11 Giugno 2019

Note in tema di compensazione impropria (o atecnica)

di Mirko Faccioli, Avvocato e Professore associato di diritto privato Scarica in PDF

La c.d. compensazione impropria (o atecnica) è un istituto di elaborazione giurisprudenziale che opera quando le contrapposte ragioni di credito delle parti scaturiscono dal medesimo rapporto giuridico, anche complesso, o da rapporti accessori: il fenomeno si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere ed è sottratto all’applicazione della disciplina predisposta dal legislatore per la compensazione “vera e propria” negli artt. 1241 ss. c.c.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso da una parte della dottrina (v., per tutti, Bianca, Diritto civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1993, 487 s.; Breccia, Le obbligazioni, nel Trattato Iudica-Zatti, Milano, 1991, 718 s.) ma invero tutt’altro che esente da critiche (cfr., tra gli altri, Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, nel Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1975, 264; Cicero, voce «Compensazione», nel Digesto IV ed., Disc. priv., sez. civ., Agg. VII, Torino, 2012, 164 s.; Gragnoli, Rapporti di lavoro, compensazione e autonomia fra i crediti reciproci, in Giur. it., 1994, V, 284 ss., Renda, La compensazione volontaria e impropria, in L’estinzione dell’obbligazione senza adempimento, a cura di Paladini, Torino, 2010, 327 ss.), l’operatività della compensazione di cui agli artt. 1241 ss. c.c. presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti e, pertanto, non ricorre in presenza di obbligazioni scaturenti dal medesimo rapporto giuridico, ancorché complesso, o da rapporti accessori: in questi casi ha invece luogo il diverso fenomeno della c.d. compensazione impropria (o atecnica), il quale si risolve in un mero accertamento contabile del saldo finale di contrapposte partite di dare e avere, sottratto all’applicazione della disciplina predisposta dal legislatore per la compensazione “vera e propria”.

Il principale ambito di applicazione della compensazione impropria è il rapporto di lavoro: in questo ambito essa è stata riconosciuta operare, per esempio, tra il credito alla retribuzione o al t.f.r. del lavoratore da un lato e, dall’altro, quello del datore di lavoro alla ripetizione di somme indebitamente versate (v., fra le tante, Cass., 16.5.1981, n. 3230; Cass., 4.7.1987, n. 5874), alla restituzione di denaro dato a mutuo in connessione con il rapporto di lavoro (Cass., 29.3.2004, n. 6214) o al risarcimento dei danni cagionati dalla controparte mediante una prestazione lavorativa non diligente (v., fra le altre, Cass., 20.6.2003, n. 9904; Cass., 17.4.2004, n. 7337) o la commissione di un fatto illecito (v., ex multis, Cass., 5.12.2008, n. 28855; Cass., 6.2.1987, n. 1245). Ma la giurisprudenza applica lo stesso ragionamento per affermare che in questo modo si elidono fino al concorrente ammontare, per esempio: il credito dell’appaltatore al corrispettivo e quello del committente al risarcimento dei danni cagionati dall’inadempimento del primo (v., fra le altre, Cass., 8.8.2007, n. 17390; Cass., 8.8.2002, n. 11943); il credito per la fornitura di merci e quello al risarcimento dei danni derivanti dai vizi delle stesse (Cass., 21.9.2011, n. 19208); il credito del locatore per le spese di amministrazione del bene locato e quello del conduttore per la restituzione del canone pagato in eccedenza (Cass., 6.11.2001, n. 13697); il credito dell’agente alla provvigione o all’indennità di fine rapporto e quello del preponente alla corresponsione di somme riscosse dall’agente per conto della controparte (Cass., 16.1.1988, n. 301) o al risarcimento dei danni cagionati da quest’ultimo esorbitando dai propri poteri (Cass., 25.11.2002, n. 16561) o trascurando di vigilare sull’operato di un subagente (Cass., 29.8.2012, n. 14688); le pretese risarcitorie derivanti dall’incidente stradale dovuto alle concomitanti azioni colpose di entrambi i conducenti dei veicoli venuti a collisione (Cass., 25.8.2006, n. 18498); e così via.

Come si è già accennato, i nostri giudici sono soliti affermare, seppure non senza alcuni contrasti, che la compensazione impropria non è sottoposta alla disciplina sostanziale e processuale prevista per questo istituto. Essa è, quindi, sottratta al divieto di rilievo d’ufficio previsto dall’art. 1242, comma 1°, c.c., sicché il giudice può procedere all’accertamento contabile del saldo risultante dalla somma algebrica delle rispettive poste anche in assenza di formale eccezione di parte o di apposita domanda riconvenzionale, restando inapplicabili le norme processuali che pongono preclusioni o decadenze alla proponibilità delle relative eccezioni (v., in particolare, Cass., 8.8.2007, n. 17390). Va peraltro  precisato che il giudice non è investito di poteri officiosi d’indagine quanto all’esistenza dei rispettivi crediti delle parti e può procedere all’accertamento del saldo contabile solamente sulla base di circostanze tempestivamente dedotte in giudizio, diversamente verificandosi un illegittimo ampliamento del thema decidendum: di conseguenza, anche nell’ambito della compensazione impropria permane l’onere, a carico della parte interessata, di allegare e provare le rispettive voci di credito nel rispetto del principio del contraddittorio (Cass., 12.5.2006, n.11030; Cass., 30.3.2010, n. 7624).

