Anche l’intangibilità dello stato passivo cede dinanzi alle ragioni di tutela del consumatore
di Luca Andretto, Avvocato Scarica in PDFParole chiave
Consumatore – Procedura concorsuale – Stato passivo – Intangibilità – Ripartizione dell’attivo – Clausole abusive – Rilievo officioso – Cedevolezza – Provvedimenti provvisori
Massime:
[1] L’art. 6, par. 1, e l’art. 7, par. 1, Dir. n. 93/13/CEE del Consiglio, del 05.04.1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letti alla luce del principio di effettività, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale preveda che, nell’ambito di una procedura concorsuale relativa a persone fisiche, dopo che lo stato passivo sia stato approvato da un organo giurisdizionale, senza che lo stesso abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, e dopo che la procedura sia stata avviata per la ripartizione dell’attivo dinanzi al tribunale, quest’ultimo sia vincolato da tale stato passivo, sicché non può valutare il carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo sul quale si fonda un credito iscritto in detto stato passivo, né modificare tale stato passivo, ma deve sospendere la procedura e rimettere al suddetto organo giurisdizionale la questione del carattere eventualmente abusivo di tali clausole.
[2] L’art. 6, par. 1, e l’art. 7, par. 1, Dir. n. 93/13/CEE, letti alla luce del principio di effettività, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che, nell’ambito di una procedura concorsuale relativa a persone fisiche, non preveda la possibilità, per il tribunale, di disporre provvedimenti provvisori diretti a regolare la situazione del debitore in attesa di una decisione che concluda l’esame del carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo su cui si fonda un credito inserito nello stato passivo approvato da un altro organo giurisdizionale, senza che quest’ultimo abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi.
Riferimenti normativi
Direttiva n. 93/13/CEE del Consiglio del 05.04.1993, artt. 6 e 7; Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, art. 47; Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, art. 267.
CASO
L’ordinamento polacco riserva alle persone fisiche non esercitanti attività economica, le quali versino in stato di sovraindebitamento, una procedura concorsuale che richiama pressappoco la liquidazione controllata di diritto italiano. Così come nel nostro ordinamento (cfr. art. 273 CCII), lo stato passivo è predisposto direttamente dal liquidatore di nomina giudiziale; ma in Polonia si rende necessario un intervento approvativo del giudice delegato, il quale può anche modificare d’ufficio lo stato passivo, salva la possibilità che siano proposte impugnazioni al tribunale concorsuale (in composizione collegiale). Così come nel nostro ordinamento (cfr. art. 272, comma 3-bis, e art. 268, comma 4, lett. b, CCII), sono compresi nell’attivo i beni e i crediti che pervengono al debitore sino alla sua esdebitazione, ivi inclusa quota parte dello stipendio percepito in corso di procedura. Così come nel nostro ordinamento (cfr. 275, comma 5, CCII), la ripartizione dell’attivo viene eseguita in conformità alle risultanze dello stato passivo; ma in Polonia è il tribunale concorsuale (in composizione collegiale) a predisporre il progetto di ripartizione e a conoscere delle relative impugnazioni. Lo stato passivo approvato dal giudice delegato è vincolante per il tribunale concorsuale, sicché quest’ultimo non può effettuare autonomi accertamenti in ordine all’esistenza dei crediti: qualora ravvisi incongruenze, l’unico mezzo di cui dispone è quello di rinviare gli atti al giudice delegato, affinché verifichi la necessità di modificare d’ufficio lo stato passivo. La conseguente dilatazione dei tempi finirebbe, però, per procrastinare l’effetto esdebitatorio agognato dal debitore.
Nel caso di specie, il sig. Wiszkier (nome di fantasia) versava in stato di sovraindebitamento e il suo principale creditore era una banca che gli aveva erogato un mutuo ipotecario indicizzato. Aperta la procedura concorsuale presso il Tribunale Centrale di Łódź, il liquidatore inserì il credito vantato dalla banca nello stato passivo che il giudice delegato, in mancanza di obiezioni, approvò senza modifiche. Il giudice delegato stabilì altresì che, in pendenza di procedura, metà dello stipendio del sig. Wiszkier andasse a comporre l’attivo da distribuire ai creditori. Al momento di predisporre il progetto di ripartizione, tuttavia, il tribunale concorsuale ravvisò il carattere abusivo di alcune clausole del contratto di mutuo, la cui potenziale nullità avrebbe potuto finanche azzerare il credito della banca. Di ciò non si era avveduto il giudice delegato, né il sig. Wiszkier era stato informato dei diritti conferitigli dalla normativa di recepimento della Dir. n. 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. L’unica soluzione percorribile, consistente nel rinvio degli atti al giudice delegato, avrebbe comportato una dilatazione della procedura e, frattanto, la metà dello stipendio del sig. Wiszkier avrebbe continuato ad essergli ingiustamente trattenuta.
