9 Luglio 2019

L’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario pretermesso

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sez. 2, Sentenza n. 16623 del 20/06/2019

SUCCESSIONI MORTIS CAUSA – SUCCESSIONE NECESSARIA – REINTEGRAZIONE DELLA QUOTA DI RISERVA DEI LEGITTIMARI – AZIONE DI RIDUZIONE – Legittimazione – Eredi e Aventi causa – Creditori personali del legittimario – Sussiste

* L’azione di riduzione è direttamente esperibile in via surrogatoria da parte del creditore del legittimario pretermesso nella specifica ipotesi di inerzia colpevole di questi (non essendo, perciò, necessario in tal caso il preliminare esperimento dell’actio interrogatoria e della conseguente domanda di autorizzazione, in caso di rinunzia, ai sensi dell’art. 524 c.c.), realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore.

*Massima non ufficiale

Disposizioni applicate

Articoli 457, 524, 557 e 2900 cod. civ.

[1] La Banca Alfa titolare di un diritto di credito nei confronti di Tizio e Caio, nel corso di una procedura monitoria per decreto ingiuntivo, nel ricostruire le diverse vicende succedutesi nel tempo, rilevava come i debitori fossero nipoti in linea retta – e, pertanto, legittimari (essendo premorto il proprio genitore) – della defunta Mevia, la quale, con testamento olografo, aveva disposto delle proprie sostanze escludendo gli stessi dalla propria successione.

Essendo il patrimonio della defunta capiente, la Banca Alfa aveva interesse a surrogarsi, ai sensi dell’art. 2900 c.c., nell’esercizio dei diritti di legittimari totalmente pretermessi, ovvero impugnare ai sensi dell’art. 524 c.c. una loro eventuale rinunzia ai propri diritti ereditari.

Veniva così notificato un atto di citazione col quale si chiedeva al Tribunale di accertare che Tizio e Caio erano eredi legittimari di Mevia e, conseguentemente, di dichiarare nullo o, comunque, inefficace il testamento olografo della stessa nella parte in cui risultava lesa la quota di riserva spettante agli anzidetti legittimati preteriti; per l’effetto, previa eventuale declaratoria ai sensi dell’art. 524 c.c., si instava perché venisse determinato, ai sensi dell’art. 556 c.c., il valore dell’asse ereditario della defunta Mevia e, pertanto, fosse assegnata la quota di 1/3 di detto asse a Tizio e Caio, con conseguente condanna dell’erede nominato nel testamento (Sempronio) alla restituzione della quota spettante agli eredi preteriti, previo pagamento delle ragioni di credito vantate da essa Banca nei confronti dei medesimi.

Sempronio si costituiva in giudizio invocando il rigetto dell’avversa pretesa, sul presupposto che nulla era dovuto a Tizio e Caio (che rimanevano contumaci).

All’esito dell’attività istruttoria, il Tribunale di primo grado dichiarava inammissibile, per difetto di legittimazione attiva (sul presupposto che la Banca attrice non potesse annoverarsi tra gli “aventi causa” dei legittimari), ogni domanda proposta nei confronti di tutti i convenuti.

Veniva proposto appello e l’adita Corte confermava l’impugnata sentenza, affermando come la formulazione dell’art. 557 c.c. non lasciasse spazio ad interpretazioni diverse da quelle contenute nel tenore letterale dell’articolo stesso, secondo cui la riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della porzione di legittima (pur avendo ad oggetto diritti patrimoniali) non può essere domandata che dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa, nel cui ambito non potevano, perciò, ricomprendersi i creditori che agiscono in via di surrogazione.

Avverso la sentenza di secondo grado, la Banca Alfa proponeva ricorso per cassazione, sul primo motivo del quale si focalizzerà l’odierna analisi.

2]  Con tale motivo, infatti, Banca Alfa lamentava “la violazione e falsa applicazione degli artt. 557 e 2900 c.c., prospettando l’erroneità in punto di diritto dell’impugnata sentenza, nella parte in cui, con l’adottata motivazione, aveva ritenuto che l’azione di riduzione non potesse ritenersi trasmissibile agli eredi e non fosse cedibile, escludendo, quindi, che potesse essere esercitata in via surrogatoria anche dai creditori personali dei legittimari pretermessi, pur non avendo gli stessi mai rinunciato ai loro diritti sull’eredità”.

Il ragionamento operato dagli Ermellini prende origine dal dato testuale dell’articolo 557 cod. civ., ove è previsto che l’azione di riduzione non possa essere proposta che “dai legittimari e dai loro eredi o aventi causa”, per ricavarne la considerazione che se da un lato è pacifico che l’azione di riduzione, avendo natura patrimoniale, sia cedibile e trasmissibile agli eredi; dall’altro è più discusso quale sia l’ambito della categoria “aventi causa” e, in particolare, se a tale categoria appartengano anche i creditori personali del legittimario pretermesso. E ancora, discusso è se questi ultimi possano, e a quali condizioni, eventualmente esercitare l’azione di riduzione in via surrogatoria.

