2 Settembre 2025

L’ex coniuge che percepisce parte delle reversibilità non ha diritto anche all’assegno successorio

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile sez. I, ordinanza del 14/07/2025 n.19290

Assegno successorio a carico dell’eredità- stato di bisogno – reversibilità

(art. 9 bis e art. 9 comma 3 legge n. 898/1970)

Massima: “L’assegno successorio a carico dell’eredità in favore dell’ex coniuge titolare di assegno divorzile postula lo stato di bisogno del richiedente. In caso di percezione di una quota di pensione di reversibilità o di pensione indiretta che ripristina sostanzialmente la situazione che si era consolidata prima che venisse meno l’introito derivante dall’assegno divorzile, e in concomitanza con le altre sostanze o forme di reddito, non sorge il dovere contributivo in capo all’erede dell’ex coniuge.”

CASO

L’ex moglie divorziata da circa venti anni, già titolare di un assegno divorzile di 800 euro, avanza una domanda di assegno successorio di 1.500 euro a carico dell’eredità in seguito alla morte dell’ex coniuge. L’attuale moglie del defunto aveva ereditato un cospicuo patrimonio compresa un’azienda di ricambi moto con elevato fatturato annuo di cui in precedenza era stata titolare anche la ex moglie.

Sia il tribunale che la Corte d’appello respingono la domanda e la donna ricorre in Cassazione la quale precisa il principio di diritto in materia e rinvia alla Corte di merito per il riesame della questione sulla base delle indicazioni enunciate.

Riassunto il giudizio, la Corte d’appello ha ugualmente respinto il reclamo. Il principio ribadito dalla Cassazione rimarcava la natura assistenziale dell’assegno a carico dell’eredità previsto dall’art. 9 bis della legge n. 898/1970. L’ex coniuge deve trovarsi in stato di bisogno, ossia senza risorse economiche necessarie per soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita. Inoltre, come espressamente richiesto dalla norma, detto assegno va quantificato in base agli elementi espressamente indicati dallo stesso art. 9 bis, cioè tenendo conto, oltre che della misura dell’assegno di divorzio, dell’entità del bisogno, dell’eventuale pensione di reversibilità, e delle sostanze ereditarie.

Queste le ragioni del mancato riconoscimento dell’assegno da parte della Corte d’appello.

Si sottolinea il fatto significativo per cui la ricorrente non si sarebbe attivata, pur avendone diritto, per richiedere parte della pensione di reversibilità se non nelle more del primo giudizio. La donna era stata infatti sposata per 9 anni e la percentuale richiesta e accantonata dall’INPS sarebbe stata del 50% del trattamento pensionistico.

Un’altra circostanza rilevante che contraddiceva l’asserito stato di bisogno era rappresentata dall’aver beneficiato degli utili dell’azienda in comproprietà con l’ex marito per la cifra complessiva di seicento milioni di lire grazie alla quale era stata acquistata una villetta dalla cui locazione turistica la donna avrebbe ricavato un discreto reddito.

SOLUZIONE

L’ex coniuge ricorre in Cassazione anche contro questa seconda pronuncia lamentando la contraddittorietà e illogicità della motivazione poiché era stato escluso lo stato di bisogno sulla base di circostanza di fatto valutate erroneamente.

In particolare, sulla valenza della futura percezione della reversibilità così come quantificata dai giudici di merito, ma anche gli ulteriori fatti accertati, si sarebbero fondati su una mera previsione astratta. L’INPS ha poi di fatto riconosciuto alla donna il 40% della pensione indiretta per l’importo di circa 780 euro e non il 50% come prospettato dai giudici di merito.

La Corte ha giudicato inammissibili i motivi di ricorso. I giudici dell’appello hanno esercitato il loro potere valutativo sui fatti e sull’esito delle relative prove, anche in forza di presunzioni concordanti, e tale facoltà non può essere sindacata in sede di legittimità e sottoposto alla Cassazione per ottenere un terzo grado di giudizio di merito.

Pertanto, correttamente è stato accertato che la pensione dell’ex coniuge sostanzialmente corrispondente all’ammontare dell’assegno divorzile e ripristina la situazione economica prima esistente, che la ricorrente è anche proprietaria di una villetta che è stata messa a reddito e in definitiva che la richiedente l’assegno successorio possiede risorse economiche idonee a soddisfare le essenziali e primarie esigenze di vita e non si trova in stato di bisogno.

QUESTIONI

I principi espressi nel provvedimento in esame richiamano precedenti di legittimità consolidati, come nella sentenza della Cassazione n. 1253/2012. Nel caso di specie si trattava di un ex coniuge proprietaria di un immobile di 5 vani in zona di pregio, che beneficiava della pensione sociale di circa 420 euro mensili e con risparmi per circa 12.000 euro accantonati anche grazie alle somme ricevute a titolo di assegno divorzile di una certa consistenza.

La Corte, negando il riconoscimento dell’assegno successorio a carico dell’eredità, ha specificato che tale contributo ha natura alimentare e quindi l’entità del bisogno deve essere valutata in analogia a quanto previsto dall’art. 438 cod. civ.  in materia di alimenti.

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