Azione revocatoria di scissione societaria ai sensi dell’art. 2901 c.c. e art. 66 l.fall
di Federico Callegaro, Cultore di Diritto Commerciale presso l' Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCassazione Sezioni Unite sentenza n. 5089 del 12 novembre 2025[2]
Parole chiave: Revocatorio scissione societaria ex 2901 cod. civ. e art. 66 l. f.all. – prevalenza competenza del Tribunale Fallimentare
Riferimenti normativi: Cod. Civ.: art. 2503, art. 2506-ter, comma 5, 2506-quater, comma 3, art. 2901, art. 2949; Fall: 66[3].
CASO
Il Tribunale di Parma nel disporre la separazione di alcune cause relative a domande subordinate proposte da distinti fallimenti, nei confronti dei medesimi soggetti ed aventi ad oggetto la revocatoria di atti di scissione societaria che, secondo gli attori, avrebbero costituito «l’architrave negoziale» di un’operazione fraudolenta con cui, su suggerimento degli istituti bancari interessati, si era fatto luogo a una ristrutturazione del debito maturato dalle società in bonis, «modificando le condizioni di affidamento del patrimonio sociale a danno e delle società gerite e dei creditori», ha dichiarato la propria incompetenza a conoscere delle stesse. Ciò definendo che dovessero essere trattate e decise avanti alla Sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale di Bologna. A sua volta, quest’ultima, dichiarandosi incompetente decidere, ha formulato istanza di regolamento di competenza investendo la Corte di Cassazione cui è seguita, da parte della Prima Presidente – a fronte dell’ordinanza interlocutoria della Prima Sezione – l’assegnazione alle Sezioni Unite.
Giova osservare come sia l’ordinanza della Sezione specializzata che quella della Prima Sezione della Corte di Cassazione, abbiano preso le distanze da un recente precedente di Legittimità[4] secondo cui “l’azione revocatoria dell’atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità al creditore del detto negozio, rientra tra le controversie devolute alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, riguardando in via diretta le società coinvolte ed, in particolare, i fenomeni modificativi ed estintivi del loro assetto”.
La questione sottoposta alle S.U. è stata la seguente “Se l’azione revocatoria, esperita ai sensi dell’art. 2901 c.c. e 66 l. fall., nei confronti di un atto di scissione societaria sia da ricomprendere nelle cause e procedimenti ‘relativi a rapporti societari ivi compresi quelli concernenti l’accertamento, la costituzione, la modificazione o l’estinzione di un rapporto societario’, di cui alla lett. a) del secondo comma dell’art. 3 d.lgs. n. 168 del 2003, per i quali è stabilita la competenza delle Sezioni specializzate in materia di impresa, o se dette domande, non rientrando nell’ambito di applicazione della norma citata, siano soggette alla disciplina ordinaria sul riparto di competenze”.
SOLUZIONE
Le S.U.[5], quale incipit dell’analisi delinea il perimetro per l’ammissibilità del regolamento di competenza d’ufficio escludendola nel caso in cui il secondo giudice, adito a seguito della riassunzione, neghi di essere competente per materia[6] o per territorio inderogabile[7].
Viene inoltre sottolineato come, nel caso in esame, il Giudice che ha proposto il regolamento abbia ritenuto come nella controversia in esame la competenza, a decidere in merito alle domande di revocatoria ex artt. 2901 c.c. e 66 l. fall., non spettasse in via funzionale ed inderogabile alla Sezione specializzata in materia di impresa, ma rientrasse ratione materiae, oltre che ratione loci, in quella del Tribunale di Parma originariamente adito.
