3 Ottobre 2017

I rapporti tra donazione indiretta e azione revocatoria ordinaria in una “innovativa” pronuncia di merito

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Con una pronuncia del  6 maggio 2016, n. 2305, il Tribunale di Salerno ha ritenuto applicabile alle ipotesi di donazione indiretta, l’istituto dell’azione revocatoria ordinaria.

Tale provvedimento è stato accolto con favore da alcuni interpreti che hanno visto in esso, finalmente, un efficace strumento teso a garantire una sempre più efficace ed effettiva tutela dei diritti dei creditori.

Se, indubbiamente, fine ultimo del giudice era quello di garantire adeguata tutela a un creditore, il ragionamento logico-giuridico posto a base della decisione non appare, a giudizio dello scrivente, condivisibile.

La vicenda vedeva coinvolti in un atto di compravendita i figli di Tizio, debitore verso Caio, i quali si rendevano acquirenti di un immobile dalla società Alfa srl. In giudizio veniva accertato (almeno in parte, come verrà a breve precisato) che il prezzo per l’acquisto del bene immobile era stato versato direttamente alla società venditrice da parte di Tizio stesso.

Si tratta, in sostanza, della annosa questione, più volte sottoposta all’esame della giurisprudenza di legittimità, dell’acquisto di un bene immobile con denaro altrui che, nell’ottica della Suprema Corte, configurerebbe una donazione indiretta dell’immobile.

E proprio a tali precedenti giurisprudenziali fa riferimento il Giudice di Merito nella sentenza qui commentata.

Egli, partendo dall’affermazione che “la dazione di denaro (…) abbia avuto quale unico e specifico fine quello dell’acquisto degli immobili” e dal ragionamento per cui “il genitore che intende donare ai propri figli un immobile acquistato da terzi, invece che comprarlo per sé, intestarselo, per poi rivenderlo ai figli, lo intesta loro direttamente evitando un passaggio di proprietà, anche solo a fini fiscali e di risparmio di spese notarili”, giunge a ritenere che “nei rapporti tra padre e figli l’atto posto in essere costituisce una normale donazione di immobili, che il donante ha attuato, prima acquistando i beni dalla venditrice, pur in mancanza di una formale intestazione, poi donandoli ai figli attraverso il rogito notarile impugnato”. Dopo aver ammesso che gli immobili non sono mai entrati a far parte del patrimonio del padre, il Giudice, al fine di rendere applicabile il rimedio della revocatoria e quindi far sì che il bene immobili rientri nel patrimonio paterno e sia quindi aggredibile dal creditore di costui, sostiene che “deve ritenersi che i beni siano stati acquisiti al patrimonio (del padre) altrimenti non li avrebbe mai potuti cedere ai figli.”.

Come detto, la ricostruzione non convince.

Innanzitutto, deve sottolinearsi come la sentenza, pur richiamando i precedenti di legittimità, non tenga pienamente in considerazione le posizioni assunte dalla Suprema Corte. Nella sentenza de qua, infatti, si legge che la prova circa la provenienza del denaro non riguarderebbe l’intera somma pagata per l’acquisto, bensì solo parte di essa. Orbene, a giudizio della Cassazione (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 2149 del 31/01/2014) “la donazione indiretta dell’immobile non è configurabile quando il donante paghi soltanto una parte del prezzo del bene, giacché la corresponsione del denaro costituisce una diversa modalità per attuare l’identico risultato giuridico-economico dell’attribuzione liberale dell’immobile esclusivamente nell’ipotesi in cui ne sostenga l’intero costo”. Ciò solo basterebbe a far venire meno il percorso argomentativo del Giudice di primo grado.

Ma anche volendo, per ipotesi, ritenere per provata la integrale provenienza del corrispettivo, altre e ben più significative sono le critiche che possono essere mosse.

