17 Settembre 2019

Il quantum del risarcimento del danno nella responsabilità sanitaria

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

La quantificazione del risarcimento del danno nella responsabilità sanitaria trova nella c.d. Legge Gelli-Bianco del 2017 un’apposita disciplina che, sotto diversi punti di vista, si distacca dai principi generali della materia, con lo scopo di predisporre un regime normativo di favore nei confronti dei medici e delle strutture ospedaliere.

Com’è noto, la legge 8 marzo 2017, n. 24, c.d. Legge Gelli-Bianco, ha introdotto un’apposita disciplina della responsabilità civile (e penale) dei medici e delle strutture sanitarie finalizzata a contrastare il fenomeno della medicina difensiva, ingenerato da quel regime di spiccato ed eccessivo favore nei confronti dei pazienti danneggiati da medical malpractice che la giurisprudenza aveva via via costruito nel corso del tempo (per una panoramica al riguardo, v. M. Faccioli – S. Troiano, Risarcimento del danno e assicurazione nella nuova disciplina della responsabilità sanitaria (l. 8 marzo 2017, n. 24), Napoli, 2019).

Per raggiungere tale obiettivo, la legge interviene su diversi aspetti della materia, fra i quali compare anche la quantificazione del risarcimento del danno subito dal paziente, per la precisione considerato nel 3° e nel 4° comma dell’art. 7.

Quest’ultimo è quello di più facile lettura: esso sostanzialmente dispone, riagganciandosi a quanto era previsto dal 3° comma dell’art. 3 della precedente Legge Balduzzi, che il danno conseguente a medical malpractice va risarcito sulla base delle tabelle per la liquidazione del danno biologico di cui agli artt. 138 e 139 cod. ass. priv., i quali come noto rimandano, per la predisposizione delle tabelle in discorso, ad una successiva regolamentazione ministeriale che allo stato attuale è giunta solamente con riguardo all’ultimo dei due articoli appena sopra menzionati, relativo alle lesioni di lieve entità; per le lesioni di non lieve entità, contemplate dall’articolo precedente, continueranno quindi a trovare applicazione le tabelle giudiziali elaborate dal Tribunale di Milano e rivestite di «valenza nazionale» dalla giurisprudenza della nostra Suprema Corte. A confronto con la disciplina previgente, peraltro, la nuova norma ha il merito di precisare che l’applicazione delle tabelle in discorso riguarda tanto la responsabilità della struttura sanitaria quanto la responsabilità del medico, così chiarendo un dubbio che la precedente normativa invece lasciava aperto in ragione dell’equivocità con la quale essa utilizzava l’espressione «esercente la professione sanitaria» (cfr. R. Breda, Responsabilità medica tra regole giurisprudenziali e recenti interventi normativi, in Contr. impr., 2014, p. 800 s.).

Decisamente più complessa è, invece, l’interpretazione del 3° comma dell’art. 7 della Legge Gelli-Bianco, il quale prevede, nella sua seconda parte, che il giudice «tiene conto» del fatto che il medico abbia o meno osservato l’obbligo di attenersi alle linee guida pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità (secondo la disciplina dell’art. 5 della legge medesima) «nella determinazione del risarcimento del danno».

In continuità – seppure con una significativamente diversa formulazione letterale – rispetto a quanto statuiva l’art. 3 della legge Balduzzi, tale previsione istituisce una correlazione fra le modalità soggettive della condotta del professionista sanitario da un lato e la quantificazione del risarcimento spettante al paziente danneggiato dall’altro (questa ricostruzione, sostanzialmente pacifica in dottrina, pare essere avversata solamente da A.C. Zanuzzi, La quantificazione del danno conseguente all’attività medico sanitaria, in G. Romagnoli (a cura di), La responsabilità sanitaria tra continuità e cambiamento, Napoli, 2018, p. 112 ss.) che suscita diverse riflessioni.

Innanzitutto si osserva che tale disciplina si pone in discontinuità con i principi generali del nostro ordinamento: l’entità della colpa (o del dolo) che connota il comportamento del danneggiante svolge un ruolo nell’opera di quantificazione del danno risarcibile esclusivamente con riguardo ai danni non patrimoniali e, segnatamente, con riguardo ai soli danni morali soggettivi, quali elementi in grado di riverberarsi direttamente sulla gravità e sulla profondità del patema d’animo subito dalla vittima dell’illecito. Tradizionalmente si riconosce che qualsiasi considerazione relativa all’elemento soggettivo dell’offensore deve, invece, rimanere estranea all’opera di quantificazione degli altri danni non patrimoniali nonché dei danni patrimoniali, questi dovendo essere determinati, secondo il ben noto principio dell’integrale riparazione del danno (o del c.d. danno effettivo), in una somma di denaro stabilita avendo unicamente riguardo alla dimensione del pregiudizio sofferto dal danneggiato e, rispetto a quest’ultima, né superiore né inferiore.