Il tribunale concorsuale sollevò, quindi, ai sensi dell’art. 267 TFUE, questione pregiudiziale d’interpretazione degli artt. 6 e 7, Dir. n. 93/13/CEE, chiedendo alla Corte di Giustizia: (i) se queste disposizioni ostino a una normativa nazionale che, nell’ambito di una procedura concorsuale, vincola la distribuzione dell’attivo alle risultanze dello stato passivo, impedendo di effettuare in tale sede una valutazione delle clausole contrattuali sotto il profilo del loro eventuale carattere abusivo; e (ii) se queste disposizioni impongano, nelle more della valutazione al riguardo, di concedere provvedimenti provvisori volti a salvaguardare transitoriamente gli interessi del consumatore.
SOLUZIONE
L’art. 6, par. 1, Dir. n. 93/13/CEE, impone agli Stati membri di privare di vincolatività «le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista». Il successivo art. 7, par. 1, impone agli Stati membri di approntare «mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Al § 40 della sentenza, la Corte di Giustizia precisa che la predisposizione di tali mezzi di tutela rientra nell’autonomia procedurale dei singoli Stati membri, fermo restando che non può trattarsi di tutele «meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe assoggettate al diritto interno (principio di equivalenza)» e che la loro struttura non può essere tale da rendere «praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dal diritto dell’Unione (principio di effettività)».
Ciò posto, la Corte di Giustizia richiama ai §§ 37 e 38 la propria costante giurisprudenza secondo cui l’art. 6, par. 1, Dir. n. 93/13/CEE «deve essere considerata una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico» (cfr. Corte Giust., sent. 21 dicembre 2016 in causa n. C-154/15, Gutiérrez Naranjo); pertanto, «il giudice nazionale è tenuto a esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della Dir. n. 93/13/CEE e, in tal modo, a ovviare allo squilibrio che esiste tra il consumatore e il professionista, non appena disponga degli elementi di diritto e di fatto necessari a tal fine» (cfr. Corte Giust., sent. 17 maggio 2022 in causa n. C-600/19, Ibercaja Banco; cfr. altresì Corte Giust., sent. 4 giugno 2009 in causa n. C-243/08, Pannon GSM; Corte Giust., sent. 9 novembre 2010 in causa n. C-137/08, Penzugyi Lizing; Corte Giust., sent. 30 maggio 2013 in causa n. C-488/11, Asbeek Brusse; Corte Giust., sent. 4 giugno 2020 in causa n. C-495/19, Kancelaria Medius).
La violazione del dovere di rilevazione officiosa non è priva di conseguenze, che ricadono sulla stessa idoneità della decisione assunta ad acquisire autorità di cosa giudicata. Ai §§ 54 e 55, in linea con il proprio indirizzo giurisprudenziale, la Corte di Giustizia evidenzia come l’intangibilità di un provvedimento non osti necessariamente a un successivo controllo giurisdizionale circa il carattere eventualmente abusivo delle clausole contrattuali rilevanti: «l’obbligo di un simile controllo d’ufficio è giustificato dalla natura e dall’importanza dell’interesse pubblico sotteso alla protezione che la Dir. n. 93/13/CEE conferisce ai consumatori, sicché un controllo efficace dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, come richiesto da tale Direttiva, non potrebbe essere garantito se si conferisse l’autorità di cosa giudicata alle decisioni giurisdizionali che non danno atto di un siffatto controllo» (cfr. Corte Giust., sent. 17 maggio 2022 in causa n. C-600/19, Ibercaja Banco; cfr. altresì Corte Giust., sent. 6 ottobre 2009 in causa n. C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones; Corte Giust., sent. 26 gennaio 2017 in causa n. C-421/14, Banco Primus; Corte Giust., sent. 17 maggio 2022 in cause riunite n. C-693/19, SPV Project, e n. C-831/19, Banco di Desio e della Brianza; Corte Giust., sent. 9 aprile 2024 in causa n. C-582/21, Profi Credit Polska II).
