8 Febbraio 2022

La decorrenza del termine per riassumere il processo esecutivo sospeso a seguito di opposizione

di Maddalena De Leo, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile sez. III, 20/10/2021 n. 29188; Pres. Vivaldi; Rel. Tatangelo.

Pignoramento immobiliare – Opposizione all’esecuzione – Sospensione della procedura esecutiva –Riassunzione del processo esecutivo – Reclamo avverso l’ordinanza di rigetto dell’eccezione di estinzione del processo esecutivo – Estinzione del processo esecutivo – Opposizione agli atti esecutivi – artt. 615, 617, 624, 627, 630, 384 c.p.c.

Massima: “Il termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso a seguito della proposizione di una opposizione all’esecuzione decorre sempre, ai sensi dell’art. 627 c.p.c., al più tardi dal passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’opposizione (non avendo rilievo in proposito la relativa comunicazione alle parti costituite da parte della Cancelleria), anche nel caso in cui tale giudicato si determini in virtù di una decisione nel merito da parte della Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2”.

CASO

La creditrice BNL S.p.A., in forza di un titolo esecutivo giudiziale, agiva nelle forme del pignoramento immobiliare nei confronti dei debitori M.A. e B.A.M., i quali proponevano opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. Il giudice dell’esecuzione sospendeva il processo esecutivo ai sensi dell’art. 624 c.p.c.

L’opposizione, accolta in primo grado, veniva definitivamente rigettata dalla Corte di Cassazione con sentenza nel merito ai sensi dell’art. 384, co. 2, c.p.c., pubblicata in data 18 agosto 2013 e comunicata dalla Cancelleria il 13 ottobre 2013: la creditrice, pertanto, riassumeva il processo esecutivo con ricorso depositato soltanto in data 27 marzo 2014.

I debitori eccepivano l’avvenuta estinzione del processo esecutivo per la tardività della riassunzione e proponevano altresì opposizione agli atti esecutivi per far valere la nullità degli atti processuali posti in essere successivamente alla tardiva riassunzione.

L’eccezione di estinzione non veniva accolta dal giudice dell’esecuzione: avverso l’ordinanza di rigetto dell’eccezione i debitori proponevano reclamo ex art. 630 c.p.c.

La Corte di Appello di Firenze, dopo che il Tribunale di Grosseto aveva respinto il reclamo in quanto dichiarato tardivo, rigettava nel merito l’eccezione di estinzione per tardività della riassunzione.

I debitori ricorrevano quindi in Cassazione sulla base di un unico motivo, con il quale denunciavano la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 627 e 630 c.p.c.

In particolare, sostenevano che il termine per la riassunzione del processo esecutivo, secondo quanto dispone l’art. 627 c.p.c., decorra al più tardi dalla data del passaggio in giudicato della sentenza che ha rigettato l’opposizione e non dalla data di comunicazione della sentenza da parte della Cancelleria. Nel caso di specie, la data del passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’opposizione coincideva con la pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, avvenuta il 18 agosto 2013: pertanto, secondo i ricorrenti, la riassunzione avvenuta in data 27 marzo 2014 doveva essere ritenuta tardiva.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso.

In base all’art. 627 c.p.c., unica disposizione applicabile alla riassunzione di un processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 624 c.p.c., il termine per la riassunzione del processo esecutivo non può mai decorrere da un momento successivo al passaggio in giudicato dalla sentenza di rigetto dell’opposizione, in qualunque grado emessa. Invero, la previsione della decorrenza del termine di riassunzione dalla comunicazione della sentenza di appello di rigetto dell’opposizione ha unicamente finalità acceleratorie del processo esecutivo.

QUESTIONI

La questione che si è posta all’attenzione della Suprema Corte concerne l’interpretazione dell’art. 627 c.p.c., con particolare riguardo alla determinazione del dies a quo del termine per riassumere il processo esecutivo, sospeso ai sensi dell’art. 624 c.p.c., nel caso in cui la comunicazione da parte della Cancelleria della sentenza di rigetto dell’opposizione, emessa in un grado superiore al primo, avvenga in un momento successivo al passaggio in giudicato della stessa sentenza. Si tratta, pertanto, di stabilire se il termine di sei mesi per la riassunzione decorre al più tardi dal passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’opposizione ovvero dalla comunicazione della medesima sentenza da parte della Cancelleria.

