1 Febbraio 2016

Le nuove attestazioni di conformità nel PCT

di Roberto Arcella Scarica in PDF

Dopo venti settimane esatte dall’entrata in vigore della Legge 132 del 20 agosto 2015, che convertì con modificazioni il D.L. 83/2015, il 7 gennaio scorso, le specifiche tecniche previste dall’art. 16 undecies DL 179/2012 (introdotto dall’art. 19 della citata legge di conversione) hanno finalmente visto la luce.

L’evento era oltremodo atteso dall’Avvocatura dacché, secondo un’opinione molto prudenziale diffusasi all’indomani della sua entrata in vigore, l’art. 16 undecies, comma 3, paralizzava nel concreto la possibilità per gli avvocati di notificare telematicamente copie informatiche di atti e provvedimenti in formato analogico.

Ciò era conseguenza, per un verso, dell’intervenuta coeva modifica del’art. 3 bis L. 53/94, che richiama adesso la norma in parola ai fini dell’attestazione di conformità delle copie informatiche oggetto di notifica, e per altro verso del fatto che il nominato comma 3 rinvia, per «l’individuazione della copia cui si riferisce» l’attestazione, a «specifiche tecniche stabilite dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia»: specifiche delle quali però fino al 7/1/2016 non v’era traccia.

Al riguardo, va ricordato che l’obiettivo cui mirava il Legislatore con la ricordata norma agostana era stato quello di escludere, nell’ambito del processo civile telematico, l’applicazione delle regole tecniche sul documento informatico.  All’indomani della pubblicazione in G.U. del DPCM 13.11.2014, recante la disciplina tecnica sui documenti informatici, grande infatti era stato l’allarme generatosi tra gli operatori del diritto chiamati a fare i conti con concetti tecnici fino ad allora sconosciuti, quali impronte, hash, metadati e riferimenti temporali.  Ne derivò una neanche troppo celata volontà di sganciare le regole tecniche del processo civile telematico da quelle, generali, sul documento informatico, sì da renderne più palpabile il carattere della specialità delle prime rispetto alle seconde: disegno questo i cui primi tratti furono mossi proprio dal DL 83/2015 e dalla successiva L. 132/2015 che lo convertì: l’art. 16 undecies del DL 179/2010 nacque, come si diceva, proprio in tale ottica.

Avvertita peraltro l’urgenza di dotare il processo civile telematico della necessaria regola tecnica sostituiva di quella generale ex dpcm 13.11.2014, si optò per rinviare, non già ad un aggiornamento delle “regole” tecniche ex DM 44/2011, che avrebbe implicato, in quanto “regolamento”, anche il preventivo parere del Consiglio di Stato, ma in via diretta ed immediata alle specifiche tecniche, ovvero all’adeguamento del Provvedimento del Direttore Generale SIA del 16/4/2014: e si trattò di una opzione di tecnica legislativa a dire il vero inedita, perché nella catena legge-regola-specifica, sorretta a monte dall’art. 4, comma 1, del D.L. 193/2009[1] e con nel mezzo il DM 44/2011, quest’ultimo veniva saltato a pié pari.

Che, tuttavia, il processo civile telematico non possa restare impermeabile alle regole tecniche generali ex art. 71 del CAD deriva dall’ovvia considerazione che in esso convergono ulteriori realtà giuridico informatiche, quali la posta elettronica certificata (e, quindi, anche le regole tecniche che la governano), la firma digitale (e le relative regole tecniche), oltre ovviamente al C.A.D. ed alla disciplina generale sui documenti. Così come le stesse ripudiate (nelle intenzioni) regole tecniche sui documenti tornano inesorabilmente ad affacciarsi nella realtà del PCT in tutti quegli aspetti che, per così dire, sono in rerum natura dell’informatica e che il dpcm 13.11.2014 recepì, così come accade, ad esempio, laddove vengano in rilevo i profili di immodificabilità dei documenti informatici ex art. 3, comma 4, dpcm cit..

