22 Aprile 2025

L’ordinanza di estinzione atipica è impugnabile soltanto con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c. e non con il reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c.

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2025, n. 5784 – Pres. De Stefano – Rel. Gianniti

Esecuzione forzata – Estinzione del processo esecutivo – Ipotesi diverse da quelle tipizzate dall’art. 630 c.p.c. – Reclamo – Inammissibilità – Opposizione agli atti esecutivi – Necessità

Massima: “L’ordinanza che dichiara la chiusura anticipata ovvero l’improcedibilità dell’esecuzione a causa della mancata ottemperanza all’ordine del giudice di produrre documentazione ulteriore rispetto a quella prescritta dall’art. 567, comma 2, c.p.c. è impugnabile esclusivamente con l’opposizione agli atti esecutivi e non già con il reclamo al collegio ex art. 630 c.p.c., che, ove proposto, dev’essere dichiarato inammissibile anche d’ufficio, non essendo suscettibile di conversione nella predetta opposizione, in quanto non ne sussistono i necessari requisiti di sostanza e di forma”.

CASO

Una banca pignorava in danno della debitrice gli immobili sui quali aveva iscritto ipoteca.

Nell’ambito dell’esecuzione così promossa, la certificazione notarile depositata ai sensi dell’art. 567 c.p.c. indicava che il dante causa dell’esecutata aveva presumibilmente acquistato gli immobili pignorati per successione, senza che, tuttavia, risultasse alcuna trascrizione a suo favore.

Il giudice dell’esecuzione disponeva, quindi, che fosse depositata, entro sessanta giorni, una relazione notarile che chiarisse il titolo di acquisto del dante causa dell’esecutata.

Una volta trascritta l’accettazione tacita di eredità e depositata una nuova relazione notarile sostitutiva, il giudice dell’esecuzione la riteneva incompleta e concedeva, quindi, un ulteriore termine di sessanta giorni per produrre una certificazione completa di ogni informazione richiesta.

Rilevando che la relazione integrativa era stata depositata dopo la scadenza del termine concesso, il giudice dell’esecuzione dichiarava l’estinzione del processo esecutivo ai sensi dell’art. 567, comma 3, c.p.c.

Il reclamo proposto avverso l’ordinanza di estinzione veniva respinto dal Tribunale di Tivoli, con sentenza riformata dalla Corte d’appello di Roma, che disponeva la prosecuzione dell’espropriazione forzata limitatamente ad alcuni dei beni pignorati.

La pronuncia di secondo grado era impugnata con ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, rilevando che l’estinzione del processo esecutivo era stata dichiarata per una causa diversa da quelle tipiche, con riferimento alle quali l’art. 630 c.p.c. individua nel reclamo lo strumento di impugnazione dell’ordinanza estintiva, sicché avverso il provvedimento del giudice dell’esecuzione andava proposta opposizione agli atti esecutivi.

QUESTIONI

[1] Gli artt. 629 e seguenti c.p.c. disciplinano l’estinzione del processo esecutivo.

In virtù di quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 630 c.p.c., il reclamo costituisce il rimedio generale, tipico ed esclusivo avverso l’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione dichiara l’estinzione (od omette di farlo pur ricorrendone i presupposti); tuttavia, affinché sia esperibile il reclamo, è necessario che la fattispecie sottesa alla declaratoria di estinzione sia riconducibile al novero di quelle tipizzate dal legislatore, accomunate dall’inattività imputabile al creditore o ai creditori legittimati a provocare la prosecuzione del processo esecutivo, dal momento che, quando si versi in un’ipotesi di improseguibilità o di improcedibilità dell’esecuzione, lo strumento di reazione è l’opposizione agli atti esecutivi.

L’ordinanza che si annota è intervenuta in un caso in cui il giudice dell’esecuzione aveva dichiarato l’estinzione del processo esecutivo perché non era stato rispettato il termine – di sessanta giorni – concesso al creditore ai sensi dell’art. 567, comma 3, c.p.c. per integrare la certificazione notarile già depositata.

Per i giudici di legittimità, non si era in presenza di una delle cause di estinzione tipiche previste dagli artt. 629 e seguenti c.p.c. o alle stesse assimilabili, con la conseguenza che il provvedimento oggetto di reclamo aveva, in realtà, determinato l’improseguibilità, ovvero la chiusura anticipata del processo esecutivo e andava, dunque, impugnato con l’opposizione ex art. 617 c.p.c.

Infatti, mentre l’inefficacia del pignoramento comminata dal comma 3 dell’art. 567 c.p.c. (che viene tradizionalmente assimilata all’estinzione tipica) riguarda l’ipotesi in cui il creditore non depositi nel termine prescritto, siccome eventualmente prorogato, la documentazione richiesta dal precedente comma 2, quando il giudice dell’esecuzione chieda di produrne altra, diversa e aggiuntiva, comunque ritenuta indispensabile ai fini dell’utile prosecuzione del processo esecutivo, si esce dal fuoco della disposizione e si rientra in uno dei casi di estinzione atipica, detti anche di improseguibilità o di improcedibilità.

