6 Dicembre 2016

Le nuove unioni civili di cui alla legge 76/2016 e la comparazione con il modello matrimoniale

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Il dibattito sulla modalità di tutela delle unioni omosessuali e delle coppie di fatto è stato, come noto, molto serrato.

A fronte delle numerose richieste di celebrazione di matrimonio o di trascrizione di matrimoni contratti all’estero tra persone dello stesso sesso, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 138 del 2010, ha ritenuto costituzionalmente legittime le norme che consentono il matrimonio solo tra persone dello stesso sesso.

Secondo la Corte, rientra nella piena discrezionalità del Parlamento individuare forme di garanzia, basate sull’art. 2 della Costituzione – che tutela le formazioni sociali tra cui rientrano le coppie di fatto – di riconoscimento delle unioni tra persone omosessuali.

Tuttavia il riconoscimento di tutela alle unioni omosessuali, quali formazioni sociali non forniva una completa tutela, poiché solo col matrimonio si acquisiscono una serie di diritti e di doveri “complessi e stratificati” difficilmente riconoscibili o tutelabili se non con una molteplicità di azioni.

Anche la Cassazione n. 2400 del 9 febbraio 2015, ha confermato che la diversità sessuale dei coniugi sta alla base del matrimonio ed è un requisito essenziale per la sua legittimità.

Così la scelta è caduta su un modello di unione civile caratterizzato da ampie similitudini con il matrimonio seppur con residue differenziazioni.

Negata la possibilità della stepchild adoption (l’adozione del figlio del partner), l’unione civile è equiparata al matrimonio quanto a:

  1. presupposti e impedimenti
  2. nullità e impugnazione
  3. diritti e doveri che nascono dall’unione civile (con una residua eccezione)
  4. regime patrimoniale e alimenti
  5. successione

Nel catalogo dei diritti e dei doveri derivanti dall’unione civile omosessuale, l’art. 1 comma 11 della legge 76/2016, nella sostanza riproduce il contenuto dell’art. 143 c.c. sul matrimonio, ad eccezione dell’obbligo di fedeltà, soppresso nel corso dell’esame al Senato.

Con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. L’unione comporta l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla coabitazione e alla contribuzione ai bisogni comuni, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo.

Il comma 12, identico all’art. 144 c.c., stabilisce che l’indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti, spettando a ciascuna di essa il potere di attuare l’indirizzo concordato.

Si è molto discusso sull’eliminazione del dovere di fedeltà nell’unione omosessuale.

Secondo alcuni l’obbligo di fedeltà è un “retaggio di una visione superata e vetusta del matrimonio”, prova ne è che il giudice non può fondare la pronuncia di addebito della separazione sulla mera inosservanza del dovere di fedeltà coniugale, dovendo anche valutare il nesso di causalità che ha condotto all’intollerabilità della convivenza.

Un’altra lettura, richiama la legge n. 219/2012 con la quale si sarebbe superata la distinzione tra figli legittimi e naturali, che rese fondamentale all’epoca l’obbligo di fedeltà tra i coniugi.

Le nuove unioni civili recepiscono un modello molto più avanzato, che dovrebbe essere esteso anche al matrimonio.

Secondo altri, si è trattato di un ulteriore taglio discriminatorio tra matrimonio e unione civile omosessuale, quasi come se all’interno di questo tipo di unione la fedeltà fosse un fatto irrilevante e quindi la sua violazione priva di ripercussioni giuridiche.

La seconda differenza tra matrimonio e unione civile riguarda il momento dello scioglimento del vincolo.

Nel testo definitivo della legge sulle unioni civili si è scelto di eliminare come presupposto di scioglimento, la separazione personale ininterrotta per periodo determinato dalla legge in sei mesi o un anno.

La legge non menziona tra le cause di scioglimento richiamate dalla legge sul divorzio, la precedente pronuncia con sentenza passata in giudicato di separazione giudiziale o l’omologa del verbale di separazione consensuale.

La ragione della scelta, secondo alcuni, è la specifica volontà di tenere distinti in qualche modo i due istituti.

Cancellando la separazione viene meno il riferimento alla violazione dei doveri nascenti dall’unione o meglio gli effetti della loro violazione, come motivo d’intollerabilità della convivenza e della connessa pronuncia di addebito quando uno dei partner abbia causato con la propria condotta contraria, appunto, a tali doveri la crisi dell’unione.

Per altro verso, si pone l’accento sulla volontà di eliminare un istituto già sorpassato, su cui il legislatore ha tentato più volte di intervenire per introdurre il “divorzio diretto” senza mai riuscirci a causa delle opposte correnti politiche.

In base al comma 24, l’unione civile si scioglie, inoltre con una manifestazione di volontà anche disgiunta, innanzi all’ufficiale dello stato civile. In tal caso la domanda di scioglimento è proposta decorsi tre mesi dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento.

La norma è di difficile interpretazione. Il legislatore ha introdotto un ulteriore presupposto, meramente soggettivo basato su una manifestazione di volontà potestativa di anche uno solo dei componenti l’unione, di voler sciogliere l’unione civile.

Dalla lettura delle disposizioni successive, emerge chiaramente che tale manifestazione di volontà consente di richiedere lo scioglimento dopo il decorso di tre mesi, ma non comporta l’automatico scioglimento.

La domanda sarà comunque necessaria per sciogliere l’unione con il procedimento di cui agli artt. 4 e 5 legge div. o mediante la procedura di cui agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, relativo alla negoziazione assistita e alla dichiarazione da effettuarsi presso il Comune di residenza o in cui è stata registrata l’unione.

In attesa dei decreti legislativi – che il governo è delegato ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge per l’adeguamento e il coordinamento con le disposizioni già esistenti – la prima lettura ricollega questa modalità di scioglimento alla volontà separativa esistente nel modello matrimoniale.

Avendo eliminato l’istituto della separazione legale questo passaggio è stato visto come presupposto sostitutivo per giungere al divorzio.

Sono stati, inoltre, attribuiti alle parti dell’unione civile, i diritti connessi alla pronuncia di scioglimento del matrimonio, quali:

  1. diritto al mantenimento di cui all’art. 5 l. 898/70
  2. diritto alla pensione di reversibilità ex art. 9 l. 898/70
  3. assegno successorio 9 bis l. 898/70 che spetta al divorziato in stato di bisogno e al quale è stato riconosciuto dal Tribunale l’assegno divorzile
  4. diritto alla quota del TFR ex art. 12 bis l. 898/70

Il 23 luglio 2016 è stata data attuazione alla parte della legge che consente alla coppia omosessuale di unirsi civilmente innanzi all’ufficiale dello stato civile del Comune scelto. Il Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 144/2016 contiene le regole riguardanti:

  • la costituzione dell’unione
  • le verifiche
  • l’iscrizione e l’annotazione negli atti dello stato civile
  • la scelta del cognome
  • l’unione costituita a seguito della rettificazione di sesso di uno dei coniugi
  • lo scioglimento dell’unione civile per accordo delle parti
  • le modalità di trascrizione delle unioni costituite all’estero

Il Regolamento si applica fino all’entrata in vigore dei decreti legislativi di cui all’art. 1 comma 28 della legge 76/2016.