18 Luglio 2017

Il rigetto della domanda perché tardiva è idoneo al giudicato sostanziale?

di Alessandro Benvegnù Scarica in PDF

Cons. di Stato, 15 febbraio 2017, n. 682, – Pres.  Balucani – Est. Greco

Sentenza Questioni pregiudiziali di rito –Processo amministrativo – Decadenza per mancato rispetto dei termini di proposizione della domanda – Irricevibilità del ricorso – Sentenza di mero rito – Giudicato sostanziale – Esclusione – Efficacia vincolante in un nuovo giudizio – Esclusione (artt. 2909 c.c., C.p.c. 111; Cod. proc. amm. artt. 29, 35, 39)

L’esistenza di un precedente giudizio in cui la stessa domanda è stata respinta per mancata proposizione nel termine di legge non comporta alcuna preclusione nei confronti dell’avente causa dal precedente attore, in quanto la pronuncia già resa è inidonea ad acquisire stabilità di giudicato e come tale non vincola in futuri giudizi.

 CASO

Nell’ambito di una vicenda complessa, in cui si accavallano nel corso di 12 anni una pluralità di atti amministrativi, diversi giudizi di impugnazione, annullamenti in autotutela, atti di concessione in sanatoria e infine un accordo tra PA e soggetto resistente per il trasferimento in altro luogo dell’opera edilizia contestata, una società nel 2008 impugna tempestivamente avanti il TAR Puglia, con esito positivo, l’atto di concessione in sanatoria del medesimo anno rilasciato a una compagnia telefonica per la realizzazione di una stazione radio per la trasmissione di comunicazioni via cellulare, unitamente all’atto di autorizzazione paesaggistica del 2005, presupposto della sanatoria contestata.

La compagnia telefonica propone appello deducendo la violazione dell’art. 2909 c.c. Osserva che l’atto presupposto, i. e. la autorizzazione paesaggistica del 2005, cui ha fatto seguito l’atto di concessione in sanatoria del 2008 da ultimo impugnato, era già stato precedentemente contestato da diversa società, dante causa della odierna appellata, e che il giudizio si era chiuso nel 2007 con il rigetto dell’impugnazione perché proposta oltre il termine di legge. La tesi dell’appellante è, quindi, che sulla validità dell’atto impugnato si è formato il giudicato, opponibile anche all’odierna appellata, quale successore a titolo particolare nel diritto controverso.

SOLUZIONE

Il Consiglio di Stato respinge l’appello, rilevando che per consolidata giurisprudenza amministrativa sulle sentenze di mero rito, tra cui rientrano a suo avviso quelle che dichiarano irricevibile il ricorso per tardività dell’impugnazione, non si può formare giudicato alcuno. Diversa – aggiunge il Consiglio di Stato – è la decisione sula legittimazione o l’interesse a ricorrere . In questi casi – e per quanto l’art. 35 cod. proc. amm. qualifichi espressamente «di rito» il rigetto per carenza di interesse –, se «la statuizione viene pronunciata a seguito di un accertamento rigoroso e motivato relativo alla sussistenza dei fattori sostanziali legittimanti all’azione in giudizio, allora tale sentenza ha attitudine a a spiegare i propri effetti anche in un diverso processo, sempre che non siano mutate le circostanze di fatto e vi sia identità di soggetti e oggetto dell’azione» (così pure Cons. Stato, 10 febbraio 2015, n. 713; Cons. Stato, 11 luglio 2014, n. 3602; T.R.G.A. Trentino A. Adige – Trento, 7 marzo 2013, n. 81).

QUESTIONI

Come già è stato oggetto di approfondimento in questa rivista, L’efficacia delle sentenze «a contenuto processuale» di Davide Turroni, vi è un tendenziale rifiuto a riconoscere alle sentenze a contenuto meramente processuale una validità al di fuori del giudizio in cui vengono pronunciate, poiché oggetto dell’accertamento sono solo i presupposti per cui il Giudice addivenga a una pronuncia sul merito, e, come tali, non sono suscettibili di avere efficacia sul rapporto sostanziale oggetto di lite tra le parti del giudizio, che non sarà quindi deciso con autorità di cosa giudicata ai sensi dell’art. 2909 c.c. (per la nascita di questi due paradigmi  cfr. Liebman, Efficacia e autorità della sentenza (ed altri scritti sulla cosa giudicata), Milano, 1962).

