19 Gennaio 2021

Poteri e limiti della commissione ristretta di condomini designata dall’assemblea

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 8 luglio 2020 n. 14300 (presidente Dott. A. Giusti, relatore Dott. L. Abete)

“L’assemblea condominiale ben può deliberare la nomina di una commissione di condomini deputata ad assumere determinazioni di competenza assembleare. Tuttavia, le determinazioni di tale commissione, per essere vincolanti anche per i dissenzienti, ex art. 1137, comma 1, c.c., devono essere approvate, con le maggioranze prescritte, dall’assemblea medesima, non essendo le funzioni di quest’ultima suscettibili di delega.”

CASO

L’assemblea di un condominio incaricava una commissione ristretta, costituita da propri membri, di designare un tecnico professionista a cui affidare lavori di adeguamento dell’impianto elettrico condominiale.

Con atto di citazione più condomini, dissenzienti rispetto a quanto statuito, evocavano il condominio dinanzi al Tribunale di Genova, chiedendo dichiararsi nulla o annullarsi la delibera assembleare, nella parte in cui statuiva incarichi “illegittimamente deliberati” e “spese illegittimamente deliberate e ripartite” relative ai lavori di adeguamento dell’impianto demandandoli ad una commissione anzicchè all’approvazione da parte dell’assemblea.

In ordine ad opere elettriche eseguite su beni di proprietà esclusiva, ovverossia l’inserimento di interruttori magnetotermici per le singole unità immobiliari, gli impugnanti chiedevano che l’impianto interruttori fosse configurato in modo da consentire, ai singoli condomini, autonomo adeguamento alle prescrizioni di cui alla L. n. 46/90.

Il condominio resisteva in giudizio ed espletata CTU, l’adito Tribunale rigettava le domande dei condomini attori impugnati la delibera; di tal che essi, proponevano appello.

Il giudice di seconde cure, , accoglieva parzialmente il gravame e per l’effetto annullava la delibera per cui era causa, nella parte in cui, in sede di approvazione dei lavori di adeguamento dell’impianto elettrico, ripartiva in base ai millesimi anche le spese relative agli interventi effettuati sulle parti di proprietà esclusiva.

Sottolineava, inoltre, che seppure l’assemblea condominiale aveva attribuito ad una cerchia ristretta di condomini, la scelta del tecnico cui affidare l’incarico di vagliare quali opere di manutenzione straordinaria si rendevano necessarie per la conservazione del fabbricato condominiale, di redigere il computo metrico dei lavori ed il capitolato d’appalto; in realtà, l’organo assembleare non aveva delegato a terzi scelte gestionali ne’ abdicato alle sue prerogative, ne’ tantomeno conculcato i diritti della minoranza.

Dunque, avendo predeterminato il contenuto dell’incarico e parimenti il limite di spesa, secondo il giudicante, l’assemblea aveva attribuito alla “commissione ristretta”, esclusivamente compiti accessori ed esecutivi e, per tal ragione, la deliberazione impugnata non poteva dirsi affetta da invalidità.

In ordine alle spese sostenute per l’adeguamento dell’impianto elettrico condominiale, da ultimo, la medesima Corte sottolineava che la CTU, espletata in primo grado, sottolineava che seppure i lavori avevano interessato mediante l’installazione di interruttori magnetotermici anche porzioni di proprietà esclusiva, quanto fatto tendeva soltanto a “migliorare od ammodernare l’impianto” condominiale e dunque trattasi di spese tese al soddisfacimento di interessi comuni.

La pronuncia del giudice di seconde cure, veniva impugnata dall’erede universale di due degli originari attori, mediante ricorso per Cassazione con atto affidato  a due motivi.

SOLUZIONE

La Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il secondo motivo di ricorso per le motivazioni che seguono, cassava la sentenza impugnata e rinviava a diversa sezione della Corte d’Appello di Genova per la decisione nel merito e per la regolamentazione delle spese anche del giudizio di legittimità.