Prima di affrontare tale questione centrale, la Corte di Cassazione non manca di analizzare le sentenze richiamate dalla Corte di Appello di Firenze a sostegno della tempestività della riassunzione.

In particolare, la sentenza della Corte Costituzionale n. 34/1970 riguarda il caso di sospensione ex art. 295 c.p.c. di un processo ordinario di cognizione per la pendenza di un pregiudiziale processo penale.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 297, primo comma, c.p.c., nella parte in cui individua nella cessazione della causa di sospensione il momento di decorrenza del termine utile per la richiesta di fissazione della nuova udienza. Tenuto conto delle eccessive difficoltà nel conoscere la data di cessazione della causa di sospensione da parte di chi non è parte del processo penale pregiudiziale, il Giudice delle leggi ha ritenuto che il termine per la richiesta di fissazione della nuova udienza dovesse decorrere dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione.

È evidente, pertanto, che la sentenza della Corte Costituzionale n. 34/1970 non rileva nel caso di specie, in quanto ha ad oggetto una ipotesi diversa dalla sospensione del processo esecutivo per opposizione all’esecuzione: la fattispecie posta all’attenzione del Giudice delle leggi rientra nel campo di applicazione dell’art. 297 c.p.c., non già dell’art. 627 c.p.c.

Neppure la sentenza della Corte di Cassazione n. 7760/2007 riguarda un’ipotesi di riassunzione del processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 624 c.p.c., per la proposizione di un’opposizione all’esecuzione. Invero, la Suprema Corte in tale decisione si era occupata della riassunzione del processo esecutivo sospeso per l’instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, una volta definito tale giudizio: trattasi di un’ipotesi non rientrante nel campo di applicazione dell’art. 627 c.p.c., che disciplina esclusivamente la riassunzione del processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 624 c.p.c., ovvero in caso di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., di opposizione di terzi ex art. 619 c.p.c. e, per la giurisprudenza, anche in caso di opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.

Le suddette decisioni – che, come sopra detto, erano state richiamate dalla Corte di Appello di Firenze a sostegno della non tardività della riassunzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 627 c.p.c. – secondo gli Ermellini non possono invece assumere alcuna rilevanza nella soluzione del caso concreto in quanto concernenti fattispecie differenti dalla riassunzione del processo esecutivo sospeso ex art. 624 c.p.c., non rientranti nel campo di applicazione dell’art. 627 c.p.c.

Passando quindi al cuore della questione, deve essere fin da subito ricordato che l’art. 627 c.p.c. dispone che la riassunzione del processo esecutivo sospeso ai sensi dell’art. 624 c.p.c. deve avvenire entro sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado ovvero dalla comunicazione della sentenza di appello che ha rigettato l’opposizione.

Il dubbio circa l’individuazione del dies a quo del termine per la riassunzione sorge nei casi in cui la comunicazione da parte della Cancelleria della sentenza di rigetto dell’opposizione, emessa in un grado successivo al primo, sia successiva al passaggio in giudicato della sentenza stessa, come avvenuto nel caso di specie.

Al fine di risolvere tale questione interpretativa, risulta necessario individuare la ratio dell’art. 627 c.p.c.: secondo la Suprema Corte, la previsione della decorrenza del termine dalla comunicazione della sentenza di rigetto dell’opposizione di secondo grado ha unicamente finalità acceleratoria del processo esecutivo. Il legislatore, invero, in caso di rigetto dell’opposizione con sentenza di primo grado non passata in giudicato, concede al creditore la facoltà di attendere la sentenza di secondo grado prima di riassumere l’esecuzione, in modo da evitare una riassunzione inutile con le relative conseguenze, anche sul piano risarcitorio.