Tanto poco affilato è stato lo strumento adoperato per il taglio del cordone ombelicale che lega inevitabilmente il processo telematico al dpcm 13.11.2014, così come a qualsivoglia regola adottata in esecuzione dell’art. 71 C.A.D., che l’intero art. 19-ter delle specifiche, introdotto dall’art. 1 del decreto varato nei giorni scorsi gravita anch’esso, pur senza nominarlo, attorno al concetto di immodificabilità dei documenti informatici di cui all’art. 3, comma 4 lettere a) e c) delle regole tecniche sui documenti informatici[2], dacché tale principio sta alla base dei commi 2 e 3 della nuova specifica secondo i quali, laddove si faccia uso della posta elettronica certificata o di un indice xml firmato digitalmente, si può rinunciare all’utilizzo delle “spillature virtuali” effettuate tra atto ed attestazione per il tramite dell’impronta informatica dei documenti che si vogliano attestare conformi.

E’ così che il provvedimento prevede, dopo la regola generale dettata al comma 1[3], che

(comma 2) «Se la copia informatica è destinata ad essere depositata secondo le regole tecniche previste dall’art. 4 del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24, il documento informatico contenente l’attestazione è inserito come allegato nella “busta telematica” di cui all’art. 14; i dati identificativi del documento informatico contenente l’attestazione, nonché del documento cui essa si riferisce, sono anche inseriti nel fi le DatiAtto.xml di cui all’art. 12, comma 1, lettera e»

e che

(comma 3) «Se la copia informatica è destinata ad essere notificata ai sensi dell’art. 3 -bis della legge 21 gennaio 1994, n. 53, gli elementi indicati al primo comma, sono inseriti nella relazione di notificazione».

In entrambi i casi, com’è evidente, si riesce a fare a meno dell’impronta del documento perché, nel primo caso, atto ed attestazione sono legati dalla busta telematica di deposito, in quest’ultima per il tramite di DatiAtto.xml che, sottoscritto digitalmente, funge anche da indice per via dell’inclusione in esso del vecchio IndiceBusta.xml  (e contiene quindi un vero e proprio surrogato dell’impronta), mentre nel secondo sovviene la busta telematica di trasporto della PEC per la notifica, per la quale è notoriamente prescritta la ricevuta di consegna in forma completa.

Che, tuttavia, il divorzio dalle regole tecniche generali sui documenti non sia idoneo a demolire tutti i ponti che collegano il C.A.D. ed il PCT è dimostrato dall’inspiegabile introduzione delle definizioni di “impronta” e di “funzione di hash”, operata col comma 1 dell’art. 1 del provvedimento qui in esame, introduzione che appare incomprensibile alla luce dell’intento primario di “eliminare” tali concetti, invece, dal mondo del processo civile telematico.

Vero è che una risurrezione di impronta ad hash è pure teoricamente preventivata nella prima parte del comma 5[4], riferita ad un’ipotesi allo stato sicuramente estranea al processo civile telematico, per come questo è oggi strutturato, e del tutto residuale rispetto a quelle delineate nei primi quattro commi (ipotesi che si fa fatica pertanto allo stato ad immaginare di concreta applicazione): la norma in parola richiama però proprio l’art. 4 del dpcm 13.11.2014, ed inevitabilmente anche le definizioni di “impronta” e di “funzione di hash” che puntualmente sono già operate nell’Allegato 1 del dpcm in parola, per il che ci chiediamo per quale ragione sono state introdotte le due ricordate definizioni se le stesse nel concreto saranno operative nel pct solo per il tramite del comma 5 dell’art. 19-ter il quale, però, rimanda espressamente al dpcm 13.11.2014 e quindi anche al relativo Allegato1 contenente le definizioni in esame.

Ne consegue la chiara sensazione che sia il comma 1 che il comma 5 dell’art. 19-ter costituiscano una vera e propria interpolazione dell’ultimo istante, intervenuta su una norma tecnica tutto sommato equilibrata, per quanto partorita a sua volta solo come conseguenza di un provvedimento legislativo affrettato ed inutile in parte qua, qual è il comma 3 dell’art. 16 undecies.

Un cenno merita anche la “struttura informatica”, concetto speso nel comma 5, seconda parte, nel quale viene espresso il principio secondo cui, al di fuori dei casi di legame tra atto ed attestazione sia costituito da una PEC o dalla busta di trasporto di cui all’art. 14 del Provv. 14/4/25014, dell’impronta si farà a meno «in tutte le ipotesi in cui il documento informatico contenente l’attestazione di conformità è inserito, unitamente alla copia informatica del documento, in una struttura informatica idonea a garantire l’immodificabilità del suo contenuto».

