17 Marzo 2020

Sulla possibilità di escludere il socio moroso nell’esecuzione dei versamenti in sede di aumento del capitale

di Mario Cascavilla Scarica in PDF

Cass, Civ., sentenza n. 1185 del 21 gennaio 2020

Parole chiave: aumento di capitale – esclusione del socio – vendita in danno – aumento di capitalesocietà di capitali.

Massima: “Nel caso di mora del socio nell’esecuzione dei versamenti, dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società; pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l’assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall’aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l’indivisibilità della quota”.

Disposizioni applicate: art. 2466 c.c. – art. 2481 bis c.c.

La sentenza che si commenta fornisce risposta all’interrogativo attinente a se l’art. 2466 c.c. trovi applicazione al debito da sottoscrizione di un aumento di capitale ex art. 2481 bis c.c., oltre che al debito sorto in sede di costituzione della società per il conferimento iniziale.

Secondo quanto prescrive il comma 1 dell’art. 2466 c.c. – norma che, nell’ambito della disciplina delle società a responsabilità limitata, mira, anzitutto, alla tutela della situazione patrimoniale della società – “se il socio non esegue il conferimento nel termine prescritto, gli amministratori diffidano il socio moroso ad eseguirlo nel termine di trenta giorni […]”.

La disposizione descrive, nei successivi commi, il procedimento in cui, dall’iniziale richiesta di adempimento entro trenta giorni rivolta al socio, decorso inutilmente tale termine, si giunge, mediante scansioni alternative o successive, all’azione giudiziale di condanna all’adempimento, alla vendita proporzionale ai soci secondo il valore risultante dall’ultimo bilancio approvato, alla vendita all’incanto della quota.

Come extrema ratio, per il caso in cui la vendita della quota non abbia avuto luogo, la norma prevede l’ipotesi dell’esclusione del socio moroso, decisione cui segue inevitabilmente la riduzione del capitale sociale.

Il punto centrale da definire è quindi se, in ipotesi di morosità del socio nell’ambito dell’aumento realizzato nel corso della vita della società, l’operazione di riduzione del capitale sociale ex art. 2466, comma 3, c.c. debba riguardare l’intera quota di titolarità del socio moroso – e cioè, anche quella porzione di capitale sottoscritta in precedenza dal socio – oppure soltanto la porzione riguardante il nuovo aumento.

Nella fattispecie concreta giudicata dal supremo collegio, il socio di una S.r.l. ha lamentato la violazione dell’art. 2466 c.c. da parte della società, che lo aveva escluso poiché in mora nell’esecuzione dei versamenti dovuti a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione di un aumento del capitale sociale.

La società convenuta aveva infatti deliberato, in assemblea, un aumento del capitale sociale da Euro 12.000,00 (suddiviso tra tre soci, tra cui il ricorrente, nella misura del 33,33% ciascuno) a Euro 72.000,00, offerto in sottoscrizione ai soci in proporzione della partecipazione da ciascuno detenuta, pari a nominali Euro 4.000,00 e, quindi, per la somma di Euro 20.000,00 ciascuno.

Il socio ricorrente aveva sottoscritto, per intero, la quota di capitale a lui spettante, versando immediatamente la somma di Euro 5.000,00, pari al 25% della quota sottoscritta, mentre non aveva eseguito il versamento del restante 75% nel termine fissato dall’organo amministrativo.

All’esito all’assemblea in cui si era deliberato l’aumento ex art. 2481 bis c.c., il socio ricorrente risultava quindi socio per una quota di nominali Euro 24.000,00, di cui versati Euro 9.000,00 (ossia, Euro 4.000,00 conferiti all’atto della costituzione della società e Euro 5.000,00 versati in occasione dell’aumento del capitale) ed Euro 15.000,00 non ancora versati.

L’amministratore della società, una volta accertato l’inadempimento del socio al versamento dei decimi mancanti, deliberava, in mancanza di compratori, l’esclusione del socio, trattenendo le somme riscosse, mentre in un’assemblea successiva si provvedeva alla riduzione del capitale, ai sensi dell’art. 2466 c.c., comma 3.