La Corte. a tale proposito, richiamando quanto aveva avuto occasione di osservare la medesima Corte con riferimento alla competenza – anch’essa “ratione materiae” – della sezione specializzata agraria, sia stato in proposito rilevato che nella revocatoria l’inefficacia non costituisce una forma di tutela di una parte del negozio contro l’altra, ma una “forma di tutela di terzi estranei al rapporto e che non sono aventi causa di una delle parti negoziali, i quali esercitano un diritto loro conferito autonomamente dalla legge in virtù della loro posizione di creditori insoddisfatti e del fallimento di una delle parti del contratto revocando”[8]. Su tale principio si fondava la competenza funzionale del tribunale fallimentare rispetto all’azione revocatoria, anche quando ne sia oggetto un contratto di affittanza agraria stipulato dal fallito con riguardo a suoi fondi.
Avuto riferimento, quindi, al profilo “relativo alla possibile interferenza tra azione revocatoria e assetto societario”:
– pur rilevando quanto osservato in dottrina per il significato che l’atto di scissione assume sul piano della riorganizzazione societaria, nell’ambito della destinazione di risorse da un progetto imprenditoriale ad un altro, ritiene “tuttavia incontestabile” avvenga attraverso l’assegnazione patrimoniale, ex art. 2506 c.c. “che integra un vero e proprio trasferimento”[9];
– richiamando come la competenza si determini sempre dalla domanda, nel caso di specie l’azione revocatoria sia volta a neutralizzare, nei confronti del creditore, l’effetto dispositivo dell’atto di scissione, le S.U. sottolineano come non si verta sul ruolo che l’atto scissorio gioca nella partita relativa alla complessiva rimodulazione dell’assetto societario; quanto, piuttosto, alla domanda del creditore finalizzata a vedere “che lo spostamento patrimoniale posto in essere con l’atto scissorio sia dichiarato privo di inefficacia nei propri confronti”[10];
– al termine di questo preliminare escursus le S.U. precisano che “ciò non basta tuttavia ad escludere che l’azione revocatoria della scissione si sottragga alla competenza del tribunale delle imprese”. Rilevando, a questo punto, come tale competenza possa ricavarsi, “per i rapporti che non sono interni alla società e che coinvolgono i terzi, dalla causa petendi della domanda proposta, in cui assume rilievo la specifica connotazione giuridica di un fatto o di un atto societario”, risulta decisivo il fatto che a fondamento della domanda vi sia un atto corporativo costituito dal negozio di scissione, “produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore” e rispetto al quale è necessario poi ricorrano, in via alternativa, le condizioni soggettive di cui all’art. 2901,comma 1, nn. 1 e 2, c.c.”. Viene sottolineata, inoltre, la distinzione tra le due responsabilità, aquiliana nell’un caso per l’ipotesi di responsabilità da condotta dell’organo gestorio, diversamente per “l’azione revocatoria dell’atto scissorio che “viene in discorso” per il pregiudizio[11] che arreca alla garanzia patrimoniale del creditore;
– la competenza del Tribunale delle Imprese, quindi, “va affermata in ragione di questa connotazione sostanziale della pretesa azionata, che indirizza la causa verso un accertamento che investe l‘atto di scissione, quale atto endosocietario, se pure nella prospettiva necessitata dalla specificità dell’azione proposta” e ciò con riferimento anche all’azione revocatoria ordinaria. Si richiama all’attenzione il venir sottolineato come “la previsione del secondo comma dell’art. 66 l.fall. “miri evidentemente ad evitare la trattazione delle revocatorie ordinarie e di quelle fallimentari (ex art. 67) del curatore” evitando, così, la pendenza di due azioni, l’una in via subordinata rispetto all’altra, avanti a giudici differenti.
