ricorso, statuendo il principio di diritto sopra indicato.
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