Dopo aver sinteticamente affermato che, in accordo con la dottrina maggioritaria, i creditori personali del legittimario possano ricomprendersi nel novero degli aventi causa di cui all’art. 557 cod. civ. e, pertanto, riconoscendo a costoro la legittimazione all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, la Suprema Corte sviluppa il proprio pensiero, dando all’interprete la possibilità di appieno comprendere la posizione del giudice di legittimità.

Accogliendo, pertanto, il ricorso della Banca Alfa, la Cassazione arriva ad enunciare il seguente principio di diritto “è ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria – prevista dall’art. 2900 c.c. – nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti“.

Ma è, come detto, il ragionamento dettagliatamente esplicato nella sentenza epigrafata che merita particolare attenzione.

[3] Al fine di riconoscere la possibilità di agire in via surrogatoria, i Giudici rilevano innanzitutto come “la circostanza che la legittimazione ex art. 557 c.c. è riconosciuta anche agli aventi causa lascia intendere che non si verte in tema di azione indisponibile ovvero personalissima”, con ciò escludendosi in radice ogni possibile eccezione in merito che potesse portare all’esclusione dell’applicabilità dell’art. 2900 cod. civ ove l’azione è ammessa a condizione che non si verta in materia di diritti o di azioni indisponibili ovvero disponibili solo dal suo titolare.

I giudici di legittimità rinvengono, poi, un ulteriore elemento a favore della propria posizione nel disposto del 3° comma dell’articolo 557 citato, in forza del quale i creditori ereditari non possono chiedere la riduzione delle disposizioni lesive, né trarne vantaggio, se il legittimario ha accettato con beneficio di inventario. Se, si afferma, “la legittimazione viene espressamente riconosciuta per l’ipotesi in cui l’accettazione è pura e semplice (grazie alla quale i creditori del defunto divengono creditori personali del legittimario a seguito della confusione patrimoniale che viene a determinarsi), non si rinviene la ragione dell’esclusione della tutela patrimoniale degli originari creditori personali, trovandosi questi ultimi nella medesima condizione giuridica di quelli e, perciò, destinatari dello stesso grado di tutela”.

Tale ultimo assunto, tuttavia, non può prescindere da ulteriori considerazioni che rappresentano lo snodo centrale della problematica in esame e che attengono all’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario pretermesso. Creditori personali e creditori ereditari potranno trovarsi nella medesima posizione solo ed esclusivamente qualora il legittimario acquisti la qualità di erede. In mancanza di tale acquisto, le loro posizioni non potranno ritenersi equiparabili (basti pensare al fatto che mai un creditore dell’eredità potrebbe aggredire il patrimonio personale di colui che non sia erede, ancorché legittimario).

E, come riconosciuto dalla stessa Cassazione, è certamente prevalente sia in dottrina che in giurisprudenza l’opinione che non sia possibile agire in via surrogatoria al fine di vedere riconosciuta in capo ad un chiamato la qualità di erede.  E ciò poiché, si ritiene, l’acquisto di tale qualità impone valutazioni di carattere non solo patrimoniale, bensì anche morale e personale che certamente non possono essere rimesse a terzi. I creditori personali di un soggetto chiamato all’eredità (sia egli un legittimario o meno) potranno, tuttalpiù, forzare i tempi attraverso la proposizione di un ricorso ex art. 481 cod. civ. al fine di stimolare, nel breve tempo concesso dal giudice, una manifestazione di volontà da parte del chiamato: se egli accetterà, nulla quaestio; se egli rinuncerà espressamente, troverà applicazione il disposto dell’art. 524 cod. civ., in forza del quale è concesso al creditore del rinunciante di farsi autorizzare ad “accettare” l’eredità per conto del proprio debitore (sebbene non si tratti di vera e propria accettazione, non conseguendo la qualità di erede né il creditore né il rinunciante); nel caso, infine, di  ulteriore inerzia, la dottrina e giurisprudenza dominanti ritengono applicabile in via analogica il citato art. 524.

Se, dunque, non è possibile che dall’esercizio di un’attività da parte di un terzo discenda l’acquisto della qualità di erede in capo ad altri, come può giustificarsi l’ammissibilità dell’esercizio dell’azione di riduzione da parte dei creditori personali del legittimario pretermesso, considerando che dall’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione discende, per giurisprudenza unanime, l’acquisto della qualità di erede?

