12 Aprile 2023

La «speciale autorizzazione del fideiussore» ex art. 1956 c.c.

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

«Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione» (art. 1956 c.c.).

L’onere del creditore (ad es. banca) di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolve alla evidente finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa (Cass. n. 7444/2017; Cass. n. 32774/2019).

L’autorizzazione del fideiussore può essere ritenuta implicitamente concessa dal garante, laddove emerga perfetta conoscenza, da parte sua, della situazione patrimoniale del debitore garantito. Questo perché tale conoscenza può essere considerata valida base di una presunzione di autorizzazione ‘tacita’ alla concessione del credito, desunta dalla possibilità di attivarsi mediante l’anticipata revoca della fideiussione per non aggravare i rischi assunti (Cass. n. 4112/2016).

La Cassazione, infatti, ha da tempo chiarito che vi possono essere casi in cui la richiesta della «speciale autorizzazione» di cui all’art. 1956 c.c. non è necessaria, perché l’autorizzazione è ritenuta implicitamente o tacitamente concessa dal fideiussore. In particolare, rilevano i casi in cui il fideiussore sia, rispettivamente, un familiare del debitore principale oppure socio e/o legale rappresentante della società garantita. In tale ultima circostanza, infatti, in una stessa persona coesistono le qualità di fideiussore e di legale rappresentante della società debitrice, visto che la richiesta di credito, in tali casi, proviene sostanzialmente dalla persona fisica che somma la posizione di garante (Cass. n. 26947/2021; Cass. n. 31227/2019; Cass. n. 7444/2017; Cass. n. 4112/2016).

Lo stesso principio ha trovato applicazione in caso di coniuge convivente, sul presupposto che, se è vero che, in ipotesi di concessione del credito nonostante il deterioramento delle condizioni patrimoniali del debitore, la mancata richiesta di autorizzazione non può configurare una violazione contrattuale liberatoria se la conoscenza delle difficoltà economiche in cui versa il debitore principale può essere presunta comune al fideiussore, è plausibile sostenere che tale sia anche, in relazione alle circostanze concrete, la condizione caratterizzante il coniuge, ove sia desunta dal legame tra debitore e fideiussore sorretto da vincoli stabili di comunione di vita e di interessi, tali da indurre a ritenere probabile – in mancanza di risultanze di segno contrario – sia la conoscenza sia il consenso del secondo. Non si è in presenza, infatti, di una presunzione di secondo grado, notoriamente vietata, in quanto il fatto noto è costituito dalla stabile comunione di vita e di interessi tra fideiussore e debitore principale, cui segue la conoscenza del mutamento delle condizioni patrimoniali quale sintomo dell’autorizzazione tacita alla concessione del credito (Cass. n. 4112/2016; conf. App. Catanzaro 19.1.2017; Trib. Milano 4.11.2021; Trib. Treviso 27.9.2022).

Nelle fattispecie sopra descritte è attribuito carattere decisivo alla possibile esistenza di una «comunione di interessi» tra debitore e fideiussore o, comunque, di una «situazione di contiguità» tale da consentire al garante di avere costante contezza della esposizione debitoria (rapporto di parentela tra garante e garantito e il legame, per carica rivestita o partecipazione al capitale sociale, con la società debitrice)  (nei termini Bozzi).

Resta inteso che questa impostazione è sostenibile solo in presenza di circostanze che possano ragionevolmente giustificare una tale presunzione: non può predicarsi alcun automatismo inferenziale, ad es., dal solo rapporto parentale, come di recente ribadito dai giudici di legittimità: «la nuda circostanza della sussistenza di un legame parentale o di affinità non si manifesta fenomeno in sé stesso espressivo di nessun comportamento concludente: né autorizzativo di concessioni di credito ex art. 1956 c.c., né di altro. Tale circostanza neppure indica, a ben vedere, che il fideiussore – perché appunto parente o affine del debitore principale o di chi ne gestisce le sorti – sia edotto dei termini effettivi dello svolgimento dei rapporti bancari in essere, né delle condizioni patrimoniali (stabili, migliorate o invece peggiorate) in cui viene a versare il debitore principale (non diversamente, è da aggiungere, avviene per il nudo fatto della parentela o affinità corrente con uno dei soci dell’ente debitore)» (Cass. n. 26947/2021; v. anche Cass. n. 54/2021).

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