QUESTIONI

Con il primo motivo, il ricorrente denunciava ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n.3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 e 1136 c.c. per aver il giudice d’appello omesso di considerare che le determinazioni della commissione ristretta e conseguentemente l’opera svolta dal professionista incaricato, erano frutto di un’illegittima delega assembleare; che invero l’assemblea si era spogliata di funzioni proprie, insuscettibili di esser demandate a terzi.

In particolare, il ricorrente deduceva che la delega non appariva determinata nel contenuto, tanto che afferiva a non meglio determinati lavori, da individuarsi per mezzo di un designato professionista e, che non riguardava attività di mera esecuzione di scelte precedentemente vagliate e approvate dall’organo assembleare dei condomini.

Al contempo, deduceva che non vi era stata nessuna ratifica dell’attività svolta dalla commissione ristretta. In particolare, non condividendo quanto sostenuto dalla corte di merito, il ricorrente deduceva che nel corso di due successive riunioni, l’assemblea, in difetto delle prescritte maggioranze, non aveva provveduto all’approvazione di alcunché ma esclusivamente aveva accantonato il capitolato predisposto dal tecnico designato.

Detto primo motivo veniva rigettato dalla Corte di Cassazione, la quale riproponeva in premessa le regole sottostanti l’istituto della delega delle funzioni assembleari.

Richiamando fermi precedenti in materia, gli Ermellini affermavano che: “L’assemblea condominiale ben può deliberare la nomina di una commissione di condomini deputata ad assumere determinazioni di competenza assembleare, a condizione tuttavia che le determinazioni della commissione, affinché’ siano vincolanti ai sensi dell’articolo 1137 c.c., comma 1, pur per i dissenzienti, siano poi approvate, con le maggioranze prescritte dall’assemblea, assemblea le cui funzioni dunque non sono, al fondo, suscettibili di delega”.[1]

 Dunque, l’assemblea condominiale, stante il carattere meramente esemplificativo delle attribuzioni riconosciutele dall’art. 1135 c.c., può deliberare, quale organo destinato a esprimere la volontà collettiva dei partecipanti, qualunque provvedimento, anche non previsto dalla legge o dal regolamento di condominio, sempreché non si tratti di provvedimenti atti a perseguire una finalità extra condominiale[2].

Analogo approdo per le decisioni assunte da una commissione di condomini, nominata con delibera assembleare, con l’incarico di scegliere il contraente per l’esecuzione di lavori da conferire in appalto e il riparto del relativo corrispettivo.

Attesa dunque la necessaria approvazione da parte dell’assemblea condominiale delle determinazioni assunte dalla commissione di condomini, ne consegue che, in mancanza di qualsivoglia delibera assembleare di approvazione della scelta del contraente (in ipotesi) svolta dai consiglieri incaricati e del relativo corrispettivo, il contratto d’appalto stipulato dall’amministratore, per lavori di manutenzione straordinaria dei quali non sia stata accertata, in fatto, l’urgenza, pur se conforme a tali scelte non è giuridicamente opponibile ai condòmini.

Negli esposti termini, senza dubbio non poteva nel caso di specie soccorrere il preteso carattere predeterminato e meramente accessorio dei profili oggetto della delega, che l’assemblea del condominio controricorrente ebbe a conferire alla ristretta commissione di condomini.

Ciò in quanto, l’operanda scelta della persona del professionista, da incaricare per l’individuazione degli interventi di straordinaria manutenzione da eseguire e per la redazione del computo metrico dei lavori e del capitolato d’appalto, attiene al piano delle “scelte” afferenti alle cose comuni e, come tale, destinato a ricadere tra le prerogative inderogabili dell’organo di gestione.