In secondo luogo, la previsione della Legge Gelli-Bianco sopra considerata evoca diversi scenari applicativi, sui quali è bene riflettere attentamente.

Il primo riguarda il caso del medico che, pur avendo commesso un qualche errore fonte di responsabilità civile, si sia però attenuto alle linee guida: muovendosi nell’ottica del c.d. diritto premiale (cfr. N. Bobbio, La funzione promozionale del diritto e Le sanzioni positive, ora raccolti nel volume Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Milano, 2007, rispettivamente p. 3 ss. e p. 21 ss.; M. Pisani, Prolegomeni al diritto positivo premiale, in Foro it., 2011, V, c. 23 ss.; Id., Studi di diritto premiale, 2a ed., Milano, 2010, passim; S. Armellini, A. Di Giandomenico (a cura di), “Ripensare la premialità”. Le prospettive giuridiche, politiche e filosofiche del problema, Torino, 2002, passim.) e dell’obiettivo, sotteso all’intero impianto della nuova legge, di contrastare il fenomeno della medicina difensiva mitigando il regime della responsabilità sanitaria, si può senz’altro ritenere che in questa ipotesi la norma si traduca nel dovere del giudice di operare una diminuzione dell’entità del risarcimento dovuto al paziente (C. Masieri, Novità in tema di responsabilità sanitaria, in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 754, 762; M. Hazan, A. Cassano Cicuto e M. Rodolfi, Il risarcimento del danno da responsabilità sanitaria, in F. Gelli, M. Hazan e D. Zorzit (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Legge Gelli), Milano, 2017, p. 362; L. Guffanti Pesenti, Il ruolo della condotta del medico nella quantificazione del risarcimento. Note sull’art. 7, co. 3, l. 8-3-2017 n. 24, in Eur. dir. priv., 2017, p. 1499 ss.; F. Di Lella, Leges artis e responsabilità civile sanitaria, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 270 s.; A. Astone, Profili civilistici della responsabilità sanitaria (Riflessioni a margine della l. 8 marzo 2017, n. 24), in Nuova giur. civ. comm., 2017, p. 1122; N.C. Sacconi, Condotta dell’esercente la professione sanitaria e quantificazione del risarcimento, in Resp. civ. prev., 2018, p. 1351 ss.). Secondo alcuni, la limitazione risarcitoria prevista dalla norma in esame peraltro non si tradurrebbe in una diminuzione del risarcimento spettante al paziente calcolato secondo le regole generali, bensì opererebbe solamente sul piano della personalizzazione del danno non patrimoniale e, in particolare, del danno morale (cfr. P. Ziviz, Il rebus del risarcimento del danno (nella responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria), in Resp. civ. prev., 2017, spec. p. 1136 s.; L. Nocco, La responsabilità civile “canalizzata” verso le aziende e i nuovi “filtri” per la proponibilità della domanda risarcitoria, in M. Lovo, L. Nocco (a cura di), La nuova responsabilità sanitaria, Milano, 2017, p. 41).

Nella sua formulazione letterale, la seconda parte del 3° comma dell’art. 7 della legge Gelli-Bianco è però riferibile anche al caso, specularmente opposto al precedente, del medico rimproverabile per aver violato le previsioni dell’art. 5 della legge stessa disattendendo le linee guida pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità: un comportamento che, per coerenza rispetto a quanto sopra affermato, dovrebbe allora condurre all’incremento del quantum del risarcimento attribuito al paziente danneggiato nella prospettiva sanzionatoria e deterrente tipica dei c.d. danni punitivi.

In realtà, una siffatta lettura della norma – al pari di quanto veniva generalmente sostenuto con riguardo all’analoga previsione dell’art. 3 della Legge Balduzzi – viene da più parti respinta osservando che la stessa, traducendosi in un evidente aggravamento del regime della responsabilità sanitaria, finirebbe per porsi in aperto contrasto con la ratio di fondo della nuova legge (M. Hazan, A. Cassano Cicuto e M. Rodolfi, Il risarcimento, cit., p. 365; L. Guffanti Pesenti, Il ruolo, cit., p. 1511 ss.; F. Di Lella, Leges artis, cit., p. 271; N.C. Sacconi, Condotta, cit., p. 1356 s. P. Ziviz, Il rebus, cit., p. 1133).