Definita la doverosa prima parte del complessivo escursus, pertinente il preliminare e sostanziale rapporto tra l’azione revocatoria ordinaria e quella ex art. 66 l.fall. sul quale fondare la decisione, le S.U.:
– richiamando che la inderogabilità del tribunale fallimentare viene “pacificamente, per le cause che, a norma dell’art. 24 l. fall. derivano dal fallimento”, ed in particolare lo è “per le controversie destinate, comunque, ad incidere sulla procedura concorsuale, tali da doversi dirimere necessariamente in seno alla procedura stessa, onde assicurarne l’unità e garantire la par condicio creditorum”[12];
– derivandone come ciò non possa devolversi alla competenza del Tribunale fallimentare proprio in ragione del fatto che l’azione revocatoria ex art. 66 l. fall viene ad incidere sulla procedura fallimentare “(visto che il vittorioso esperimento dell’azione giova, come si è detto, alla massa dei creditori, i quali potranno soddisfarsi sul ricavato del bene recuperato all’attivo fallimentare)”;
– evidenziando ciò trova applicazione anche in caso di concorso con altre “competenze confliggenti, ancorché a loro volta inderogabili”[13]; ricordano come risulti recessiva, sempre rispetto alla competenza fallimentare, la competenza in materia locatizia di cui agli artt. 21 e 447-bis c.p.c.;
– precisando, infine, come tale conclusione si impone anche con riguardo alla competenza del tribunale delle imprese, la quale soccombe, dunque, rispetto a quella del giudice fallimentare[14] .
Principi di diritto
“L’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c. dell’atto di scissione societaria, diretta alla declaratoria di inopponibilità del negozio al creditore, è devoluta alla competenza della sezione specializzata in materia di impresa, poiché, pur non introducendo una controversia relativa a rapporti tra società, soci e organi sociali, e pur non risultando diretta ad incidere, come l’opposizione ex artt. artt. 2506-ter, 2503 e 2503-bis c.c., sulla scissione, privandola di efficacia erga omnes, investe un tipico atto dell’organizzazione societaria, che, in quanto produttivo di un pregiudizio per la garanzia patrimoniale del creditore e in quanto posto in essere in presenza delle condizioni soggettive previste alternativamente dal comma 1, nn. 1 e 2, del cit. art. 2901 c.c., entra a far parte della causa petendi dell’azione proposta, qualificando il corrispondente giudizio come relativo a un rapporto societario”
“L’azione revocatoria ex art. 66 l. fall. dell’atto di scissione societaria è devoluta alla competenza del tribunale fallimentare, la quale prevale su quella del tribunale delle imprese”.
In materia di spese
Si richiama all’attenzione, infine, un ulteriore elemento decisivo espresso dalle SU, in materia di spese del Giudizio di Legittimità, definito secondo il seguente percorso logico:
– la richiesta di regolamento di competenza d’ufficio ai sensi dell’art. 45 c.p.c., è esclusivamente promuovibile dal giudice per l’immediato rilievo della propria competenza;
– non può essere riferita alla volontà delle parti;
– tali parti, nel procedimento che ne segue, “restano in una identica posizione di partecipanti coatte”;
– ne deriva come, le stesse, “non possano incorrere in una soccombenza valutabile con limitato riguardo a tale fase processuale” non venendo ad adottare, quindi, le SU nessuna statuizione in ordine alle spese per tale fase.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
Atteso come la pronuncia faccia riferimento ad una fattispecie cui non si applica la nuova regolamentazione in materia di Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, appare non solo opportuno ad evidenti fini di chiarezza espositiva richiamare una correlazione con quest’ultima, evidenziando alcuni elementi significativi dell’intervento legislativo, quanto ad un eventuale consolidamento di pertinente giurisprudenza nel tempo sviluppatasi[15].
I riferimenti normativi che qui si considerano sono, sostanzialmente, gli artt. 9 e 66 del R.D. n. 267 del 15 marzo 1942 e gli artt. 27 e 165 del D.Lgs n. 14 del 12 gennaio 2019.
Come rilevabile anche dalla recente giurisprudenza, in uno con l’art. 9 (Competenza) ha sollevato non poche eccezioni sfociate in controversie legali, in ragione dell’evoluzione operativo gestionale delle imprese societarie e dello sviluppo delle operazioni straordinarie ad esse connesse – in particolare alle operazioni di fusione, scissione, trasferimento di azienda o ramo di azienda a soggetti terzi o riconducibili ad un gruppo societario di diretta partecipazione (passiva od attiva) od indiretta avuto riguardo a partecipazioni riconducibili a reciproci (parzialmente od integralmente ) ai propri soci –[16].
