25 Giugno 2019

Le disposizioni anticipate di trattamento e amministrazione di sostegno: prima sentenza della corte costituzionale

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Corte Costituzionale, sentenza n. 144 del 13 giugno 2019, in G.U. 19 maggio 2019 n. 25 – Presidente LATTANZI redattore MODUGNO

(art. 404 ss. c.c.; art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219)

[1] L’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 non attribuisce ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale. 

[2] Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale relative all’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219: la norma non attribuisce all’amministratore di sostegno – al quale sia affidata la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario –sempre e comunque, il potere di rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. 

Il Giudice Tutelare è infatti tenuto a individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.

Trattandosi di diritti personalissimi, la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare le cure deve essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato. 

CASO

Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia, con ordinanza del 24 marzo 2018, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno, la cui nomina preveda l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento (d’ora in avanti: DAT), possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato. 

Nel caso concreto è stato nominato un amministratore di sostegno, cui non è attribuita né l’assistenza necessaria, né la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario. La relazione clinica del beneficiario, tuttavia, ha certificato che il beneficiario risultava in stato vegetativo. Il giudice a quo rileva che, pertanto, si rende necessario integrare il decreto di nomina, ai sensi dell’art. 407, comma 4, del codice civile, ai fini dell’individuazione dei poteri in ambito sanitario, e si profilava come indispensabile l’attribuzione della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario.

Il Giudice Tutelare si ferma però, constatando che in base all’attuale normativa sulle DAT, l’attribuzione della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario ricomprenderebbe necessariamente il potere di rifiuto delle cure; l’amministratore di sostegno, pertanto, avrebbe «il potere di decidere della vita e della morte dell’amministrato» senza che tale potere possa essere «sindacato dall’autorità giudiziaria».

Una volta appurata la possibilità che siano rifiutati anche i trattamenti necessari al mantenimento in vita, il giudice rimettente rileva che l’art. 3, comma 5, della legge n. 219 del 2017 prevede espressamente che, in caso di opposizione del medico all’interruzione delle cure, è possibile l’intervento del giudice tutelare, mentre deve ritenersi, a contrario, che detto intervento non sia possibile nel caso in cui il medico non si opponga.

Conseguentemente, sarebbe incostituzionale l’attribuzione all’amministratore di sostegno, determinata dalle disposizioni censurate, «di un potere di natura potenzialmente incondizionata e assoluta attinente la vita e la morte, di un dominio ipoteticamente totale, di un’autentica facoltà di etero-determinazione», per insanabile contrasto con gli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost.

SOLUZIONE

La Corte Costituzionale censura il Giudice Tutelare, che parte, secondo la Corte, da un assunto erroneo: i.e. che l’amministratore di sostegno al quale, in assenza delle DAT, sia stata affidata la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, abbia, per ciò solo, sempre e comunque, anche il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari alla sopravvivenza del beneficiario, senza che il giudice tutelare possa diversamente decidere.

Contrariamente a quanto ritenuto dal giudice rimettente, le norme censurate non attribuiscono ex lege a ogni amministratore di sostegno che abbia la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario anche il potere di esprimere o no il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale. 

Spetta al giudice tutelare, pertanto, il compito di individuare e circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, nell’ottica di apprestare misure volte a garantire la migliore tutela della salute del beneficiario, tenendone pur sempre in conto la volontà, come espressamente prevede l’art. 3, comma 4, della legge n. 219 del 2017.

Trattandosi di diritti personalissimi, la decisione del giudice circa il conferimento o no del potere di rifiutare le cure deve essere presa alla luce delle circostanze concrete, con riguardo allo stato di salute del disabile in quel dato momento considerato.

L’adattamento dell’amministrazione di sostegno alle esigenze di ciascun beneficiario sarebbe, secondo la Corte Costituzionale, ulteriormente garantito dalla possibilità di modificare i poteri conferiti all’amministratore anche in un momento successivo alla nomina, tenendo conto, ove mutassero le condizioni di salute, delle sopravvenute esigenze del disabile.

Non è quindi vero che il conferimento della rappresentanza esclusiva in ambito sanitario rechi con sé, anche e necessariamente, il potere di rifiutare i trattamenti sanitari necessari al mantenimento in vita. Le norme censurate si limitano a disciplinare il caso in cui l’amministratore di sostegno abbia ricevuto anche tale potere: spetta al giudice tutelare, tuttavia, attribuirglielo in occasione della nomina – laddove in concreto già ne ricorra l’esigenza, perché le condizioni di salute del beneficiario sono tali da rendere necessaria una decisione sul prestare o no il consenso a trattamenti sanitari di sostegno vitale – o successivamente, allorché il decorso della patologia del beneficiario specificamente lo richieda.