L’obiettivo ritenuto imprescindibile è quello di assicurare al consumatore una delibazione giudiziale effettiva, in qualsiasi stato e grado, in ordine all’eventuale natura abusiva delle clausole contrattuali rilevanti per la decisione della controversia. Qualora tale delibazione manchi, sia a causa di un error in procedendo all’origine della decisione, sia a causa dell’inerzia processuale del consumatore medesimo, la questione deve poter essere successivamente sollevata o rilevata d’ufficio in ogni altra sede giurisdizionale competente. L’unica eccezione, richiamata al § 43, è costituita dall’ipotesi in cui il consumatore resti completamente passivo (cfr. Corte Giust., sent. 6 ottobre 2009 in causa n. C-40/08, Asturcom Telecomunicaciones); ma il § 49 precisa che tale completa passività non è configurabile allorquando risulti che egli «ignora i suoi diritti» o «viene dissuaso dal farli valere a causa delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe oppure dell’onere finanziario di cui dovrebbe farsi carico» (cfr. Corte Giust., sent. 4 giugno 2020 in causa n. C-495/19, Kancelaria Medius; Corte Giust., sent. 17 maggio 2022 in causa n. C-600/19, Ibercaja Banco).
Nel caso di specie, per un verso, il sig. Wiszkier non era stato informato, né dal liquidatore, né dal giudice delegato, circa la possibile inefficacia delle clausole contenute nel contratto di mutuo ipotecario indicizzato. Per altro verso, il pregiudizio che egli avrebbe subito a causa di una dilatazione dei tempi della sua procedura concorsuale era obiettivamente tale da scoraggiarlo nel far valere i propri diritti pure dinanzi al tribunale concorsuale. Per tali ragioni, la Corte di Giustizia esclude che il suo atteggiamento potesse considerarsi completamente passivo. Nel rispondere alla prima questione pregiudiziale, quindi, accorda al tribunale concorsuale polacco, in sede di ripartizione dell’attivo, il potere di valutare direttamente il carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto di mutuo, senza ritenersi vincolato dallo stato passivo approvato dal giudice delegato.
Con riguardo alla seconda questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia osserva ai §§ 65 e 66 come il principio di effettività imponga di «garantire un elevato livello di protezione ai consumatori» (cfr. Corte Giust., sent. 25 novembre 2020 in causa n. C-269/19, Banca B.), con la conseguenza che «il giudice nazionale deve poter applicare provvedimenti provvisori per consentire la piena efficacia dei diritti che il consumatore trae dalla Dir. n. 93/13/CEE» (cfr. Corte Giust., sent. 15 giugno 2023 in causa n. C-287/22, Getin Noble Bank; cfr. altresì Corte Giust., sent. 26 ottobre 2016 in cause riunite da n. C-568/14 a n. C-570/14, Fernández Oliva). La Corte di Giustizia, quindi, suggerisce al tribunale concorsuale polacco di valutare l’adozione di un provvedimento provvisorio con cui, in attesa della decisione sul carattere abusivo delle clausole contenute nel contratto di mutuo, venga ridotta la misura della trattenuta sullo stipendio del sig. Wiszkier, adeguandola alla prospettabile riduzione dell’ammontare dei crediti da soddisfare.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
[1] Nella liquidazione controllata di diritto italiano, lo stato passivo viene formato dal liquidatore in via amministrativa, mentre l’intervento dell’autorità giudiziaria è solo successivo ed eventuale: l’art. 273 CCII stabilisce al comma 3 che, con il deposito da parte del liquidatore, «lo stato passivo diventa esecutivo»; e al comma 4 individua quale possibile rimedio il reclamo al giudice delegato, il quale provvede con decreto ricorribile per cassazione. La natura amministrativa di questo subprocedimento, in mancanza di tempestiva opposizione od impugnazione, non impedisce allo stato passivo esecutivo di acquisire l’intangibilità propria del giudicato interno alla procedura concorsuale: pure nella liquidazione coatta amministrativa lo stato passivo è formato in via amministrativa dal commissario liquidatore (secondo la disciplina generale oggi dettata dall’art. 310 CCII) e, ciò malgrado, la giurisprudenza non ha esitato ad attribuirvi l’efficacia del «giudicato endofallimentare» (Cass., sez. I civ., sent. 19 febbraio 2003, n. 2476; cfr. altresì Cass., sez. I civ., ord. 30 giugno 2023, n. 18591). L’intangibilità dello stato passivo esecutivo nel contesto della liquidazione controllata trova conferma nell’art. 275, comma 5, CCII, secondo cui «Il liquidatore provvede alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione secondo l’ordine delle cause di prelazione risultante dallo stato passivo».
