16 Febbraio 2021

L’istituto della novazione in relazione al contratto di locazione

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, Sez. 3^, 7 febbraio 2020, Presidente Graziosi, Estensore Iannello

In tema di locazione, non è sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivato.

CASO

Il giudizio di primo grado traeva origine dall’intimazione di sfratto per morosità rivolta dalla locatrice al conduttore, in relazione all’immobile a lui concesso in locazione ad uso commerciale con contratto stipulato in data 31.03.2006, in ragione del mancato pagamento del canone relativo ai mesi da giugno a settembre 2011. L’intimato tuttavia si opponeva assumendo l’esistenza di un maggior credito, sul rilievo che il rapporto giuridico tra le parti traesse origine da altro contratto, stipulato in data 1.02.2000, il quale prevedeva illegittimamente una durata di sei anni senza possibilità di rinnovo ed un canone mensile di € 361,51; detto contratto doveva pertanto intendersi rinnovato automaticamente sino al mese di febbraio 2012. Inoltre, l’intimato deduceva il fatto che la locatrice avesse preteso fin dall’origine del rapporto la corresponsione di un canone mensile di € 775,00, nonché la stipula di un nuovo contratto il 31.03.2006 che prevedesse tale importo diverso rispetto a quello indicato nel contratto originario, in violazione dell’art. 79 L. n. 392 del 1978, e pertanto affetto da nullità in quanto contrario a norme imperative di legge.

Instauratasi la fase di cognizione piena, attraverso la trasformazione del rito, il conduttore chiedeva in via riconvenzionale l’accertarsi della vigenza del contratto del 2000 al canone pattuito, con conseguente nullità di ogni diversa determinazione contra legem, nonché la condanna della locatrice alla restituzione delle somme indebitamente pretese e corrisposte.

Il Giudice di prime cure rigettava la domanda principale e, in parziale accoglimento della riconvenzionale, riteneva il rapporto tra le parti regolato dal contratto di locazione stipulato in data 1.02.2000, rinnovatosi ex lege al canone mensile di € 361,51, con conseguente nullità di ogni diversa pattuizione, per cui condannava la locatrice alla restituzione delle somme indebitamente percepite a titolo di maggior canone.

La Corte di Appello di Roma, in accoglimento del gravame interposto dalla locatrice, ribaltava la sentenza impugnata dichiarando risolto il contratto di locazione per inadempimento del conduttore, condannandolo al pagamento delle somme dovute a titolo di canoni scaduti e non pagati dal 1.06.2011 al 30.09.211, oltre all’indennità di occupazione. La Corte territoriale aveva infatti ritenuto che non vi fosse stata alcuna violazione dell’art. 79 della L. n. 392 del 1978, in quanto fin dall’origine del rapporto il canone mensile veniva corrisposto nella somma di € 775,00, la quale era pertanto stata concretamente pattuita tra le parti. Inoltre, al contratto registrato del 31.03.2016, nel quale le parti avevano indicato espressamente in € 775,00 il canone dovuto, la Corte riconosceva valenza novativa, atteso che con esso venivano regolati, in maniera diversa rispetto al precedente accordo, aspetti non marginali del rapporto, quali la disciplina della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento dei canoni e la misura dell’aggiornamento Istat del canone.

Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il conduttore, in particolare denunciando la violazione o falsa applicazione della legge, nella misura in cui la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto sussistente una novazione tra il primo e il secondo contratto, mentre in realtà, di questa non sussistevano né l’elemento oggettivo, né l’elemento soggettivo.

SOLUZIONE

La Suprema Corte di Cassazione, inter alios, riteneva fondato il motivo di ricorso con il quale si contestava nel merito la fondatezza dell’assunto secondo cui il contratto stipulato tra le parti nel 2006 avrebbe comportato una novazione del rapporto, accogliendo il ricorso e cassando la sentenza impugnata.

QUESTIONI

Nel risolvere la controversia appena descritta, la Suprema Corte di Cassazione ha avuto modo di affrontare e porre l’accento su una questione interpretativa sostanziale meritevole di essere analizzata, congiuntamente a quella di carattere processuale strettamente interconnessa alla prima:

  1. quanto alla questione di carattere sostanziale, la Corte si è curata di individuare gli aspetti del rapporto contrattuale la cui modificazione possa effettivamente determinare la novazione di un precedente accordo negoziale tra le parti;
  2. relativamente invece alla questione processuale e preordinata alla precedente, la Corte ha ribadito quando ricorre la possibilità di eccepire l’intervenuta novazione nell’arco del giudizio di merito

Per convenienza espositiva, si ritiene di dover procedere in via preliminare all’analisi e commento della seconda questione sottoposta all’attenzione e risolta dalla Corte di legittimità; nel caso di specie, questa veniva introdotta con il primo motivo di ricorso, che – censurando un error in procedendo della Corte d’Appello – mirava a contestare la correttezza del rigetto dell’eccezione di inammissibilità, per mutatio libelli, relativa al motivo di gravame con cui era stata dedotta la novazione del rapporto di locazione, per la prima volta nel secondo grado di giudizio.