La formulazione dell’art. 27 del CCI nella parte, pur limitatamente alle ipotesi di imprese assoggettabili all’amministrazione straordinaria e a gruppi di imprese di rilevante dimensione[17], colloca la competenza non già presso il tribunale di pertinenza del centro dei rispettivi interessi principali bensì, fermo quest’ultimo parametro, presso il competente Tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di imprese. Se da un lato detta scelta appare suggerita dalla rilevanza che le vicende societarie possono assumere in taluni contesti societari al ricorrere di Crisi di Impresa, e, quindi, favorire l’intervento anche giudiziario al ricorrere del caso in termini di unitarietà e migliore coordinamento, appare legittimo ritenere che, così facendo, il legislatore non abbia comunque inteso inserire un’eccezione, così significativa, da configurarsi (forse) un’alterazione dei principi di parità ed eguaglianza., atteso anche il coordinamento con quanto previsto dall’art. 286 del CCI.
[1] Ora art.1 65 CCI.
[2] Data pubblicazione 26 febbraio 2025.
[3] Ora art. 165 del CCII.
[4] Cass. 5 febbraio 2020, n. 2754.
[5] Non aderendo alle conclusioni scritte del Procuratore Generale con cui veniva richiesto dichiararsi la competenza della Sezione specializzata anziché quella del Tribunale Fallimentare.
[6]Citando propri precedenti: Cass. Sez. U. 18 gennaio 2018 n. 1202 e Cass. 2 ottobre 2018, n. 23913).
[7] Citando proprio precedente: Cass. 29 marzo 2023, n. 8891.
[8] Cass. 16 giugno 1990 n. 6082, principio successivamente ribadito da Cass. 14 dicembre 2001 n. 15821 e Cass. 13 ottobre 2011, n. 21196.
[9] Richiamando un precedente delle S.U. (15 novembre 2016, n. 23225).
[10] Sul punto richiamando, inoltre, una Pronuncia della Corte Giust. UE, nella parte in cui puntualizza che tale azione “ha per oggetto soltanto la tutela dei creditorii i cui diritti sono stati lesi dalla scissione” rendendo così indisponibile nei loro confronti la scissione in questione, “non produce effetti nei confronti di tutti ” (C-394/18, punti 85 e 86).
[11] Sempre, sottolineano le S.U. nel concorso delle condizioni soggettive previste nell’art. 2901 c.c.
[12] Cass. 30 agosto 2004, n. 17440; Cass. 20 luglio 2004, n. 13496; Cass. 21 dicembre 2002, n. 16183.
[13] Citando un precedente di legittimità, in materia locatizia di cui agli artt. 21 e 447-bis c.p.c. ( Cass. 30 agosto 2004, n. 17440 e Cass. 20 luglio 2004, n. 13496).
[14] Richiamando Cass. 24 ottobre 2017, n. 25163, in relazione all’ipotesi dell’esperimento dell’azione ex art. 2467, comma 1, c.c., quanto all’obbligo dei soci di restituire i rimborsi ottenuti l’anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società).
[15] Sul punto, infra multis, si richiama in particolare quanto riportato a pagg. 1242 e 1266 nel Commentario breve alle leggi su CRISI D’IMPRESA ED EISOLVENZA (/Maffei Alberti Alberto, Speranzin Marco, CEDAM, ed.. 2025).
[16] Si consideri come la variazione di tale articolo sia stata apportata ancora con Il DLS 9 gennaio 2006, n. 5, disponendo con il suo l’art. 7, comma 1), la modifica dell’art. 9, commi 2 e 3 e l’introduzione di due nuovi commi dopo l’ultimo.
[17] Nonché a gruppi di imprese di rilevante dimensione
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