3 Ottobre 2017

Il versamento dell’«ulteriore importo a titolo di contributo unificato» in caso di inammissibilità, improcedibilità o integrale infondatezza dell’impugnazione. Casi di esclusione

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Cass. civ., sez. VI, 25 luglio 2017, n. 18348 – Pres. Petitti – Rel. Lombardo

Impugnazioni – Impugnazione principale inammissibile – Impugnazione incidentale tardiva inefficace ex art. 334 c.p.c. – Raddoppio del contributo unificato, ex art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/2002, anche per l’impugnante incidentale – Esclusione (Cod. proc. civ., art. 334; d.P.R. 30 maggio 2002, n. 155, art. 13, co. 1-quater)

[1] Quando l’impugnazione incidentale tardiva diviene inefficace ai sensi dell’art. 334, co. 2, c.p.c., l’impugnante incidentale non è tenuto a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dall’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/2002.

 CASO

[1] Avverso una sentenza di appello venivano proposto ricorso per cassazione. La parte impugnata resisteva con controricorso e ricorso incidentale tardivo.

Il ricorso principale veniva dichiarato inammissibile. Il ricorso incidentale tardivo, ai sensi dell’art. 334, co. 2, c.p.c., diveniva inefficace.

La Corte riteneva sussistenti i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a mente dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.

Si poneva alla Corte il quesito se tale versamento dovesse imporsi anche al ricorrente in via incidentale tardiva.

SOLUZIONE

[1] Secondo la Suprema Corte, in caso di applicazione dell’art. 334, co. 2, c.p.c., l’impugnante incidentale non è tenuto al versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato di cui all’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002. Il ricorso incidentale va considerato tamquam non esset.

QUESTIONI

[1] Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002 «Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso».

Secondo la giurisprudenza la funzione della disposizione è quella di «scoraggiare le impugnazioni dilatorie e pretestuose».

Nell’ottica del caso concreto la decisione della Corte è condivisibile. Tuttavia, non è così scontata, perché talvolta il combinato disposto di norme fiscali e norme processuali genera situazioni di dubbia equità. Per tutte, si pensi al contributo unificato dovuto per l’impugnazione incidentale della parte totalmente vittoriosa che si sia vista rigettare solo alcune eccezioni.

Ad ogni modo, nel caso di specie la soluzione appare comunque imposta dalla chiara lettera della legge. Infatti, quando l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale tardiva «perde ogni efficacia» (art. 334, co. 2, c.p.c.). La perdita di ogni efficacia determina il mancato scrutinio dell’impugnazione incidentale, sicché questa non è dichiarata né inammissibile (ad es. ex art. 342 c.p.c.) né improcedibile (ad es. ex art. 369 c.p.c.) né infondata.

La giurisprudenza, in maniera condivisibile, esclude inoltre dall’ambito di applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002:

  • la cessazione della materia del contendere [in argomento, v. la motivazione di Cass., 25 febbraio 2016, n. 3711, secondo la quale «la sanzione in esame appare collegata all’esito oggettivo dell’impugnazione, e cioè agli effetti concreti del provvedimento che la definisce, nel senso che essa è applicabile solo laddove il procedimento di impugnazione si concluda con la integrale conferma, senza alcuna modifica, della statuizione impugnata (sia per motivi di merito che di mero rito), mentre non ha alcun rilievo, ai fini che qui interessano, l’accessoria decisione sulle spese di lite (che segue diverse logiche). Poiché la inammissibilità per cessazione della materia del contendere determina ‘la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in cosa giudicata’ (così, espressamente, Cass., sez. un., n. 1048 del 28 settembre 2000), essa, sul piano oggettivo, non può certamente essere equiparata al rigetto integrale o alla “ordinaria” dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione, pronunzie che, al contrario, determinano il passaggio in giudicato – sia formale che sostanziale – del provvedimento impugnato. D’altra parte, la valutazione di virtuale fondatezza, infondatezza o inammissibilità del ricorso che viene operata dopo la dichiarazione di cessazione della materia del contendere ha esclusivo rilievo ai fini della regolazione delle spese del giudizio di legittimità, e quindi non può ripercuotersi sulla diversa questione dell’eventuale sussistenza dei presupposti per l’operatività della sanzione del versamento del doppio contributo unificato»; cfr. Cass., 10 febbraio 2017, n. 3542; Cass., 31 gennaio 2014, n. 2226].
  • il sopravvenuto difetto di interesse, ad esempio per intervenuta transazione (Cass., 2 luglio 2015, n. 13636) oppure per assorbimento dell’impugnazione (Cass., 15 settembre 2014, n. 19464);
  • l’estinzione del giudizio di impugnazione [Cass., 3 aprile 2015, n. 6888; Cass., 30 settembre 2015, n. 19560; Cass., 30 settembre 2015, n. 19562; Cass., 12 novembre 2015, n. 23175, sottolinea che la natura lato sensu sanzionatoria della misura ne esclude l’applicazione analogica. Infatti, le ipotesi di improcedibilità possono apparire in tutto analoghe alle fattispecie di estinzione: la questione è stata affrontata anche da Corte cost., 30 maggio 2016, n. 120, secondo cui l’estinzione in appello ex 181, 309 e 359 c.p.c. non è fattispecie assimilabile ex art. 3 Cost. all’improcedibilità ex art. 348 c.p.c.; la Consulta afferma: «La loro applicazione [degli artt. 181 e 309 c.p.c.] e la conseguente emissione di un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo e di estinzione del processo richiedono, infatti, la mancata comparizione di tutte le parti alla prima udienza ed a quella successiva alla quale la causa sia stata rinviata, nell’assunto che tale comportamento costituisca una tipica manifestazione di disinteresse alla prosecuzione del processo. Detto disinteresse, emergendo dopo la costituzione delle parti in secondo grado – quando le stesse hanno già disvelato le rispettive tesi difensive e dopo l’eventuale adozione dei provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata – ed accomunandole nella condotta processuale, è verosimile espressione della comune decisione di non comparire e, non di rado, di coordinamento o accordo tra le parti stesse. Tali peculiarità rispetto alla fattispecie della mancata comparizione del solo appellante alla prima udienza impediscono di considerare alla stessa stregua la contemporanea mancata comparizione di tutte le parti del giudizio di appello, epilogo presumibile indice di una composizione stragiudiziale della controversia potenzialmente frutto del precedente dispendio di energie processuali. In tal caso non avrebbe quindi senso – a riprova della differenza intercorrente con la fattispecie dell’improcedibilità – sanzionare la condotta della (sola) parte appellante, peraltro omologa a quella dell’appellato, scoraggiando un esito auspicabile sotto il profilo dell’economia processuale oltre che dell’assetto sostanziale degli interessi in conflitto».]

Si escludono inoltre, ma in maniera più discutibile:

  • le impugnazioni esenti dal contributo unificato (Cass., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26280: nella specie, in materia di ricorso per cassazione avverso le sanzioni disciplinari del CNF);
  • le impugnazioni proposte da parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato (Cass., 2 settembre 2014, n. 18523).

L’opinabilità di tali esclusioni non risiede nell’interpretazione che la Corte offre dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115/2002. Infatti, la disposizione richiede il pagamento di un «ulteriore importo»: non essendo dovuto l’importo “originario”, è difficile individuare un importo «ulteriore». Piuttosto, è criticabile l’effetto: di regola, alle impugnazioni infondate, anche se in concreto né dilatorie né pretestuose, si applica l’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/2002; alle impugnazioni dilatorie e pretestuose proposte dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato la disposizione, paradossalmente, non si applica.

Sul tema, v. le osservazioni di Gola-Beraldo, Il raddoppio del contributo unificato: disciplina e criticità, in Dir. prat. trib., 2017, 1733 ss.