Posto che per “struttura” si intende «un’entità usata per organizzare un insieme di dati all’interno della memoria del computer»[5], non tanto come struttura hardware quanto  come  «metodo di organizzazione dei dati, quindi prescinde dai dati effettivamente contenuti»[6], la norma pare voler far riferimento al versamento (probabilmente mediante upload) di atti e provvedimenti muniti di attestazione separata in una struttura informatica di conservazione: ciò che, tuttavia, dovrebbe avvenire nel rispetto del dpcm 3.12.2013 il quale, a sua volta, prescrive il diffuso utilizzo delle impronte dei documenti all’interno dell’indice strutturato secondo lo standard SinCRO.

A completamento di queste brevi riflessioni, si ricorda che l’art. 19 ter del Provv. 16/4/2014 ha previsto pure l’ipotesi in cui “… la copia informatica è destinata ad essere trasmessa tramite posta elettronica certificata” in casi evidentemente diversi da quelle dell’invio di depositi telematici o di notificazioni ex art. 3 bis L.53/94 (c.d. “PEC sfusa“).

Si tratta quindi dei casi in cui l’Avvocato voglia trasmettere a mezzo posta certificata una copia informatica conforme di atti o provvedimenti che, ovviamente, abbia il potere di certificare come tali: l’ambito di applicazione di tale norma potrebbe essere, ad esempio, quello ex art. 93 Legge Fallimentare, laddove all’istanza di ammissione allo stato passivo si debbano allegare copie autentiche di atti e/o provvedimenti.

In tal caso, la norma tecnica prevede che «l’attestazione di cui al primo comma è inserita come allegato al messaggio di posta elettronica certificata»: si tratterà quindi di un documento pdf  che conterrà «una sintetica descrizione del documento di cui si sta attestando la conformità nonché il relativo nome del file», ancora una volta, quindi, senza necessità di ricorrere all’indicazione dell’odiata impronta.

 

[1] Art. 4, comma 1, DECRETO-LEGGE 29 dicembre 2009 n. 193 (in Gazz. Uff., 30 dicembre, n. 302). – Decreto convertito con modificazioni in legge 22 febbraio 2010, n. 24. – Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario «Con uno o più decreti del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione e il Garante per la protezione dei dati personali, adottati, ai sensi dell’articolo 17 comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono individuate le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni».

[2] Art. 3 comma 4 dpcm 13.11.2014: «Nel caso di documento informatico formato ai sensi del comma 1, lettera a) , le caratteristiche di immodificabilità e di integrità sono determinate da una o più delle seguenti operazioni: a) la sottoscrizione con firma digitale ovvero con firma elettronica qualificata; b) l’apposizione di una validazione temporale; c) il trasferimento a soggetti terzi con posta elettronica certificata con ricevuta completa; d) la memorizzazione su sistemi di gestione documentale che adottino idonee politiche di sicurezza; e) il versamento ad un sistema di conservazione».

[3] Art. 19 ter, comma 1, Provv. 16/4/2014 come introdotto dall’art. 1 decreto 28/12/2015: « Quando si deve procedere ad attestare la conformità di una copia informatica, anche per immagine, ai sensi del terzo comma dell’art. 16 -undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 212, l’attestazione è inserita in un documento informatico in formato PDF e contiene una sintetica descrizione del documento di cui si sta attestando la conformità nonché il relativo nome del fi le. Il documento informatico contenente l’attestazione è sottoscritto dal soggetto che compie l’attestazione con firma digitale o firma elettronica qualificata»

[4] Art. 19-ter, comma 5: «In ogni altra ipotesi, l’attestazione di conformità è inserita in un documento informatico in formato PDF contenente i medesimi elementi di cui al primo comma, l’impronta del documento informatico di cui si sta attestando la conformità e il riferimento temporale di cui all’art. 4 comma 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2014. Il documento informatico contenente l’attestazione è sottoscritto dal soggetto che compie l’attestazione con firma digitale o firma elettronica qualificata»

[5] Wikipedia, voce “Struttura dati”

[6] Wikipedia, ibidem

 

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