Questa conclusione, tuttavia, non sembra che possa essere accolta senza prima confrontarsi con la più generale questione attinente all’individuazione della funzione della responsabilità civile italiana e all’ammissibilità nel nostro ordinamento dei danni punitivi, anche – e soprattutto – alla luce di quanto hanno al riguardo affermato le Sezioni Unite solo qualche mese dopo l’avvento della legge Gelli-Bianco con la fondamentale pronuncia di Cass., sez. un., 5 luglio 2017, n. 16601. In quell’occasione la Suprema Corte, invitata a pronunciarsi sulla questione della riconoscibilità di sentenze straniere comminatorie di danni punitivi, ha infatti riconosciuto la «natura polifunzionale» della responsabilità civile: a quest’ultima, cioè, non può (più, come in passato) essere attribuito solamente «il compito di restaurare la sfera patrimoniale» del soggetto danneggiato, poiché da una nutrita serie di specifiche disposizioni normative si desume che (ormai) appartengono al sistema anche «la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria» del soggetto responsabile, pur necessitando sempre, queste ultime, di un’espressa previsione legislativa che «chiaramente» consenta al giudice di «imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati». Sulla scorta di questi rilievi, è stata pertanto ammessa la possibilità di delibare sentenze straniere comminatorie di risarcimenti punitivi subordinatamente al rispetto di talune condizioni, quali: che la condanna sia stata pronunciata sulla base di una norma che risponda ai principi di tipicità e di prevedibilità dell’ammontare del risarcimento assegnato; che vi sia proporzionalità fra il risarcimento compensativo e il risarcimento punitivo nonché fra quest’ultimo e la condotta censurata.

Partendo dall’impostazione che attribuisce rilevanza alla decisione delle Sezioni Unite sul piano della ricostruzione del diritto sostanziale interno (v., per tutti, A. di Majo, Principio di legalità e di proporzionalità nel risarcimento con funzione punitiva, in Giur. it., 2017, p. 1793), sembra doversi pertanto riconoscere che, alla luce delle indicazioni fornite dalla Suprema Corte nonché dell’abbondante riflessione dottrinale in materia, bisognerà ragionare in maniera più approfondita per verificare se la seconda parte del 3° comma dell’art. 7 della legge Gelli-Bianco possa assurgere a base normativa di sentenze comminatorie  di risarcimenti aventi finalità sanzionatoria e deterrente nell’ambito della responsabilità sanitaria (v., in senso positivo, U. Ruffolo, B. Grazzini, Il problema della responsabilità medica, in U. Ruffolo (a cura di), La nuova responsabilità medica, Milano, 2018, p. 30 ss.; in senso contrario v., invece, N.C. Sacconi, Condotta dell’esercente la professione sanitaria e quantificazione del risarcimento, in Resp. civ. prev., 2018, p. 1357).

Una condanna di questo tipo potrebbe apparire appropriata, per esempio, nel caso della struttura ospedaliera nella quale siano diffuse e tollerate condotte di malpractice che sfociano in lesioni della salute dei pazienti talmente poco significative da giustificare soltanto risarcimenti di scarsa entità, disincentivando i soggetti lesi dall’agire in giudizio: in un’ipotesi come questa, nella quale si prospetta il rischio di una sostanziale “impunità” di quelle che possono essere definite «microviolazioni» (M. Maggiolo, Microviolazioni e risarcimento ultracompensativo, in Riv. dir. civ., 2015, p. 92 ss.), una condanna punitiva nei confronti della struttura e del personale sanitario coinvolto potrebbe infatti servire – anche nella prospettiva di dare attuazione al principio costituzionale di effettività della tutela civile dei diritti (in questo caso della persona e, in particolare, del diritto alla salute) – a far sì che le prassi di cui sopra vengano abbandonate in favore di comportamenti più virtuosi e rispettosi dei diritti degli utenti dei servizi sanitari, vale a dire dell’intera collettività (circa la «funzione educativa» della condanna ai risarcimenti punitivi, la quale «dovrebbe, quindi, indurre a desistere da comportamenti che la sensibilità pubblica ritiene riprovevoli», v. G. Scarchillo, La natura polifunzionale della responsabilità civile: dai punitive damages ai risarcimenti punitivi. Origini, evoluzioni giurisprudenziali e prospettive di diritto comparato, in Contr. impr., 2018, p. 323 ss.).

Certo, non ci si può nascondere che questa soluzione potrebbe sollevare perplessità per il fatto che, a fronte di condotte che comportano la lesione della salute di una pluralità di pazienti, finisce per beneficiare uno (o alcuni) soltanto di questi con l’attribuzione di un risarcimento superiore al pregiudizio effettivamente subito (C. Scognamiglio, Principio di effettività, tutela civile dei diritti e danni punitivi, in Resp. civ.  prev., 2016, p. 1131 s.); ma a tali considerazioni si potrebbe ribattere che, a ben vedere, merita di essere premiato il soggetto che si assume il rischio e i costi, non solo economici, del procedimento, per rafforzare la funzione deterrente della condanna (G. Scarchillo, La natura polifunzionale, cit., p. 290). Da questo punto di vista, del resto, non va trascurato il fatto che «tale interpretazione sistematica avrebbe il pregio di realizzare apprezzabili obiettivi di allocazione del rischio come di deterrence, e dunque di ottimale risk management, apparendo altresì in linea con la logica che ispira le innovative figure e tendenze normative circa le azioni sia “di classe”, a tutela di lesioni individuali seriali, sia “collettive”, a tutela di interessi superindividuali. Quello medico, e della difesa della salute, pare il campo più meritevole di ricorso ad entrambi questi strumenti di tutela» (U. Ruffolo, B. Grazzini, Il problema, cit., p. 36).