Dal punto di vista sostanziale, l’operatività della compensazione impropria è svincolata dai requisiti di esigibilità (Cass., 14.2.1983, n. 1145), liquidità (Cass., 4.3.1970, n. 530; Cass., 13.5.1982, n. 2968) e omogeneità (Cass., 5.5.1982, n. 2801) dei crediti richiesti dall’art. 1243, comma 1°, c.c. per aversi compensazione legale (in senso contrario v., però, Cass., 29.1.2015, n. 1695); allo stesso modo è stata ritenuta inapplicabile la regola, enunciata dal comma 2° dell’articolo da ultimo menzionato, che richiede che il debito opposto sia di pronta e facile liquidazione per dare spazio alla compensazione giudiziale (Cass., 21.9.2011, n. 19208). La compensazione impropria, ancora, è sottratta alla regola sull’arresto della prescrizione prevista dall’art. 1242, comma 2°, c.c. (Cass., 25.11.2002, n. 16561; Cass., 3.11.1986, n. 6426) ed ha luogo anche con riguardo ai crediti impignorabili in deroga all’art. 1246, n. 3, c.c., aspetto che emerge con particolare risalto nell’ambito del rapporto di lavoro, ove viene in rilievo il noto limite del quinto dello stipendio previsto dall’art. 545 c.p.c.

Una recentissima decisione, infine, ha stabilito che la compensazione impropria si sottrae pure alla regola contenuta nell’art. 1248 c.c. riguardante indisponibilità al cessionario, da parte del debitore che abbia accettato puramente e semplicemente la cessione, della compensazione che avrebbe potuto opporre al cedente (Cass., 19.2.2019, n. 4825; in precedenza aveva adottato la soluzione opposta, invece, Cass., 19.4.2011, n. 8971).

In conclusione, sembra che l’unico requisito della compensazione “vera e propria” che la giurisprudenza mantiene fermo per l’operatività della compensazione atecnica sia quello della certezza dei crediti (v., in particolare, Cass., 23.3.2017, n. 7474; Cass., 29.1.2015, n. 1695), da intendersi anche (e soprattutto) come non contestazione in giudizio secondo la tradizionale impostazione che, pur incontrando la disapprovazione della dottrina maggioritaria (v., per tutti, Gorassini – Tescione, Della compensazione, nel Commentario Schlesinger, Milano, 2016, 68 ss.), è stata definitivamente consacrata nelle aule di giustizia da una pronuncia delle Sezioni Unite di qualche anno fa (Cass., sez. un., 15.11.2016, n. 23225).

Va segnalato che da questa linea di pensiero si è discostato un indirizzo giurisprudenziale, fatto proprio da un risalente intervento delle Sezioni Unite ma poi confermato solo da poche pronunce successive, secondo cui andrebbe operata una distinzione: la tesi della non compensabilità delle obbligazioni non autonome coglierebbe nel segno quando le obbligazioni derivanti da un unico negozio siano tra loro legate da un vincolo di corrispettività, perché la reciproca elisione di tali pretese verrebbe a paralizzare l’efficacia stessa del negozio, privandolo della possibilità di svolgere la sua funzione; mentre quando le obbligazioni, ancorché aventi causa in un unico rapporto, non siano in posizione sinallagmatica e presentino carattere autonomo, non vi sarebbe ragione per escludere la fattispecie dall’area della compensazione “in senso tecnico” e disapplicarne la disciplina (Cass., sez. un., 16.11.1999, n. 775; in termini analoghi v., poi, Cass., 11.3.2005, n. 5349; Cass., 10.6.2005, n. 12327; Cass., 9.5.2006, n. 10629; Cass., 29.1.2015, n. 1695). Questa ricostruzione non è però convincente, perché le obbligazioni scaturenti dai contratti a prestazioni corrispettive normalmente non sono omogenee e, pertanto, si sottraggono al meccanismo della compensazione già per questa ragione, senza necessità di sviluppare ulteriori ragionamenti (Renda, op. cit., 336 ss.); e d’altro canto, nell’inverosimile ipotesi che venisse stipulato un contratto sinallagmatico avente per oggetto prestazioni omogenee, come tali destinate ad estinguersi per compensazione già nel momento della loro stessa insorgenza, si sarebbe con ogni probabilità di fronte ad un negozio nullo per mancanza di causa (Gragnoli, op. cit., 290), salvo che non si possa ritenere, alla luce delle circostanza del caso concreto, che una siffatta operazione negoziale risponda ad un interesse delle parti serio e meritevole di tutela (Perlingieri, op. cit., 265; Renda, op. cit., 347).