In relazione al caso oggetto di questo commento, ad esempio, secondo la giurisprudenza amministrativa “la tardività del ricorso è un vizio assoluto, atteso che decorso il termine legale ultimo, nessun giudice può occuparsi del ricorso, sicché il vizio non è emendabile ed è rilevabile d’ufficio anche in grado di appello” (T.A.R. Campania Salerno, 22 luglio 2013, n. 1656), ma “le sentenze che dichiarano l’irricevibilità, in rito, di un ricorso perché proposto oltre il termine di decadenza, non acquistano alcuna autorità di giudicato sostanziale ex art. 2909 c. c. sicché non impediscono che il gravame – dopo la declaratoria di incostituzionalità delle norme circa il termine decadenziale – possa essere riproposto ai fini del riconoscimento della fondatezza della pretesa” (così già una risalente pronuncia della Corte dei Conti, 2 agosto 1988, n. 72432  in Riv. Corte Conti, 1989, 3, 135 )

Nell’ambito della giurisprudenza amministrativa, dove l’art. 35 c.p.a. individua una serie di possibili pronunce preliminari di rito che possono essere emanate dal Giudice per definire il giudizio,  sono  così state dichiarate di natura meramente processuale, e quindi inidonee ad acquistare l’autorità di cosa giudicata, la pronuncia che accerta la natura di atto non autonomamente impugnabile del provvedimento oggetto del ricorso (T.A.R. Umbria Perugia, 29 aprile 2015, n. 191), la chiusura del processo senza esame nel merito dei motivi dell’impugnazione per mancata integrazione del contraddittorio (Cons. Stato, 22 febbraio 2011, n. 1095), la declaratoria di inammissibilità di una domanda in relazione al tipo di giudizio promosso (T.A.R. Piemonte Torino, 12 luglio 2013, n. 890),  o la pronuncia volta a negare sussistenza della giurisdizione amministrativa (Cons. Stato, 26 novembre 2013, n. 5629).

Bisogna notare in relazione all’ultima ipotesi citata che nel giudizio civile si tende invece ad affermare che le pronunce della Corte di cassazione sulla giurisdizione  (cfr. art. 59 l. 69/2009 e in giurisprudenza da ultimo Cass., Sez. un., 30  novembre 2016, n. 24372; Cass., Sez. un., 5 gennaio 2016, n. 29; Cass., Sez. un., 18 settembre 2014, n. 19670) e sulla competenza (cfr. artt. 44 e 310 c.p.c.) hanno efficacia vincolante tra le medesime parti anche al di fuori del giudizio in cui sono state rese di quel particolare processo.

Con riferimento alla legittimazione ad agire, la giurisprudenza civile distingue la legittimazione ad agire propriamente detta, che è questione di rito e si fonda sulla mera affermazione della titolarità del diritto azionato, dalla questione sulla titolarità effettiva del diritto, che è invece questione di merito la cui decisione è idonea al giudicato: vedi per tutte Cass. civ., sez. un.,  16 febbraio 2016, n. 2951, in questo Notiziario, 4/4/17, con nota di Lombardi, La titolarità del diritto è sindacabile in ogni stato e grado del processo? La risposta delle Sezioni unite.

Non danno luogo a un giudicato con effetti «eteroprocessuali» anche la sentenza che respinge la domanda per improcedibilità in pendenza di una procedura concorsuale  (Cass., 4 luglio 2014, n. 15383), per improponibilità della domanda per mancato rispetto del termine dilatorio previsto in materia di assicurazioni e risarcimento del danno da circolazione stradale (Cass., 16 dicembre 2014, n. 26377), e la declaratoria di inammissibilità per eccesiva genericità delle conclusioni presentate (Cass., 13 gennaio 2015, n. 341).