In altre parole:

  • se il creditore omette di produrre tempestivamente la documentazione prescritta dall’art. 567, comma 2, c.p.c., oppure, a fronte del deposito tempestivo di documentazione incompleta, omette di integrarla nel termine all’uopo assegnatogli dal giudice dell’esecuzione, questi deve dichiarare l’estinzione (tipica) del processo esecutivo, con ordinanza che potrà essere attinta con reclamo ai sensi dell’art. 630 c.p.c.;
  • quando, invece, il creditore abbia tempestivamente prodotto la documentazione richiesta dall’art. 567, comma 2, c.p.c., ma abbia disatteso l’ordine del giudice di dimettere documentazione ulteriore, che, sebbene non prescritta dalla norma, sia nondimeno ritenuta indispensabile ai fini dell’assunzione dei provvedimenti inerenti alla vendita dei beni pignorati e dell’ulteriore prosecuzione dell’espropriazione forzata, il provvedimento che disponga la chiusura anticipata del processo esecutivo non rientra nel novero di quelli considerati dall’art. 630 c.p.c. e deve, quindi, essere impugnato con il mezzo deputato al controllo della legittimità degli atti dell’esecuzione, cioè con l’opposizione ex 617 c.p.c.

Alla luce di questi principi, vale la pena svolgere qualche riflessione sul motivo per cui, nella fattispecie esaminata, si fosse in presenza di ordinanza non reclamabile ai sensi dell’art. 630 c.p.c., ma impugnabile mediante opposizione agli atti esecutivi, effettuando alcune precisazioni, sulla scorta dei dati riportati nell’ordinanza.

Il giudice dell’esecuzione, infatti, aveva dichiarato l’estinzione dell’esecuzione immobiliare in conseguenza del tardivo deposito di una nuova certificazione notarile, essendo stata rilevata l’incompletezza di quelle precedentemente dimesse: da questo punto di vista, si rientrava a pieno titolo nell’ambito di previsione del comma 3 dell’art. 567 c.p.c., che, come detto, sanziona con l’inefficacia del pignoramento il mancato rispetto del termine assegnato – dalla legge o dal giudice, a seguito di proroga – per espletare l’incombente.

Tuttavia, sebbene fosse stato prescritto il deposito di una terza certificazione notarile perché quella precedente non copriva il ventennio antecedente alla trascrizione del pignoramento (avvenuta, nel caso di specie, nel 2011), ossia l’arco di tempo indicato dal comma 2 dell’art. 567 c.p.c., va considerato che:

  • nella prima certificazione, era stato indicato che gli immobili pignorati erano stati acquistati dall’esecutata con atto trascritto nel 2004, mentre non risultava alcuna precedente trascrizione a favore del dante causa, che li aveva presumibilmente acquistati mortis causa dal padre, deceduto nel 1988;
  • nella seconda certificazione erano menzionate (solo) le formalità comprese tra il 2011 e il 2020, tra le quali vi era pure l’accettazione tacita di eredità nel frattempo trascritta a favore del dante causa dell’esecutata;
  • poiché l’accettazione dell’eredità, avendo efficacia retroattiva, collocava l’acquisto dell’avente causa dal de cuius in corrispondenza della morte di quest’ultimo (avvenuta, nel caso di specie, nel 1988), risultava, in questo modo, coperto il ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento;
  • ciononostante, il giudice dell’esecuzione aveva prescritto il deposito di una relazione notarile che individuasse i titoli di provenienza rinvenuti nel ventennio anteriore alla trascrizione del pignoramento relativamente agli immobili pignorati.

In altre parole, già con il deposito della seconda certificazione notarile parevano soddisfatti i requisiti prescritti dal comma 2 dell’art. 567 c.p.c. al fine di individuare, sulla base di indici formali (non essendo compito del giudice dell’esecuzione compiere in proposito un accertamento pieno, visto che non si versa nell’ambito della giurisdizione di cognizione), la titolarità del diritto pignorato in capo al debitore esecutato, sulla base di una serie continuativa di trascrizioni nel ventennio antecedente alla trascrizione del pignoramento, al fine di assicurare la stabilità dell’aggiudicazione.

Di conseguenza, è lecito desumere che l’ulteriore certificazione notarile richiesta avesse lo scopo non già di colmare una lacuna delle precedenti, ma di corroborarne le risultanze, ovvero di confermare la sussistenza dei presupposti – di per sé evincibili dalla documentazione già dimessa dal creditore – per disporre la vendita dei beni pignorati.

Oppure, con il proprio provvedimento, il giudice dell’esecuzione aveva inteso imporre al creditore l’onere di produrre una certificazione notarile che risalisse al primo acquisto per atto inter vivos anteriore al ventennio dalla trascrizione del pignoramento (visto che quello del dante causa dell’esecutata, sebbene anch’esso anteriore al ventennio, era avvenuto mortis causa), prescrivendo, pure in questo caso, un contenuto ulteriore rispetto a quello richiesto dall’art. 567, comma 2, c.p.c.

Può, dunque, ragionevolmente concludersi che per queste ragioni la documentazione tardivamente depositata dal creditore fosse da considerarsi aggiuntiva rispetto a quella indicata dal comma 2 dell’art. 567 c.p.c., per quanto reputata comunque indispensabile ai fini dell’assunzione dei provvedimenti previsti dall’art. 569 c.p.c.

Di qui, la ravvisata impugnabilità dell’ordinanza estintiva non con il reclamo ex art. 630 c.p.c., ma con l’opposizione agli atti esecutivi.

D’altra parte, se il creditore avesse inteso contestare la necessità di dimettere una certificazione notarile integrativa, reputando ultroneo l’ordine impartito dal giudice, avrebbe dovuto proporre opposizione avverso di esso ai sensi dell’art. 617 c.p.c.; in sua assenza, il provvedimento era divenuto inoppugnabile, sicché il mancato rispetto del termine con esso fissato aveva condotto alla declaratoria di improseguibilità dell’esecuzione.

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