Diversamente, in caso di sentenza di rigetto dell’opposizione di secondo grado, il legislatore ha anticipato la decorrenza del termine per la riassunzione alla comunicazione della sentenza di rigetto, non consentendo ulteriori attese. Il creditore, pertanto, deve riassumere il processo esecutivo entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza di rigetto dell’opposizione di secondo grado ovvero, in mancanza di questa, dal passaggio in giudicato della sentenza stessa.

In nessun caso il termine per la riassunzione può decorrere in un momento successivo al passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’opposizione, in qualunque grado sia stata emessa.

Ulteriori considerazioni vengono sviluppate dagli Ermellini non solo per confermare la bontà della soluzione adottata, ma anche per superare eventuali dubbi di incostituzionalità.

Innanzitutto, la Suprema Corte non manca di rilevare che il creditore è parte necessaria del giudizio di opposizione, così da poter agevolmente verificare la data del passaggio in giudicato della relativa sentenza. Ne consegue che non può essere considerato eccessivamente gravoso il regime che prevede come dies a quo il momento di passaggio in giudicato della sentenza di rigetto dell’opposizione, anche nel caso in cui esso consegua alla pubblicazione della sentenza di decisione nel merito della Corte di Cassazione – come avvenuto nel caso in esame. Ad escludere la gravosità del regime così delineato dalla Corte di Cassazione, deve essere anche considerato che il termine per la riassunzione non è affatto stringente, essendo di ben sei mesi.

In secondo luogo, non può non evidenziarsi che lo stesso art. 627 c.p.c. prevede espressamente che in caso di sentenza di rigetto dell’opposizione di primo grado passata in giudicato il termine per la riassunzione decorre dal passaggio in giudicato di tale sentenza, a prescindere dalla comunicazione da parte della cancelleria. La soluzione delineata nella sentenza in commento riproduce, nella sostanza, il medesimo regime previsto dal legislatore in caso di sentenza di primo grado passata in giudicato.

Deve peraltro aggiungersi che lo stesso ordinamento prevede un analogo regime all’art. 327 c.p.c.: il termine di sei mesi per proporre l’impugnazione della sentenza di merito decorre dalla pubblicazione della sentenza da impugnare, indipendentemente dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria.

Infine, non può non essere considerato che, se il termine per la riassunzione del processo esecutivo decorresse solo dalla comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, nei casi in cui il creditore non ha diritto ad alcuna comunicazione, il processo esecutivo rimarrebbe esposto al rischio di un’indefinita stasi.

È appena il caso di ricordare infine la consolidata giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che, in forza della previsione contenuta nell’art. 282 c.p.c. sull’immediata efficacia esecutiva della sentenza di primo grado, l’art. 627 c.p.c., nella parte in cui prevede la riassunzione del processo esecutivo nel termine di sei mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che rigetta l’opposizione all’esecuzione, vada inteso nel senso che la riassunzione debba compiersi non oltre tale momento (ovvero, se la sentenza viene impugnata, non oltre sei mesi dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetti l’opposizione). Infatti, secondo tale indirizzo, l’art. 627 c.p.c. non identifica il momento di insorgenza e, così, il dies a quo del potere di riassumere il quale, in conseguenza dell’immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione ai sensi dell’anzidetto art. 282 c.p.c, nasce con la sua stessa pubblicazione (Cass. 19-04-2018, n. 9624; Cass. 04-04-2017, n. 8683; Cass. 21-11-2011, n. 24447).

Tale orientamento non appare, però, condivisibile, sia perché l’art. 627 c.p.c. è norma affatto speciale rispetto all’art. 282 c.p.c., sia perché – secondo l’orientamento maggioritario in dottrina e nella stessa giurisprudenza nomofilattica – l’efficacia immediatamente esecutiva delle sentenze è limitata alle pronunce di condanna, ma non concerne le pronunce di mero accertamento, nel cui novero rientrano le sentenze sulle opposizioni esecutive (v. TEDOLDI, Esecuzione forzata, Pisa, 2021, 771 ss.).

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