2 Novembre 2021

Responsabilità medica, risarcimento dei danni da violazione del consenso informato e onere probatorio

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 2021, n. 2726 – Pres. Travaglino – Rel. Pellecchia

[1] Responsabilità medica – Onere probatorio – Risarcimento dei danni – Consenso informato – Causalità materiale – Causalità giuridica – Inadempimento – Causa non imputabile

(Cod. civ. 1223)

[1] “’L’onere probatorio inerente la causalità materiale grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore”

CASO

[1] Il caso origina dalla sentenza con cui la Corte d’appello di Napoli, confermando la decisione del Tribunale di Napoli, rigettava la domanda di risarcimento danni proposta da un uomo per le lesioni subite durante un intervento chirurgico eseguito in una struttura sanitaria. La Corte d’Appello, in particolare, sottolineava come «nessun inadempimento potesse essere addebitato ai sanitari della ASL appellata, giacché, come chiarito dalla CTU, l’infezione post-operatoria non era scrivibile ad una condotta imperita, negligente o imprudente dei sanitari – trattandosi di complicanza prevedibile ma non prevenibile – i quali gli avevano comunque prescritto una idonea terapia antibiotica, invitandolo altresì ad un controllo post-operatorio per la verifica della ferita chirurgica».

Il soccombente, pertanto, ricorreva in Cassazione affidando le sue doglianze a tre motivi di ricorso.

SOLUZIONE

[1] Per quanto di interesse con il primo motivo di ricorso il danneggiato denunciava l’erroneità della sentenza per aver la Corte d’appello negato che il creditore-attore avesse offerto la dimostrazione del nesso di causalità materiale tra la prestazione medica ricevuta presso la struttura e l’evento di danno lamentato; con il secondo motivo, invece, il ricorrente lamentava il mancato rilievo della carenza di consenso informato.

La Corte di Cassazione, dopo aver ripercorso e riaffermato fondamentali principi di diritto in tema di attività medico-chirurgica, ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile.

QUESTIONI

[1] La sentenza della Corte di Cassazione in epigrafe, con la quale è stata confermata la decisione d’appello, offre alla terza sezione l’occasione per ribadire alcuni fondamentali principi di diritto in tema di attività medico-chirurgica.

In prima istanza la Suprema Corte afferma che, nel caso di specie, la domanda risarcitoria avanzata è stata correttamente rigettata stante la mancata prova del nesso causale tra la condotta dei sanitari e l’evento di danno lamentato dal ricorrente. Tale onere probatorio, riguardante la causalità materiale, grava sul creditore e solo in seguito a tale prova grava sul debitore provare l’assenza di colpa, ovvero che l’inadempimento sia derivato da una causa non imputabile al debitore i.e. da un fattore imprevedibile e inevitabile (Cass. civ. 18392/2017; Cass. civ. n. 28991 e Cass. civ. 28992/2019).

Nel caso di specie, in particolare, sono state decisive le risultanze della perizia redatta dal C.T.U., secondo la quale i danni lamentati dal ricorrente erano etiologicamente riconducibili esclusivamente alla patologia di cui egli era affetto e cioè il diabete. Inoltre, la Corte d’appello ha ritenuto irrilevanti le doglianze relative alla mancanza della cartella clinica con adeguata motivazione, in quanto i danni lamentati non risultavano compatibili con l’operazione, seguita peraltro da una terapia ritenuta idonea dallo stesso consulente. In definitiva, l’affermazione dell’insussistenza di un qualsivoglia rapporto di causalità tra l’intervento e il percorso post-operatorio, da un canto, e la patologia diagnosticata a distanza di un anno, dall’altro, non è stata efficacemente contrastata dal ricorrente, che si è limitato a sovrapporre le proprie, soggettive considerazioni a quelle correttamente esposte nella sentenza impugnata

Più in generale, poi, in tema di risarcimento del danno per violazione del diritto al consenso informato, la sentenza in analisi richiama alcuni principi affermati più volte dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civ. n. 28985/2019; Cass. civ. n. 9706/2020 e Cass. n. 24471/2020):

  1. la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova fondamento diretto nei principi degli 2,13 Cost. e art. 32 Cost., comma 2;

  1. sebbene l’inadempimento dell’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente sia autonomo rispetto a quello inerente al trattamento terapeutico (comportando la violazione dei distinti diritti alla libertà di autodeterminazione e alla salute), in ragione dell’unitarietà del rapporto giuridico tra medico e paziente – che si articola in plurime obbligazioni tra loro connesse e strumentali al perseguimento della cura o del risanamento del soggetto – non può affermarsi una assoluta autonomia dei due illeciti tale da escludere ogni interferenza tra gli stessi nella produzione del medesimo danno; è possibile, invece, che anche l’inadempimento dell’obbligazione relativa alla corretta informazione sui rischi e benefici della terapia si inserisca tra i fattori “concorrenti” della serie causale determinativa del pregiudizio alla salute, dovendo quindi riconoscersi all’omissione del medico una astratta capacità plurioffensiva, potenzialmente idonea a ledere due diversi interessi sostanziali, entrambi suscettibili di risarcimento qualora sia fornita la prova che dalla lesione di ciascuno di essi siano derivate specifiche conseguenze dannose;

  1. qualora venga allegato e provato, come conseguenza della mancata acquisizione del consenso informato, unicamente un danno biologico, ai fini dell’individuazione della causa “immediata” e “diretta” (ex art. 1223 c.c.) di tale danno-conseguenza, occorre accertare, mediante giudizio controfattuale, quale sarebbe stata la scelta del paziente ove correttamente informato, atteso che, se egli avesse comunque prestato senza riserve il consenso a quel tipo di intervento, la conseguenza dannosa si sarebbe dovuta imputare esclusivamente alla lesione del diritto alla salute, se determinata dalla errata esecuzione della prestazione professionale; mentre, se egli avrebbe negato il consenso, il danno biologico scaturente dalla inesatta esecuzione della prestazione sanitaria sarebbe riferibile ab origine alla violazione dell’obbligo informativo, e concorrerebbe, unitamente all’errore relativo alla prestazione sanitaria, alla sequenza causale produttiva della lesione della salute quale danno-conseguenza;

  1. le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd. vicinanza della prova), essendo il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit: al riguardo, la prova può essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo configurabile un danno risarcibile in re ipsa derivante esclusivamente dall’omessa informazione.

In definitiva, come ribadito dalla Corte di Cassazione, i confini entro cui ci si deve muovere ai fini del risarcimento in tema di consenso informato sono i seguenti:

nell’ipotesi di omessa o insufficiente informazione riguardante un intervento che non abbia cagionato danno alla salute del paziente e al quale è egli avrebbe comunque scelto di sottoporsi, nessun risarcimento sarà dovuto;

nell’ipotesi di omissione o inadeguatezza informativa che non abbia cagionato danno alla salute del paziente ma che gli ha impedito tuttavia di accedere a più accurati attendibili accertamenti, il danno da lesione del diritto costituzionalmente tutelato all’autodeterminazione sarà risarcibile qualora il paziente alleghi che dalla omessa informazione siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, in termini di sofferenza soggettiva e di contrazione della libertà di disporre di sé, in termini psichici e fisici.

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