5 Settembre 2017

Il potere di sospensione facoltativa ex art. 337, c.p.c., al vaglio della Suprema Corte

di Enrico Picozzi Scarica in PDF

Cass., Sez. VI-3, 22 maggio 2017, n. 12773 – Pres. Amendola – Est. Vincenti

Impugnazioni civili – decreto ingiuntivo per la restituzione di somme versate in esecuzione di sentenza riformata – opposizione – ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza di riforma – sospensione facoltativa dell’opposizione – sussistenza – esclusione (C.p.c. artt. 295, 336, co. 2, 337, co. 2)

[1] Il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, avente ad oggetto la restituzione di somme versate a seguito di una sentenza di condanna, poi riformata in appello, non può essere sospeso ex art. 337, cpc., in attesa della decisione sul ricorso per cassazione avverso la medesima pronuncia di riforma, poiché tra i due procedimenti non ricorre un rapporto di pregiudizialità, tale da giustificare la sospensione della suddetta opposizione.

CASO

[1] La società Alfa otteneva la condanna al pagamento della società Beta per essersi quest’ultima obbligata, in qualità di fideiussore, a garantire l’adempimento delle obbligazioni assunte dalla società Gamma. La Corte d’Appello riformava integralmente la pronuncia impugnata e per l’effetto rigettava la domanda di pagamento originariamente proposta da Alfa. La società Beta, pertanto, in ragione della predetta sentenza di riforma, chiedeva ed otteneva in via monitoria la ripetizione dell’importo corrisposto alla società Alfa in base alla sentenza di prime cure, successivamente caducata in appello. A fronte dell’opposizione proposta da Alfa, il Tribunale adito sospendeva il relativo giudizio ex art. 337, co. 2, c.p.c., poiché la sentenza di riforma – sulla cui «autorità» era stato emesso il decreto ingiuntivo – era stata impugnata innanzi al giudice di legittimità dalla medesima società Alfa. Per questa ragione, Beta proponeva regolamento necessario di competenza ex art. 42, c.p.c., avvero l’ordinanza di sospensione.

SOLUZIONE

La Suprema Corte, preliminarmente, chiarisce che il diritto alla restituzione delle somme versate in esecuzione di una sentenza provvisoriamente esecutiva e successivamente riformata in appello può essere azionato anche con procedimento monitorio (nella medesima direzione, cfr. Cass., 17 dicembre 2013, n. 28167; Cass., 3 ottobre 2005, n. 19296; Cass., 24 giugno 2004, n. 11729). Svolta questa premessa, il giudice di legittimità accoglie l’istanza di regolamento di competenza sulla scorta delle seguenti argomentazioni. In primo luogo, la Cassazione esclude la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità logico-giuridica, quale indefettibile presupposto per poter procedere alla sospensione (facoltativa) di cui all’art. 337, co. 2, c.p.c. A sostegno di tale conclusione, si afferma che il diritto sostanziale alla restituzione è del tutto autonomo rispetto al diritto sostanziale che ha originato la controversia: in altri termini, la pretesa restitutoria della società vittoriosa in appello si fonda sull’attuale assenza di un titolo, che legittimi la ritenzione delle somme versate da parte della società attrice e sulla consequenziale natura indebita che quel pagamento è venuto ad assumere.  In secondo luogo – e quasi a voler ribadire quanto già affermato con la prima argomentazione – la Suprema Corte soggiunge che il giudizio monitorio persegue finalità distinte rispetto a quello pendente in sede di legittimità, poiché il primo mira semplicemente a ripristinare la situazione patrimoniale del debitore, così come si configurava anteriormente alla sentenza di condanna, poi revocata, in attuazione del c.d. principio «restituito ante omnia».