La Suprema Corte riteneva il suddetto motivo infondato. La stessa infatti provvedeva a richiamare pacifica giurisprudenza di legittimità secondo cui la novazione non forma oggetto di un’eccezione in senso proprio, come per altro risultava deducibile dal raffronto tra la nozione e la disciplina della fattispecie novativa dettata dagli artt. 1230-1235 c.c. e l’espressa previsione della non rilevabilità d’ufficio della compensazione ex art. 1242 c.c., ragion per cui il giudice ben poteva rilevare d’ufficio il fatto corrispondente, ove ritualmente introdotto nel processo.[1]

A tal proposito giova ricordare l’insegnamento consolidato delle Sezioni Unite in materia di rilevabilità a domanda di parte o d’ufficio delle eccezioni, nonché la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato. Partendo dal presupposto che solo le eccezioni si fondano su elementi impeditivi, modificativi o estintivi dell’azione, distinguendosi pertanto dalle mere difese, si ribadisce che le eccezioni in senso stretto sono riservate alla parte per previsione espressa di legge, sulla base del principio dispositivo (ad es. l’eccezione di compensazione come richiamata in epigrafe)[2]; viceversa, le eccezioni in senso lato sono liberamente rilevabili d’ufficio, purché i fatti su cui si fondano risultino dagli atti processuali. Le S.U. hanno inoltre sancito che la rilevabilità d’ufficio delle eccezioni in senso lato è consentita anche in appello, non essendoci preclusioni all’utilizzabilità dei fatti risultanti dal processo, però sempre nei limiti dei motivi del gravame. Non sono infatti precluse le allegazioni fondanti eccezioni in senso lato basate su fatti risultanti dagli atti, mentre lo sono quelle relative a fatti nuovi. Infine, la rilevabilità d’ufficio dell’eccezione in senso lato si può fondare solo su fatti provati o di cui è tempestivamente richiesta la prova, per non incorrere nelle preclusioni istruttorie.[3]

La Corte di Cassazione, nel caso in esame, non si è discostata dal predetto orientamento delle Sezioni Unite, in quanto ha correttamente valutato che la Corte territoriale aveva rilevato la novazione sulla base di elementi risultanti pacificamente dalle comuni allegazioni delle parti, quindi già introdotti nella materia oggetto di gravame.

Passando ora alla prima questione giurisprudenziale affrontata dalla Corte di legittimità, nella sentenza in epigrafe viene fatto rinvio ad un indirizzo ormai ampiamente consolidato e pacifico, che interpreta in modo restrittivo la fattispecie della novazione in materia locatizia e nega che questa si possa configurare nell’ipotesi di modificazioni convenzionali all’importo dei canoni di locazione. La massima citata dalla Corte riporta infatti quanto segue: “In tema di locazione, non è sufficiente ad integrare novazione del contratto la variazione della misura del canone o del termine di scadenza, trattandosi di modificazioni accessorie, essendo invece necessario, oltre al mutamento dell’oggetto o del titolo della prestazione, che ricorrano gli elementi dell’animus e della causa novandi, il cui accertamento costituisce compito proprio del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità se logicamente e correttamente motivato”.[4] Nel caso in esame, la Cassazione ha evidenziato l’errore di sussunzione in cui era incorso il giudice a quo, per aver attribuito rilevanza, ai fini della configurabilità della dedotta novazione, sotto il profilo oggettivo (aliquid novi), a pattuizioni incidenti su aspetti meramente accessori del rapporto, quali la diversa misura del canone, la disciplina della risoluzione del contratto, la durata dello stesso. In particolare, ha sottolineato la Corte, la previsione della risoluzione di diritto in caso di ritardato pagamento del canone, riguardando situazione meramente eventuale e patologica del rapporto, non comportava di per sé alcuna modificazione né dell’oggetto né del titolo del rapporto locativo.[5] Una rilevanza novativa, per altro, non poteva nemmeno attribuirsi alla maggiore misura dell’aggiornamento Istat del canone, trattandosi di previsione che, oltre a essere palesemente e incontestatamente nulla per violazione di norme imperative di legge (art. 32 della legge dell’equo canone) [6], incideva anch’essa su aspetto del rapporto (l’ammontare del canone) che, secondo la citata giurisprudenza, non può comunque considerarsi, di per sé solo, suscettibile di modificazioni tali da integrare la novazione del rapporto.

Alla luce di una siffatta pronuncia, si deve concludere per l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato in senso sfavorevole nei confronti della possibilità di ottenere il riconoscimento della novazione in caso di mutamento, e in particolar modo di incremento, del canone di locazione, per accordo intervenuto durante il rapporto contrattuale tra locatore e conduttore. La ragione che la dottrina ritiene primaria per spiegare un simile indirizzo giurisprudenziale è certamente derivata dall’elevato carattere di tassatività e precisione che connota le norme dettanti la disciplina dell’istituto in esame.[7] Di esse, la Suprema Corte ha sempre effettuato un’interpretazione piuttosto restrittiva, come dimostrato dalla massima riportata in epigrafe.