Paiono, allora, estensibili alla liquidazione controllata le tralatizie statuizioni della giurisprudenza di legittimità in ordine al rapporto tra verifica del passivo e ripartizione dell’attivo nella procedura fallimentare (oggi nella liquidazione giudiziale): «il decreto di formazione dello stato passivo se non impugnato preclude nell’ambito del procedimento fallimentare ogni questione relativa alla esistenza ed entità del credito ammesso nonché alla efficacia del titolo da cui esso deriva ed alla esistenza di cause di prelazione», mentre «le questioni di graduazione di dette cause ed in genere quelle concernenti la collocazione di un credito rispetto agli altri hanno la loro sede di risoluzione nella fase di ripartizione dell’attivo» (Cass., sez. I civ., sent. 30 luglio 1998, n. 7481; cfr. altresì Cass., sez. I civ., sent. 24 settembre 2010, n. 20180; Cass., sez. I civ., sent. 14 gennaio 2016, n. 525; Cass., sez. I civ., sent. 21 ottobre 2020, n. 22954; Cass., sez. I civ., ord. 2 agosto 2023, n. 23544). In sede di ripartizione dell’attivo, dunque, resta precluso il riesame delle questioni già definite con la dichiarazione di esecutività dello stato passivo.
La sentenza della Corte di Giustizia sovverte ora questo principio, ogni qualvolta esso si scontri con le ragioni di tutela del consumatore, da considerarsi prioritarie in quanto equiparate a ragioni di ordine pubblico.
In sede di verifica del passivo, tanto il giudice delegato nella liquidazione giudiziale, quanto il liquidatore nella liquidazione controllata, debbono sempre porsi la questione se, nel rapporto contrattuale da cui trae titolo il credito insinuato, il debitore persona fisica abbia agito «per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta» (secondo la definizione di consumatore data sia dall’art. 3, lett. a, D.Lgs. n. 206/2005, sia dall’art. 2, lett. e, CCII). Ciò può verificarsi nella liquidazione giudiziale, qualora vi soggiaccia un imprenditore individuale o una persona fisica socia illimitatamente responsabile di società di persone; è, peraltro, evidente che le ipotesi più frequenti siano destinate a verificarsi nella liquidazione controllata, che è procedura concorsuale residuale aperta all’imprenditore non soggetto a liquidazione giudiziale così come al non imprenditore. In caso di esito positivo della verifica, poi, il giudice delegato o il liquidatore sono tenuti a valutare d’ufficio se le clausole contrattuali vadano considerate abusive ai sensi degli artt. 33 ss., D.Lgs. n. 206/2005, che recepiscono la Dir. n. 93/13/CEE, ed eventualmente a dichiararle nulle ai sensi del successivo art. 36.
Laddove il giudice delegato o il liquidatore escludano che il debitore abbia agito come consumatore, o comunque escludano che nel contratto fossero presenti clausole abusive, dando atto in motivazione di aver condotto tali verifiche con esito negativo, lo stato passivo non impugnato né opposto è destinato a rimanere intangibile in sede di ripartizione dell’attivo. Laddove, al contrario, tali verifiche non vengano svolte o di esse non venga dato atto in motivazione, la sentenza della Corte di Giustizia impone oggi che la questione consumeristica venga esaminata in sede di ripartizione dell’attivo; e, se ritenuta fondata, l’intangibilità dello stato passivo è destinata a venir meno, per cedere il passo alle prioritarie ragioni di tutela del consumatore. Viene, così, sancito il superamento del giudicato endoconcorsuale, per ragioni equiparabili a quelle di ordine pubblico.
[2] Minore impatto è destinata ad avere, nel nostro ordinamento, la statuizione secondo cui, nelle more della decisione sulla natura abusiva delle clausole contrattuali, l’autorità competente per la ripartizione dell’attivo deve poter concedere provvedimenti provvisori volti a salvaguardare transitoriamente gli interessi del consumatore. Si può ipotizzare una sospensione cautelare della liquidazione dell’attivo, ove sussistano ancora beni da liquidare, in applicazione analogica dell’art. 52 CCII dettato per il caso di reclamo contro la sentenza di apertura della liquidazione giudiziale. Non sembra, invece, ipotizzabile una sospensione totale o parziale delle trattenute sullo stipendio, sulla pensione o sul salario del debitore, il cui ammontare non dipende dalla consistenza del passivo, bensì, ai sensi degli artt. 146, comma 1, lett. b, e 268, comma 4, lett. b, CCII, esclusivamente dalla determinazione «di quanto occorre al mantenimento suo e della sua famiglia».
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

