28 Marzo 2023

L’onere della prova in materia di prescrizione presuntiva

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez. II, 23 gennaio 2023, n. 1902 Pres. Manna, Rel. Trapuzzano

Procedimento civile – Onere della prova – Prescrizione presuntiva – Estinzione dell’obbligazione – Allegazione – Giuramento decisorio – Giudice (C.c., artt. 2956, 2959; c.p.c. artt. 115, 116, 233)

Poiché la prescrizione presuntiva si fonda sulla presunzione di adempimento dell’obbligazione, l’onere probatorio in materia è distribuito nel senso che il debitore eccipiente è tenuto a provare il decorso del termine previsto dalla legge, mentre il creditore ha l’onere di dimostrare la mancata soddisfazione del credito e tale ultima prova può essere fornita solo deferendo il giuramento decisorio o avvalendosi dell’ammissione, fatta in giudizio dal debitore, che l’obbligazione non è stata estinta.

CASO

Nel lontano giugno 1996 (e quindi a distanza di quasi ventisette anni dalla pronuncia definitiva) l’attore, avvocato, conveniva il cliente per sentirlo condannare al pagamento dei compensi spettanti per l’attività professionale prestata in più contenziosi tra il 1986 e il 1993, per un importo corrispondente ai vecchi trenta milioni di lire.

Per la comprensione delle successive dell’ex assistito è necessario qualche sintetico riferimento alla tipologia di giudizi nei quali il difensore aveva prestato la propria opera, quasi tutti legati a vicende penali e amministrative connesse a condotte di abusivismo edilizio, e in particolare (per le informazioni non sempre complete ricostruibili dal testo della sentenza in commento): a) un giudizio di opposizione alla ingiunzione INPS instaurato innanzi alla Pretura di Napoli nel 1987; b), c), d), e) procedimenti penale svolti innanzi al Pretore di Ischia (1986/1990), alla Corte d’appello di Napoli (definito nel 1991), al Tribunale di Napoli (iscritto nel 1987), e ancora al Tribunale di Napoli, concluso nel 1992; f) un procedimento penale, iscritto nel 1993, senza maggiori indicazioni; g), h) due ricorsi al TAR Campania iscritti nel 1997; i) un procedimento amministrativo iscritto nel 1993; l), m) due ultimi procedimenti amministrativi avanti al TAR Campania, senza riferimenti temporali.

Il convenuto eccepiva la prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c. per le cause di cui alle lett. a), b), c), g), h) e i), per i quali allegava, e in un caso dimostrava parzialmente, di aver corrisposto i compensi; sosteneva di non aver provveduto ai pagamenti per i procedimenti di cui alle lett. d), e), f), l) e m), in quanto era mancata la quantificazione del difensore.

Il tribunale accoglieva la domanda con sentenza del 2013, per l’importo già ricalcolato nella “nuova” moneta di euro 15.235,47, disattendendo l’eccezione di prescrizione presuntiva con discutibile e stringata motivazione, per come riportata nel fatto processuale riassunto nella sentenza di Cassazione, per cui “il cliente, dopo avere sollevato l’eccezione, aveva da un canto indicato alcuni procedimenti per i quali aveva corrisposto il dovuto e dall’altro aveva invece ammesso di non aver corrisposto alcunché per altri procedimenti, sicché, considerando unitariamente i crediti derivanti da tali giudizi, riteneva che il debitore avesse comunque ammesso in giudizio che l’obbligazione non si era estinta”.

La sentenza d’appello accoglieva parzialmente l’impugnazione proposta dal cliente, e conseguentemente riduceva l’importo dovuto all’avvocato per l’attività svolta, osservando in particolare l’errore commesso dal primo giudice nel “considera[re] unitariamente i crediti” professionali oggetto di causa.

Con motivazione più analitica, la corte d’appello distingueva infatti tra le singole voci e, partitamente esaminando la vicenda sostanziale e processuale dei relativi compensi, osservava che “il riconoscimento del difetto di alcun pagamento in relazione alle prestazioni professionali di cui alle lettere d), e), f), l) ed m) non valeva ad inficiare l’eccezione di prescrizione presuntiva con riferimento alle prestazioni elencate alle lettere a), b), c), g) e h), rispetto alle quali il cliente aveva sostenuto di aver pagato le spese, i diritti e gli onorari maturati in favore del difensore”, e che per alcuni procedimenti neppure vi era prova, a monte, di alcuna attività specificamente riconducibile al difensore; riqualificava in euro 30,99, sulla base delle tariffe del 1990 ratione temporis applicabili, il compenso per il ricorso proposto al Tribunale del riesame avverso un provvedimento di sequestro preventivo.

La sentenza d’appello era impugnata dall’originario attore avanti alla Corte di Cassazione, con cinque motivi di cui soltanto il primo rilevante in questa sede in quanto attinente all’individuazione dell’onere della prova in materia di prescrizione presuntiva.

Con tale motivo, il ricorrente denunciava infatti ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2956 c.c., n. 2, e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., nonché, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella previgente formulazione, l’insufficiente e contraddittoria motivazione, con conseguente nullità della sentenza, per avere sostanzialmente accolto la Corte d’appello l’eccezione di prescrizione presuntiva in assenza di prova del pagamento delle prestazioni da parte del debitore: solo ove fosse stato dimostrato l’adempimento della prestazione, infatti, avrebbe potuto operare la prescrizione breve, e non già sulla scorta di un “pagamento meramente ipotizzabile”, sicché, con riferimento ai procedimenti di cui alle lett. a), b), c), g) e h), in mancanza della prova del pagamento delle relative prestazioni, avrebbe operato la prescrizione ordinaria decennale, non ancora decorsa al tempo della proposizione della domanda.

