11 Aprile 2017

Sull’intervento del terzo nel procedimento divorzile e sulla ripartizione dell’onere della prova in materia di contributo al mantenimento per il figlio maggiorenne

di Giuliana Mento Scarica in PDF

Trib. Torino 26 settembre 2016

[1] MATRIMONIO – CESSAZIONE EFFETTI CIVILI – INTERVENTO VOLONTARIO DEL FIGLIO MAGGIORENNE – AMMISSIBILITA’ (Cod. civ., art. 337 septies; cod. proc. civ. artt. 105, 268 c.p.c.).

[2] MATRIMONIO – CONTRIBUTO AL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE – INDIPENDENZA ECONOMICA – INVERSIONE ONERE DELLA PROVA (Cod. civ., artt. 337 septies, 2697 e 2729).

[1] Il figlio maggiorenne non ancora economicamente indipendente può intervenire nel processo di divorzio tra i genitori per chiedere che sia posto a carico del genitore non collocatario l’obbligo di versare direttamente a sé un assegno per il proprio mantenimento.

[2] L’onere della prova dell’indipendenza economica raggiunta dal figlio maggiorenne grava sul genitore che chiede l’azzeramento del contributo al mantenimento e può essere soddisfatto anche mediante presunzioni.

IL CASO

[1][2]Parte ricorrente si rivolgeva al Tribunale per ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio e la revoca dell’assegno per il mantenimento della moglie e del figlio maggiorenne. Al riguardo, deduceva la contrazione della propria disponibilità economica a fronte di una persistente rendita percepita dalla moglie derivante da investimenti mobiliari ed immobiliari; infine, affermava l’abbandono degli studi da parte del figlio e lo svolgimento di attività lavorativa. La convenuta in giudizio si costituiva acconsentendo alla richiesta di divorzio ed opponendosi alla domanda di revoca del contributo. Con atto di intervento adesivo dipendente, il figlio negava l’autosufficienza economica e aderiva alle conclusioni del genitore convivente.

LA SOLUZIONE

[1] Il giudice di merito dichiara la sussistenza della legittimazione ad agire in capo al figlio che fa valere il diritto alla conservazione del contributo e riconosce che la pretesa è caratterizzata da una connessione di tipo oggettivo con quella attorea, volta ad azzerarlo, attuando in tal modo la concentrazione e l’economia processuale.

[2] L’assegno di mantenimento per il discendente maggiorenne è revocato poiché non è stata raggiunta da parte opponente la prova sulla circostanza per la quale il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica sia derivata da una circostanza non imputabile al figlio.

LE QUESTIONI

[1]Il recente provvedimento emanato dal Tribunale di Torino in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio affronta il tema dell’intervento del figlio maggiorenne allorché il ricorrente abbia affermato il venir meno dei presupposti per la corresponsione di una somma per il suo mantenimento. Il punto di partenza dell’iter logico posto alla base della pronuncia consiste nel riconoscere la sussistenza di un diritto iure proprio in capo al figlio maggiorenne avente ad oggetto la percezione di un assegno periodico dal genitore. Ciò deriverebbe da un’interpretazione sistematica dell’art. 337 septies c.c., che riprende una norma di analogo tenore, l’art. 155 quinquies c.c., precedentemente inserita nella disciplina della separazione personale con la novella l. 8 febbraio 2006, n. 54 e successivamente collocata con d. leg. 28 dicembre 2013, n. 154 all’interno del titolo IX del libro primo del c.c. Tale norma attribuirebbe in via diretta e generale alla prole il diritto al proprio mantenimento e, solo in ipotesi residuali, un diritto iure proprio in capo al genitore convivente, come nel caso di figlio ancora minorenne. Tale premessa costituisce il presupposto per l’affermazione sul piano processuale della legittimazione ad agire (in tal senso in giurisprudenza Trib. Venezia 18 aprile 2007, Corriere merito, 2007, 1404). Per contro, prima della riforma sul regime di affidamento condotta con L. 8 febbraio 2006, n. 54, in dottrina si escludeva la legittimità di un intervento da parte dei figli nel giudizio di separazione stante il carattere personalissimo dell’azione (in argomento, A.R. Eremita, L’intervento dei figli maggiorenni nei giudizi di separazione e divorzio, in Famiglia e Diritto, 2009, 327 ss.).

Sotto il profilo dell’ammissibilità dell’intervento nel giudizio de quo, il giudice torinese osserva poi che sussiste la connessione di tipo oggettivo di cui all’art. 105 c.p.c. tra la domanda attorea e quella dell’interveniente. Infatti, quest’ultimo aderisce alle ragioni della madre circa la perdurante necessità della previsione di un contributo in suo favore, senza che ne risulti ampliato l’oggetto del giudizio. In tal modo, la pronuncia risulta conforme all’orientamento più recente del giudice di legittimità, secondo il quale l’intervento volontario del figlio diretto a far valere un diritto connesso o collegato con l’oggetto sostanziale della lite assolve ad «una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento – anche in forma ripartita – del contributo al mantenimento, sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati» (per tutte, Cass. 19 marzo 2012, n. 4296, Foro it., 2012, I, 1389).

[2] In secondo luogo, il Tribunale si sofferma sulla ripartizione dell’onere della prova in ordine alla richiesta di revoca del contributo al mantenimento per raggiunta indipendenza economica del discendente. In applicazione della regola dettata dall’art. 2697 c.c., al ricorrente spetta fornire la prova sull’autosufficienza del figlio o, come ritiene la Corte di cassazione, «che il mancato svolgimento di una attività economica retribuita dipende da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso» (Cass. 6 novembre 2006, n. 23673, Guida al dir., 2006, fasc. 45, 30). Al riguardo, il giudice di merito osserva che il decorso del tempo e l’avanzare dell’età del figlio, il quale non perfeziona il percorso scolastico avviato e si dedica a diverse attività professionali accantonando definitivamente la possibilità di riprendere gli studi, rendono plausibile un suo stabile inserimento nel modo lavorativo. Ciò varrebbe a far ritenere come acquisita l’indipendenza economica di cui all’art. 337 septies c.c., poiché le circostanze dedotte costituiscono presunzioni precise e concordanti sul punto. L’onere probatorio incombe perciò sulla parte resistente, cui compete la dimostrazione del fatto negativo consistente nella non colpevolezza dell’inerzia o nella giustezza del rifiuto di svolgere una qualche attività lavorativa, alla stregua di una situazione di fatto non imputabile. Ricade pertanto su quest’ultima il mancato conseguimento della prova.