Per chiarezza espositiva, si riporta una breve descrizione dell’istituto della novazione oggettiva (art. 1230 c.c.): essa, per definizione, determina l’estinzione dell’obbligazione in modo non satisfattorio, in quanto la cessazione dell’originario rapporto obbligatorio (obligatio novanda) non deriva dall’adempimento della pretesa creditoria, bensì dalla inequivocabile volontà delle parti di estinguerlo dando vita, nel contempo, ad un nuovo rapporto (animus novandi), diverso dal precedente nell’oggetto o nel titolo (aliquid novi).[8] Pertanto, si tratterebbe di un contratto consensuale ad effetto ad un tempo estintivo, dell’obbligazione originaria, e costitutivo, del nuovo rapporto con oggetto o titolo diversi. È poi proprio in forza del successivo art. 1231 c.c. che si coglie la necessità che tanto l’animus novandi, quanto l’aliquid novi ricorrano entrambi affinché si possa verificare la novazione[9]: infatti, la stessa norma stabilisce che la modificazione dell’obbligazione non deve avere natura meramente accessoria; viceversa, affinché si realizzi la novazione, il nuovo rapporto obbligatorio deve porsi in aperta incompatibilità con quello originario, cosicché possa risultare inequivocabile anche l’eventuale volontà tacita delle parti. Dunque, affinché si realizzi la suddetta situazione di incompatibilità, la modifica dell’obbligazione deve attenere agli elementi principali della stessa, quindi all’oggetto e/o al titolo. Per questa ragione, dottrina e giurisprudenza sono concordi nell’escludere che possa presumersi la novazione di un contratto di locazione sulla base della mera adesione del conduttore a una proposta del locatore di aumento del canone, (magari per adeguarlo al mutato potere d’acquisto della moneta), mantenendo però inalterati tutti gli altri elementi del rapporto e mancando l’espressa manifestazione di una volontà novativa, in quanto il canone di locazione non può considerarsi elemento principale del rapporto obbligatorio, nella misura in cui una sua modifica non rende la successiva statuizione negoziale incompatibile con quella originaria.[10]

In conclusione l’esame della pronuncia giurisprudenziale di legittimità ha rivelato la quasi unanimità dei giudici cassazionisti, ma anche di merito, nel ritenere privo di efficacia novativa del rapporto locatizio il semplice accordo delle parti sull’aumento o in genere sulla modificazione del canone in corso di rapporto, nel caso in cui restino invariate le parti contraenti e il bene oggetto del contratto di locazione. Si tratta, infatti, (solamente) della variazione di un elemento, importante ma comunque accessorio, del contratto e, in quanto tale, insufficiente.[11]

[1] Cass. 17/11/2016, n. 23434; 08/04/2009, n. 8527.

[2] Art. 1242 c.c. Effetti della compensazione: “la compensazione estingue i due debiti dal giorno della loro coesistenza. Il giudice non può rilevarla d’ufficio. (…)

[3]  sentenze n. 226/ SU/2001; n. 1566/2005 e n. 10531/2013

[4] Ex multis, Cass. 13/06/2017, n. 14620; 09/03/2010, n. 5673; 21/05/2007 n. 11672.

[5] Art. 1230 c.c. Novazione oggettiva: “L’obbligazione si estingue quando le parti sostituiscono all’obbligazione originaria una nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso. La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non equivoco.

[6] Art. 32 L. 392 del 1978 Aggiornamento del canone “Le parti possono convenire che il canone di locazione sia aggiornato annualmente su richiesta del locatore per eventuali variazioni del potere di acquisto della lira. Le variazioni in aumento del canone non possono essere superiori al 75 per cento di quelle, accertate dall’ISTAT, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai contratti di locazione stagionale.”

[7] Novazione del contratto e incremento del canone di locazione, Ventiquattrore Avvocato, 7 maggio 2007, n. 5. p. 27 di Vitiello Paolo

[8] ESPOSITO, «La novazione oggettiva e i suoi presupposti », in Rass. loc. cond. , 2000, 109. RESCIGNO, voce «Novazione» , in Noviss. Digesto, XI , Utet, 431

[9] Art. 1231 c.c. Modalità che non importano novazione: Il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l’apposizione o l’eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell’obbligazione non producono novazione”.

[10] SCHLESINGER, «Mancanza dell’effetto estintivo nella novazione oggettiva», in Riv. dir. civ ., 1958, I, 353.

[11] Novazione del contratto e incremento del canone di locazione, Ventiquattrore Avvocato, 7 maggio 2007, n. 5. p. 27 di Vitiello Paolo.

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