Innanzitutto, il presupposto logico: nelle ipotesi di acquisto di bene immobile con denaro di provenienza da un terzo, non appare rispondente al comune ragionare, ritenere che in realtà il terzo volesse acquistare il bene a proprio nome per poi trasferirlo ad un diverso soggetto con atto di donazione, ma preferisca realizzare un negozio indiretto per un risparmio fiscale. Lo schema che, tendenzialmente, verrebbe in mente è assai diverso: la volontà sarebbe quella di donare una somma di denaro al fine di favorire un acquisto immobiliare in capo al proprio figlio; al fine di evitare i costi notarili legati all’atto di donazione del denaro, si preferisce intervenire direttamente nell’atto di compravendita adempiendo l’obbligazione di pagamento del prezzo, con ciò realizzando una donazione indiretta.

Non si ritiene corretto, dunque, sostenere che volontà del padre, nel caso di specie fosse quella di acquistare a proprio nome il bene perché altrimenti non li avrebbe potuti trasferire ai figli. Il bene non è mai stato trasferito dal padre a favore dei figli.

Il genitore è intervenuto al solo fine di assolvere all’obbligazione di pagamento del prezzo nascente dal contrato di compravendita.

Ed è questo che differenzia la donazione indiretta dalla donazione diretta: sostenere che il bene è transitato dal patrimonio del padre e che questi l’ha trasferito ai figli, significa proprio negare la natura indiretta del negozio. Si avrebbe una donazione diretta del bene immobile dal padre a favore dei figli e, conseguentemente, un contratto nullo per mancanza di forma.

La forzatura operata dal giudice è fatta al solo scopo, dichiarato ed evidente, di rendere applicabile alle ipotesi in esame la disciplina dell’azione revocatoria.

Una revocazione dell’atto, infatti, comporta l’inefficacia dell’atto e il “ritornare” il bene nel patrimonio di colui che con quell’atto se ne è privato. Nel caso di specie, il bene dovrebbe rientrare nel patrimonio della società venditrice, ma tale conclusione, oltre che aberrante, porterebbe all’impossibilità per il creditore agente di soddisfarsi sul bene in quanto non facente parte del patrimonio del proprio debitore.

E il Giudice di primo grado è consapevole di ciò, tanto che motiva sul punto affermando che “ciò sembra costituire un ostacolo all’accoglimento della domanda, visto che non si potrebbe far rientrare nel patrimonio del debitore un bene che, in realtà, non vi è mai entrato.

(…) In realtà (…) gli immobili sono entrati nel patrimonio (del padre) per almeno due ordini di motivi: il primo è che la reale volontà del donante è quella di donare gli immobili e non il denaro occorrente per il loro acquisto, sicché non si può donare se non qualcosa che rientri nella sfera giuridica i chi compie l’atto di liberalità; il secondo è che la donazione indiretta non è un istituto giuridico a sé, ma una usuale donazione posta in essere con modalità indirette, con la conseguenza che valgono le stesse regole applicabili per le donazioni tout court: dunque, anche per esse vale la regola che non si possa donare qualcosa che appartenga al donante, non essendo consentita, con la donazione indiretta, la donazione di beni altrui”.

Come detto, tale modo di ragionare non appare condivisibile. Anche il riferimento alla donazione di bene altrui (ritenuta nulla perché equiparata alle ipotesi, legislativamente sanzionate di nullità, di donazioni di beni futuri) non appare convincente. La Cassazione, anche quando ritiene che oggetto della donazione indiretta sia il bene immobile, non ricorre a schemi ricostruttivi che prevedano un previo trasferimento al terzo che poi ritrasferisce il bene (e si ribadisce: se così fosse si sarebbe in presenza di una donazione indiretta); la Suprema Corte, più concretamente, parla di equivalenza del “risultato giuridico-economico”, e ciò viene fatto principalmente allo scopo di garantire i legittimari in sede di azione di riduzione: diverse, infatti, sono le modalità di valutazione del denaro rispetto ai beni immobili e, inoltre, l’azione è rivolta nei confronti del donatario, soggetto che è divenuto titolare del bene.

Non condivisibile, infine, è la l’ordine dato dal giudice al Conservatore dei Registri Immobiliari di effettuare la trascrizione a favore del padre, in quanto costui non è mai stato titolare di alcun diritto sul bene risultante dai registri immobiliari.

Alla luce di quanto esposto, a giudizio dello scrivente, la sentenza epigrafata, non può essere valutata come una novità da recepire con favore ed atta a risolvere le problematiche di tutela del credito relativa alle ipotesi di donazioni indirette.

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