QUESTIONI

La legge n. 219 del 2017 ha introdotto l’istituto delle DAT, prevedendo che ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di determinarsi, possa esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, a tale scopo indicando un «fiduciario», che faccia le sue veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie (art. 4, comma 1).

Il medico è tenuto al rispetto delle DAT (che devono essere redatte secondo quanto disposto dall’art. 4, comma 6), potendo egli disattenderle, in accordo con il fiduciario, soltanto «qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita» (art. 4, comma 5).

L’art. 3 della legge n. 219 del 2017 reca la disciplina applicabile nel caso in cui il paziente sia non una persona (pienamente) capace di agire (art. 1, comma 5), ma una persona minore di età, interdetta, inabilitata o beneficiaria di amministrazione di sostegno.

La norma stabilisce che, quando la nomina dell’amministratore di sostegno prevede l’assistenza necessaria o la rappresentanza esclusiva in ambito sanitario, «il consenso informato è espresso o rifiutato anche dall’amministratore di sostegno ovvero solo da quest’ultimo, tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere» (art. 3, comma 4).

Sul punto si è argomentato che il ruolo dell’amministratore di sostegno viene valorizzato nelle ipotesi in cui non vi sia un fiduciario. In questi casi, “le DAT mantengono efficacia in merito alla volontà del disponente” e che “in caso di necessità” il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno. Poiché il medico è comunque tenuto al rispetto delle disposizioni del paziente, egli la dottrina ritiene che un “caso di necessità” ben potrebbe allora prospettarsi allorché il medico – in mancanza di persone vicine al malato – si trovi nel dubbio circa il significato da attribuire alle DAT rese dal malato stesso e solleciti perciò la nomina di un amministratore di sostegno. (M. MANTOVANI, Relazione Di Cura E Disposizioni Anticipate Di Trattamento, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2019, 1, 188).

Dall’altro lato, qualora non vi siano DAT, la normativa prevede che l’amministratore di sostegno possa (senza specificare se “sempre” o “qualora autorizzato in tal senso”) rifiutare le cure; se il medico reputa invece di continuare le cure, perché appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare, su ricorso dei soggetti legittimati a proporlo (art. 3, comma 5).

Sul tema del contrasto tra rappresentante legale e medico curante, la dottrina (U. SALANITRO, Il Consenso, Attuale O Anticipato, Nel Prisma Della Responsabilità Medica, in Nuove Leggi Civ. Comm., 2019, 1, 125) ha affermato che vanno individuate due distinte ipotesi in cui appare ragionevole chiedersi se e in che modo rileva il rifiuto espresso dal rappresentante legale:

  • quella in cui l’incapace legale, capace di intendere e di volere, ha espresso una volontà attuale, conforme a, o difforme da, quella del rappresentante legale;
  • quella in cui il rappresentante dell’incapace prospetti la volontà presunta del soggetto divenuto successivamente incapace, pur in mancanza di disposizioni anticipate di trattamento.

In entrambe le ipotesi, ricorda l’Autore, si pone il dubbio che la questione debba essere sottoposta al giudice tutelare, e quali criteri il giudice tutelare possa essere tenuto a seguire per la soluzione del conflitto.

Quando il rifiuto del rappresentante sia conforme alla volontà di un soggetto in grado di comprendere la rilevanza della questione sottoposta dal medico non si può escludere che sussistano casi in cui il giudice tutelare considera prevalente, perché nel migliore interesse dell’incapace, il rifiuto del rappresentante legale anche a fronte di una cura appropriata e necessaria. Allo stesso modo il rifiuto del rappresentante legale dell’incapace, che non sia in grado di esprimere la propria volontà, possa essere condiviso da una pronunzia del giudice tutelare: nella quale il giudice sarebbe tenuto ad adottare, nel silenzio della legge, criteri di giudizio analoghi a quelli già accolti dalla giurisprudenza di legittimità nel c.d. caso Englaro.

In entrambi i casi, tuttavia, sino alla pronunzia del giudice tutelare, il comportamento del medico che somministri cure indifferibili va considerato pienamente legittimo.

La Corte Costituzionale si inserisce in questo dibattito, in corso di formazione in dottrina, parlando del caso in cui le DAT non sono state formalizzate,e quindi manca sia un fiduciario che un testo da interpretare.

In questa fattispecie, la legge afferma che l’amministratore di sostegno ha un ruolo solo qualora sia munito della rappresentanza sanitaria esclusiva del beneficiario.

In ogni caso, conclude la Corte Costituzionale, la rappresentanza sanitaria esclusiva non comporta automaticamente e in ogni caso l’attribuzione all’amministratore del potere di rifiutare le cure. Tale potere potrà essere assegnato dal Giudice Tutelare in sede di nomina, qualora già ne ricorrano le circostanze, o successivamente, integrando i poteri dell’amministratore di sostegno.

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