QUESTIONI

La condotta processuale della società vittoriosa in appello – proposizione in un autonomo giudizio (monitorio), della domanda di restituzione – presuppone evidentemente che quella richiesta non fosse già stata avanzata nell’instaurato giudizio di gravame. Ad ogni modo, è interessante evidenziare che, stando all’insegnamento di Cass., 12 febbraio 2016, n. 2819 (annotata da F. Godio, in Corr. giur., 2016, 990 e ss.), la pronuncia sulle restituzioni conseguenti alla riforma della sentenza di prime cure potrebbe aver luogo anche in via officiosa, ovvero in assenza di un’apposita domanda di parte (conclusione raggiunta, traendo linfa argomentativa  dalla previsione di cui all’art. 669, novies, c.p.c.), escludendosi solamente, anche per ovvie esigenze di coordinamento con la disposizione di cui all’art. 474 c.p.c., che una condanna implicita alla restituzione degli importi ricevuti dall’accipiens possa desumersi dalla mera sentenza di riforma (cfr. Cass., 5 febbraio 2013, n. 2662; Cass., 8 giugno 2012, n. 9287). Ciò detto, la questione nodale posta all’attenzione della Suprema Corte concerne la sussistenza o meno di un rapporto di pregiudizialità – dipendenza fra la pretesa sostanziale, azionata nell’ambito del primo processo e l’obbligo restitutorio, fatto valere in sede monitoria. Al quesito, come già anticipato, il giudice di legittimità ha offerto risposta negativa (analogamente, in precedenza, Cass., 18 marzo 2014, n. 6211; Cass., 28167/2013, cit.; Cass., 14 ottobre 2009, n. 21815). La soluzione, seppur in linea di principio condivisibile, potrebbe risultare meno scontata da altra prospettiva, per così dire, processuale: invero, l’obbligo restitutorio viene essenzialmente a dipendere da due fatti costitutivi, di cui, uno di natura sostanziale (l’avvenuto pagamento) e l’altro, viceversa, di natura, per l’appunto processuale, vale a dire la riforma della decisione di condanna, che, intervenuta in fase d’appello, elimina la causa giustificativa dell’effettuato pagamento. In ogni caso e a prescindere dalla soluzione che si ritiene di offrire alla problematica appena indicata, il giudice a quo avrebbe potuto evitare di disporre la sospensione del giudizio – asseritamente ritenuto dipendente (cioè quello relativo alle restituzioni) – se solo avesse considerato che l’eventuale annullamento, in sede di legittimità, della sentenza di riforma avrebbe senz’altro esteso i suoi effetti, ex art. 336, co. 2, c.p.c., (c.d. effetto espansivo esterno), travolgendolo, al provvedimento che ha positivamente accertato il diritto del solvens alle restituzioni. Infine, un’ultima riflessione va destinata alla disamina dei presupposti che giustificano il legittimo esercizio del potere di sospensione facoltativa ex art. 337, cpv., da parte del giudice del merito: da un lato, questi deve accertare la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità – dipendenza (cfr. Cass., 11 giugno 2012, n. 9478; Cass., 23 ottobre 2015, n. 21664) e, dall’altro lato, deve in ogni caso dare conto dell’effettiva controvertibilità della decisione impugnata (Cass., 21664/2015, cit.; Cass., 2 settembre 2015, n. 17473) In relazione a quest’ultimo requisito, il giudice, ove opti per la sospensione ex art. 337, cpv., è tenuto ad esplicitare le ragioni per cui non intende conformarsi all’autorità della decisione invocata, valutando e dando conto del margine di fondamento, perlomeno in via di prognosi, delle critiche ad essa rivolte. Pertanto, e come chiarito dalla Suprema Corte, l’assenza di una tale motivazione, così come la sua natura meramente apparente, giustificherà l’annullamento dell’ordinanza di sospensione e la conseguente prosecuzione del giudizio a quo (su tali profili, v. E. Bertillo, in Giur.it, 2015, 1395 e ss.; J. Polinari, ivi, 2013, 604 e ss., spec. par. 5)