La risposta della Suprema Corte, al riguardo, prende le mosse proprio dalla lettura dell’art. 524 cod. civ., sottolineandosi come tale norma consenta ad un terzo di sostituirsi ad un altro soggetto non nel determinare l’acquisto dell’eredità, bensì solo ed esclusivamente al fine di potersi soddisfare sui beni che a lui sarebbero potuti pervenire se avesse accettato l’eredità. “Detta norma (…) comporta solo l’attribuzione di una speciale legittimazione allo stesso creditore del rinunciante (ancorché lo abbia fatto senza frode) per l’ottenimento del soddisfacimento della sua pretesa creditoria”, prescindendosi da qualsiasi valutazione in ordine alla qualità di erede.

È a questo punto che il ragionamento della Suprema Corte perde, forse, di linearità e, senza un preciso e compiuto collegamento, estende tout court la disposizione in esame alle ipotesi di rinunzia all’azione di riduzione, affermandosi che, pur differenziandosi da un’azione surrogatoria vera e propria da cui “differisce poiché non vi è inerzia da parte del debitore, che ha anzi rinunziato, né coincidono gli effetti”, è pur sempre rinvenibile “una sostituzione nei termini sopra ricordati (derivante dal voler “accettare in nome e luogo del rinunziante”)” che “si risolve – a ben vedere – in un’ingerenza non nell’interesse del chiamato leso o del legittimario pretermesso (poiché erede rimane chi ha accettato o è stato beneficiato con disposizioni sia pure lesive della legittima) – bensì solo dei creditori.

Vanificata, quindi, la rinunzia nei limiti dello stretto necessario a reintegrare le ragioni creditorie, al creditore del legittimario deve riconoscersi la titolarità all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, che è l’unico modo per rendere inefficaci le disposizioni lesive e, dunque, per “accettare in nome e in luogo del rinunciante”, in senso figurato, la legittima”.

Tuttavia, che il rimedio di cui all’art. 524 sia estensibile di applicazione anche alle ipotesi di rinunzia all’azione di riduzione non appare così pacifico, trattandosi di norma di carattere certamente eccezionale.

E, ancor prima, non ci si deve dimenticare che nell’ipotesi presa in esame dalla Suprema Corte mancava qualsiasi rinunzia all’azione di riduzione.

Non appare, pertanto, del tutto condivisibile – per il ragionamento che ne è alla base – l’affermazione degli ermellini per cui dalla “ricostruzione sistematica derivante dall’esame combinato degli artt. 457, 524 (anche in correlazione all’art. 481), 557 e 2900 c.c., scaturisce che l’azione di riduzione è direttamente esperibile in via surrogatoria da parte del creditore del legittimario pretermesso nella specifica ipotesi di inerzia colpevole di questi (non essendo, perciò, necessario in tal caso il preliminare esperimento dell’actio interrogatoria e della conseguente domanda di autorizzazione, in caso di rinunzia, ai sensi dell’art. 524 c.c.), realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima – nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori”.

La ricostruzione proposta, infatti, non sembra superare l’obiezione della più autorevole dottrina (che pur ammette la possibilità di agire in via surrogatoria a determinate condizioni – in tal senso, su tutti Mengoni, Santoro Passarelli) secondo la quale l’ammissibilità dell’azione del terzo è subordinata al fatto che il legittimario pretermesso abbia manifestato la volontà di accettare l’eredità e, pertanto, di conseguire la qualità di erede, ledendosi altrimenti il principio di personalità del diritto di accettare l’eredità.

E non convince, al riguardo, la precisazione contenuta nella sentenza in commento, ove si legge che “è stato precisato che, ove detta azione (di riduzione n.d.r.) non comporti, in concreto, l’acquisizione di beni, l’acquisto della qualità di erede non ha luogo. Ne deriva che la facoltà di esercitare l’azione di riduzione, intesa quale diritto potestativo (c.d. “diritto al diritto”), costituisce un prius rispetto all’accettazione e al conseguimento dell’eredità, che possono anche come sopra evidenziato – non verificarsi”. Ciò ha ragion d’essere, e trova giustificazione, nelle ipotesi in cui non vi sia un’eredità da accettare: si pensi al caso in cui il defunto abbia disposto dell’intero suo patrimonio attraverso una serie di liberalità in vita; certamente il legittimario potrà agire in riduzione, sebbene dall’esperimento di tale azione non discenda l’acquisto della qualità di erede ma solo una reintegrazione di carattere economico.

Se è innegabile che l’azione di riduzione abbia natura patrimoniale, non può altresì negarsi che la stessa azione si colori di caratteri strettamente personali, tipici dell’accettazione di eredità, qualora al suo esercizio consegua l’acquisto della qualità di erede.

In conclusione, può ritenersi che il pur pregevole sforzo operato dalla Cassazione di supportare i principi affermati con una compiuta ricostruzione sistematica non colga pienamente nel segno, lasciando ad oggi ancora aperto il dibattito sul tema in esame.

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