Nel ricorso in cassazione il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2466 c.c. poiché, dovendosi ritenere la quota sociale divisibile, l’organo amministrativo avrebbe dovuto procedere, al più, alla vendita o all’annullamento della sola parte proporzionale non liberata relativa all’aumento di capitale ex art. 2481 bis c.c., senza attaccare la quota già detenuta sin dalla costituzione della società.

Per la soluzione della questione giuridica la Corte ha, in primo luogo, evidenziato la ratio sottesa all’art. 2466 c.c., che è evidentemente quella di preservare, quanto più possibile, il valore del capitale sociale, così come emerge, ad esempio, dall’analisi dei meccanismi interni della norma. Tra questi, infatti, l’ipotesi dell’esclusione del socio compare solo dopo una serie di altri rimedi finalizzati alla conservazione del valore della quota, rappresentati dall’azione di adempimento, dalla vendita proporzionale ai soci e dalla vendita all’incanto.

Una lettura rispettosa di questa ratio deve a parere della Corte condurre ad escludere che il meccanismo di cui all’art. 2466 c.c. possa essere esteso al caso in cui il socio abbia, prima dell’aumento che abbia condotto alla morosità in tal modo sanzionata, sottoscritto, in fase di costituzione o anche di un pregresso aumento di capitale, una quota senza far residuare debiti di conferimento.

È evidente infatti come adoperando la soluzione inversa si inciderebbe in misura maggiore, in termini negativi, sul patrimonio della società: estendere l’effetto della riduzione del capitale sociale all’intera quota di titolarità del socio moroso comporterebbe una riduzione del capitale maggiore rispetto a quella che deriverebbe dalla riduzione del capitale limitatamente alla porzione di quota oggetto di aumento rimasto in parte inadempiuto.

Alla medesima conclusione si giunge mediante una lettura della norma ispirata ai principi di buona fede e correttezza, ritenuti dalla Corte precetti che “necessariamente informano anche i rapporti societari”, la quale impone di circoscrivere gli effetti dell’inadempimento del socio alla sola porzione derivante dall’aumento di capitale eseguito durante la vita della società, facendo salvo, poiché l’inadempimento non lo riguarda, il conferimento regolarmente onorato in sede di costituzione della società.

Altresì convincente è l’argomento proposto dal ricorrente attinente alla divisibilità delle quote nell’ambito delle società a responsabilità limitata.

Su questo aspetto il collegio osserva che, mentre da un lato è vero che nella S.r.l. la quota è unica per ciascun socio, dall’altro la stessa è divisibile (salvo il caso, ovviamente, in cui sia lo statuto a prevedere espressamente l’indivisibilità della quota) come emerge, ad esempio, dalla lettera dello stesso art. 2466 c.c. – ove è previsto che la quota può essere venduta “agli altri soci in proporzione della loro partecipazione” – oltre che dall’art. 2473 c.c., comma 4, relativamente all’ipotesi di recesso del socio, nonché, in ragione della pacifica alienabilità parziale della quota sociale.

Definiti nei termini sopra indicati la ratio ed il perimetro applicativo dell’art. 2466 c.c., la Corte accoglie la domanda del socio avendo riscontrato, nel caso di specie, una violazione dell’art. 2466 c.c. da parte della società. Tale conclusione proprio in virtù della preesistenza, nella titolarità del socio, di una quota (quella di Euro 4.000,00) sottoscritta ed integralmente onorata in sede di costituzione della società; circostanza, questa, che rende illegittimo il ricorso da parte della società alla procedura di c.d. “vendita in danno” per l’intera partecipazione sociale posseduta dal socio e, conseguentemente, la decisione di escluderlo dalla compagine societaria.

La risposta al quesito iniziale si rivela, dunque, affermativa, fermo restando che sarà impossibile giungere all’esclusione del socio moroso laddove risulti, contestualmente:

 (i) che il socio è adempiente rispetto ad un precedente conferimento;

 (ii) che lo statuto non prevede espressamente l’indivisibilità della quota.

Al ricorrere di tali condizioni si potrà, al più, procedere alla riduzione del capitale sociale ex art. 2466 c.c. con esclusivo riguardo alla porzione di quota relativa all’aumento di capitale nel cui ambito si sia verificato l’inadempimento.