Nella specie, ciò nonostante, per il condominio soccorreva utilmente la circostanza, già rilevata dalla Corte distrettuale, per cui l’assemblea aveva approvato la scelta dei consiglieri in ordine al designato professionista, discutendo e approvando il capitolato d’appalto. Alle determinazioni della commissione ristretta, quindi, si sovrapponevano le deliberazioni dell’organo assembleare, inderogabilmente competente.

In ordine al secondo motivo di ricorso, il ricorrente denunciava ai sensi dell’art, 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1117 e 1112 c.c. e ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio.

In particolare, il ricorrente deduceva che l’assemblea condominiale non aveva deliberato ab origine l’esecuzione dei lavori di adeguamento dell’impianto elettrico condominiale sicché la deliberazione di approvazione della relativa spesa doveva ritenersi per tal ragione illegittima.

Al contempo il ricorrente sosteneva altresì che la deliberazione di approvazione dell’anzidetta voce di spesa, doveva in ogni caso reputarsi nulla, giacché conculcante i diritti dei singoli condomini sulle porzioni di proprietà esclusiva.

Il primo profilo della censura, non essendo stato specificamente addotto nei pregressi gradi merito, rivestiva un evidente connotato di novità. Ad ogni modo, poichè l’adeguamento dell’impianto elettrico condominiale alle prescrizioni di cui alla L. n. 46 del 1990, costituiva intervento urgente di straordinaria manutenzione; secondo la Corte, a nulla rilevava che i relativi lavori non fossero stati preventivamente deliberati dall’assemblea condominiale.

Infatti, soccorre in tal caso il disposto dell’art. 1135 c.c., secondo cui “l’amministratore non può ordinare lavori di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere urgente, ma in questo caso deve riferirne alla prima assemblea“.

Vi è, infatti, da considerare che a seguito dei lavori, disposti in via urgente dall’amministratore, l’assemblea rimediava a ratificarli mediante la deliberazione, impugnata con l’originario atto di citazione, con la quale approvava il rendiconto e il riparto delle spese in cui veniva compreso anche l’esborso per il detto adeguamento dell’impianto.

Fondato, invece, era il secondo profilo di censura veicolato dal secondo motivo di ricorso, mediante il quale il ricorrente lamentava la violazione dei diritti dei condomini sulle rispettive proprietà esclusive.

 Richiamando fermo orientamento della stessa Corte, la Cassazione ribadiva che i poteri dell’assemblea non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda[3].

In detti termini, secondo i Giudici di diritto, la corte distrettuale era incorsa in error in iudicando atteso che, pur riconoscendo a seguito dell’espletata c.t.u. che lavori effettuati in condominio interessavano anche proprietà individuali – mediante l’inserimento di interruttori magnetotermici per tutte le unità immobiliari – sosteneva che le opere erano state correttamente eseguite e che dunque dovevano ritenersi legittime.

Nonostante l’art. 1120 c.c. consenta alla maggioranza di disporre tutte le innovazione dirette al miglioramento, la prescrizione attiene esclusivamente alle cose comuni e non già a quelle di proprietà esclusiva dei condomini.

Per effetto della prescrizione richiamata, quindi, la circostanza per cui “la sostituzione degli interruttori (…) era volta soltanto a migliorare od ammodernare l’impianto” e l’asserito carattere eventuale e futuro del pregiudizio, non scagionava l’illegittima interferenza nella sfera di proprietà esclusiva del condomino ricorrente.

In accoglimento di quest’ultimo profilo della censura del secondo motivo di ricorso, la Suprema Corte di Cassazione cassava con rinvio la sentenza della Corte d’Appello genovese, alla quale demandava altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

[1] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Ordinanza 20 dicembre 2018 n. 33057.

[2] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 6 marzo 2007 n. 5130; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 25 maggio 2016 n. 10865.

[3] Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 27 agosto 1991 n. 9157; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 10 marzo 2016 n. 4726; Corte di Cassazione, Sezione 2, Civile, Sentenza 14 dicembre 2007 n. 26468.