SOLUZIONE

La Corte rigetta il motivo osservando la pretestuosità della tesi del ricorrente, che svuota di significato l’istituto della prescrizione presuntiva triennale atteso che “colui che eccepisce la prescrizione presuntiva triennale – nel caso di specie, riferita al diritto dei professionisti per il compenso dell’opera prestata e per il rimborso delle spese correlative – non ha ovviamente l’onere di dimostrare l’avvenuto pagamento del credito, poiché, ove tale prova fosse fornita, non avrebbe senso eccepire la prescrizione”.

Diversa è l’ipotesi, presa in esame in motivazione in via di obiter dictum, in cui il cliente ammette che l’obbligazione non si è estinta, nel qual caso ex art. 2959 c.c. l’eccezione di prescrizione presuntiva dovrà essere disattesa.

Il caso deciso dalla Corte integra invece la fattispecie “tipica” dell’eccezione presuntiva, nella quale il debitore allega il fatto rappresentato dal trascorrere del tempo ritenuto giuridicamente rilevante dalla norma e – da quel fatto, indipendente dalla prova di pagamenti medio tempore intervenuti – ricava l’estinzione dell’obbligazione.

E’ pertanto la confermata la decisione d’appello che, per quei soli, autonomi procedimenti nei quali il debitore aveva effettivamente eccepito la prescrizione (e non anche in quelli in cui aveva invece lamentato, ad esempio, l’irrilevante omessa quantificazione, prima del giudizio, degli importi dovuti), già era stata esclusa la sussistenza di alcun credito professionale.

QUESTIONI

La sentenza in commento, nell’esprimere il principio di diritto sopra evidenziato, evoca il ping pong processuale originato dall’eccezione di prescrizione presuntiva, che esonera sì il debitore, ove il tempo trascorso sia effettivamente superiore ai tre anni, dall’onere di dimostrare il pagamento, che gli incomberebbe per regola generale in materia di inadempimento, come insegnato dalle note Sezioni unite 30 ottobre 2001, n. 13533); ma non lo ripara dal rischio che il creditore risponda all’eccezione con un’istanza di giuramento.

In sintesi, al convenuto spetta l’onere di dimostrare il fatto su cui si fonda l’eccezione, ossia il decorso del termine previsto dalla legge; all’attore l’onere di provare l’omessa soddisfazione del credito, attraverso due forme rappresentate in via esclusiva dal giuramento decisorio o, nell’ipotesi più infrequente già vagliata in via astratta nella motivazione della sentenza in epigrafe, dalla “ammissione, fatta in giudizio dal debitore” (con ciò alludendo probabilmente la giurisprudenza, come già a livello normativo l’art. 2959, non solo alla confessione in senso tecnico resa dalla parte personalmente ma anche alla dichiarazione lato sensu sfavorevole resa dal difensore) in ordine al fatto che “l’obbligazione non è stata estinta” (Cass., 30 ottobre 2022, n. 20047; Cass., 16 giugno 2021, n. 17071; Cass., 15 maggio 2007, n. 1195).

Un maggiore sforzo esplicativo avrebbe forse meritato il secondo passaggio logico contenuto in motivazione, per cui “la mancata contestazione dell’inadempimento del debito non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell’obbligazione, ostativa all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione presuntiva, atteso che l’ammissione di cui all’art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. sulla presunzione legale di pagamento sottesa all’istituto della prescrizione presuntiva”.

L’affermazione trova riscontro in un orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità (Cass., 8 aprile 2022, n. 11500; Cass., 18 novembre 2019, n. 29875).

Essa non risulta tuttavia persuasiva nell’ipotesi, che dallo scarno fatto processuale ricostruibile dalla sentenza parrebbe essersi verificata nel caso concreto, in cui l’eccezione di prescrizione presuntiva non sia stata accompagnata dalla prova del pagamento (il ché risulta giustificato dalla ratio dell’art. 2956 c.c., ossia la “presunzione di adempimento dell’obbligazione”), ma neanche dall’affermazione di aver effettivamente adempiuto nei tre anni dalla prestazione professionale.

In quest’ultimo caso infatti non appare irragionevole sussumere la condotta difensiva del convenuto nella disciplina dell’art. 115 c.p.c., e ricavarne che nessuna specifica contestazione (ossia nessuna narrazione di segno contrario al fatto narrato dall’attore, rappresentato dall’inadempimento) è giunta sul piano dell’allegazione, e pertanto al giudice, stante il “dovere” di porre il fatto a fondamento della decisione precisato dallo stesso art. 115, è precluso l’esame della prova o meno – tramite la presunzione o, se richiesto e ammesso, in dipendenza degli esiti del giuramento decisorio – del pagamento.

Ciò a maggior ragione se si considera che è la stessa giurisprudenza ad affermare in massime tralatizie – a quanto consta, senza però esemplificazioni concrete – che l’eccezione di prescrizione presuntiva è “incompatibile” con “qualsiasi comportamento del debitore che importi, sia pure implicitamente, l’ammissione in giudizio che l’obbligazione non è stata estinta” (Cass., 8 giugno 2022, n. 18365): e se un comportamento esplicito in tal senso è evidentemente rintracciabile nell’espressa affermazione che l’obbligazione non è estinta, ossia che il pagamento non è stato effettuato, allora ben potrebbe integrare un comportamento implicitamente rilevante agli stessi fini il silenzio a monte del debitore, sul piano delle proprie allegazioni, in ordine al pagamento.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Riforma del processo civile